Alcuni dischi si prendono ad occhi chiusi. Come quando si acquista un vino che non si conosce, basandosi su recensioni, dichiarazioni di amici che già l'hanno testato. Non mancando di notare, soprattutto, il marchio DOC bello stampato sull'etichetta, sinonimo di garanzia. Allo stesso modo, quando sul retrocopertina di un cd vediamo il gatto stilizzato, logo della Kool Kat records, magari non sappiamo che cosa stiamo per ascoltare, ma di sicuro sappiamo che sarà roba di qualità. Il disco dei Britannicas non fa eccezione, e se ci mettiamo pure che i tre membri della band sono personalità notissime nei salotti del powerpop-bene internazionale, il gioco è fatto. Dietro al nome Britannicas si celano infatti il chicaghese Herb Eimerman (Nerk Twins), l'australiano Joe Algeri (Jack and the Beanstalk oltre ad una miriade di progetti, anche da solista) e lo svedese Magnus Karlsson (Happydeadmen e Charade), nientemeno. I rumors vogliono che i tre abbiano assemblato l'album via internet, spedendosi l'un l'altro le rispettive parti registrate, dunque in modo non proprio ortodosso, ma valutandolo alla fine, l'omonimo debutto dei Britannicas, non si può dire che l'esperimento non sia riuscito, anzi.
Se un americano, un australiano e uno svedese decidono di chiamare la loro band The Britannicas un motivo ci deve essere. Potreste aspettarvi, come io mi sarei aspettato, una full immersion nella Swingin' London, oppure chessò un bel tuffo nel fiume Mersey, ma le cose non vanno proprio cosi. Ora, io non so quali fossero le intenzioni degli autori, e non si può dire che una certa qual influenza "Britannica", appunto, non aleggi nello spirito dei brani. Quello che penso tuttavia, è che l'album sia un ottimo esercizio di pop sessantista di impronta parecchio retrò, ma le grandi esperienze storiche che qui si ricordano sembrano essere legate massimamente alla grande tradizione folk e jangle rock americana, più che al beat di Sua Maestà la Regina. Poco male, tra l'altro, perchè il disco suona bene e fila via che è un piacere. Del resto, letti i nomi degli artisti responsabili del lavoro, di dubbi non ne avevamo.
I Byrds sono un termine di paragone irrinunciabile soprattutto nell'intensità di brani come Those Good Vibrations e Stars, ma è la percezione artistica generale a far comparire di tanto in tanto, e lungo tutto il disco, l'immagine in trasparenza di Roger McGuinn sullo sfondo. L'inghilterra, probabilmente, appare in tutto il suo fulgido splendore nel Ray Davies sound di Friday Night Alright, ma è lungo le intense cavalcate folk rock di Blue Sky Grey e di Love Trap che si percepisce il massimo livello di coesione del trio. Poi, certo, Arthur Lee nel bel mezzo di un trip garage avrebbe adorato una canzone come Girl from Malasana, e non si può, proprio non si riesce, a non adorare alla follia il torrido, cadenzato rock'n'roll da balera dell'entusiasmante Baby Say Yeah Yeah, che già dal titolo vi sfida a starvene fermi.
In definitiva, americane o inglesi che siano le vostre fonti di ispirazione primarie, sappiate che l'omonimo debutto dei Britannicas è un godibilissimo disco retrò, preciso per i molti tra noi che non si stufano mai di una bella melodia registrata in analogico. Poi, come dicevamo, ci sono autori ed etichette che si comprano ad occhi chiusi ed i Britannicas, in questo caso, sono un esempio di scuola.