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lunedì 26 luglio 2010

Da mettere in valigia, (o nell' iPod), partendo per le vacanze.

Tre ottimi dischi per sopportare le code ai caselli autostradali durante questi primi veri giorni di esodo estivo.

Jackdaw4 - The Eternal Struggle for Justice (2010; Phantom). Willie Dowling è ormai, fondamentalmente, uno degli autori più rispettati dall'intero panoramo musicale britannico. I fanatici cultori di pop indipendente lo idolatrano a causa dei due primi studio album dei Jackdaw4, considerati dalla comunità sommi esempi di powerpop emancipato e maturato al sole del terzo millennio. Il jet-set se lo mangia con gli occhi già dai tempi dei fantastici e sottovalutatissimi Honeycrack, e tutti lo vogliono come autore dei propri pezzi o, semplicemente, come turnista. Tra i mille impegni, progetti, partecipazioni, Dowling ogni tanto se ne esce con un album proprio, e questo nuovissimo The Eternal Struggle for Justice la dice lunga sulla qualità sfarzosa della sua scrittura, contenuta come sempre dall'involucro di un progetto atipico e sfacciatamente ambizioso. Personalmente, volendo appiccicare un' etichetta a fianco del marchio Jackdaw4, sono sempre stato propenso a definire i contenuti come splendidi ed irrazionali esempi di pop progressivo, dove l'autore, libero da costrizioni ed allergico ai canoni, libera in una sorta di nudità artistica tutto ciò che la mente trasmette al cuore. Tra Jellyfish, Queen, XTC e mettendoci molto del proprio, ma insomma avrete capito deove si va a parare. Everyone Becomes the Road They Take e Sold It All rientrano tra le migliori recenti produzioni dell'amato filone che comprende i superbi dischi di Fun. e Bryan Scary, mentre gli episodi migliori, a mio parere rappresentati da Pornography e da The Great Unknown, sono fluorescenti e rivoluzionari esempi di post-blurismo maggiorato, se capite cosa stia intendendo. Il marchio Jackdaw4 è una garanzia, non c'è molto altro da aggiungere. (www.myspace.com/jackdaw4)

Justin Kline - Triangle ep (2010; autoprodotto). Chi segue questo blog da qualche tempo conosce Justin Kline, autore pop extraordinaire già secondo nella nostra classifica dedicata ai migliori ep del 2008. Triangle è il secondo lavoro di studio per il fenomeno di Murfreesboro, un talento tra i più fulgidi di questi ultimi anni in fatto di powerpop cantautorale. Powerpop fino ad un certo punto, poi. Trattasi di pop, certo, di pop d'autore all'ennesima potenza. Eleganza ed efficacia e quattro brani (pochi, peccato) stilisticamente perfetti e cantati come meglio non si sarebbe potuto. In particolare, vere e proprie gemme quali Allison, We Cannot Be Friends, Baby You're a Mess e Please Go Away, recuperano, basandosi su uno dei migliori songwriting melodici del momento, la purezza astrale e strettamente pop dei migliori album similari degli ultimi 5 anni. Le armonie melanconiche che in appena due ep e dieci pezzi scarsi sono riuscite a diventare il suo marchio di fabbrica sgorgano maestose, abbinate magistralmente ad un soleggiato pop di gran classe per un gioco di chiaro-scuro davvero notevole. Inutile dire che, dopo due ep, ci aspetteremmo un album, possibilmente favoloso. Su cui Justin, peraltro, stava lavorando. Peccato che i ladri, irrotti nello studio di Nashville dove stava registrando, gli abbiano sottratto equipaggiamento e, soprattutto, l'unico master con i brani del nuovo disco. Nell'attesa di registrare di nuovo, Triangle è un antipasto molto gustoso per placare l'appetito in attesa del capolavoro che verrà. (www.myspace.com/justinkline)


The New Normal - The Sprightly Sounds of the New Normal (2003; Old3C). Originariamente uscito nel 2003 ed appena ristampato dalla benemerita Old3C, The Sprightly Sounds of rappresenta il parto (per ora, l'unico) dei New Normal, sorta di super-gruppo di Seattle guidato da Mike Ritt e fomentato da ospiti quantomeno illustri quali Jim Sangster e Tad Hutchinson degli Young Fresh Fellows, mentre Scott McCaughey, che in un progetto pop di Seattle non poteva mancare, fa capolino con un paio di cameo qua e là. Il risultato, non potendo essere scadente visto il pedigree dei personaggi in questione, è un disco breve, a metà tra un e.p. ed un long player, dove Ritt e soci sciorinano il loro amore viscerale per il pop'n'roll nordamericano più spigliato e, prestando attenzione alle liriche, spiritoso. Schiacciato il bottone, si è subito travolti dal rock'n'roll rovente di Your Damn Uncle, ed il livello si mantiene torrido durante la brevissima sparata punk di Chez Me. Ritt denota capacità evidenti nell'uso del linguaggio jangle nel trittico It's Our Time/Never Never Man/(I.W.G.H.) One More Chance, e l'ottima rilettura di Keep Searchin' rende giustizia al classico di Del Shannon. Il brano migliore è in fondo, allorquando The King of Gortex ci ricorda come mai, per cosi tanti anni, abbiamo amato alla follia bands come i Fellows e gli Smugglers. (www.myspace.com/thenewnormal)

venerdì 23 luglio 2010

Disco del Giorno 23-07-10: Maple Mars - Galaxyland (2010; Kool Kat)

A tre anni di distanza dal gustosissimo Beautiful Mess ritornano i Maple Mars, che poi in sostanza significa che a tornare è Rick Hromadka, originale autore losangelino che dei Maple Mars è in pratica la mente unica. Si parla dei quartieri pop della Città degli Angeli, ed avendo in mente le tinte pastello del precedente album di studio ci si potrebbe/dovrebbe aspettare il solito concentrato di "liquido sole californiano" che in quaranta e passa anni di storia ha deviato milioni di appassionati trascinandoli dai Byrds ai Cloud Eleven. L'apertura The Excursion semra un buon viatico in tal senso, forse meno soft di quanto ci si aspettasse, certo, ma pur sempre uno standard pop-psych di quelli che a Hromadka riescono sempre bene. Il fatto è che stavolta Rick ha voluto dare sfogo a tutta la propria creatività, senza limitarsi a sviluppare la parte di essa che molti di noi hanno imparato ad apprezzare nel corso degli anni (e degli album).

Galaxyland, sorta di album concettuale dedicato ad un'ipotetica città spaziale, migra infatti ovunque sia possibile cercare tracce di vita pop, senza disdegnare nulla e mantenendo in ogni caso una coesione di fondo che conferisce forza e credibilità all'intera collezione. Se le preferenze dell'autore sono naturalmente dirette alla psichedelia melodica della già citata traccia inaugurale, di New Day e di Trascendental Guidance, bisogna rendere omaggio ai tentativi di esplorazione anche floydiani di Prelude: New Day e ad altre divagazioni sul tema che alla vigilia non erano per nulla scontate. Parliamone. Starting Over (Again) aggiunge al pacchetto dosi supplementari chitarristiche che sconfinano nei territori occupati anni fa dai Cheap Trick. Nel frattempo, Borrowed Sunshine pare il titolo perfetto per un brano che sembra estratto da una chart britpop del '96, ed Head Turner dimostra quanto tatto abbia Rick nel trattare delicati frammenti acustici. Il bello arriva in fondo, però, perchè il brano migliore della raccolta, almeno per il sottoscritto, è senza dubbio Somewhere Back There, tormentone bubblegum dove sembra di assistere ad una performance dei Jellyfish fronteggiati da Matthew Smith.

In conclusione, Galaxyland è un album che mi sento di consigliare a varie categorie di appassionati e, chiaramente, a tutti quelli che oggigiorno, quando si parla di pop chitarristico, si possono definire onnivori. Rick Hromadka rimane uno dei maestri della scena di L.A. in fatto di pop psichedelico, ma in questo caso ha deciso di non accontentarsi e ha dimostrato di essere, passatemi la definizione cestistica, uno dei migliori all arounder della costa occidentale.

mercoledì 14 luglio 2010

Disco del Giorno 14-07-10: The Record's - De Fauna Et Flora (2010; Foolica)

I Record's, visti un paio di volte dal vivo, mi hanno estrememente impressionato. I Record's, ossia Pierluigi Ballarin, Gaetano Pomigliano e Pietro Paletti, da Brescia, sono giunti al secondo, spaventoso album di studio. Non vorrei sfruttare troppe iperboli, ma non riesco a non dire che i Record's, al momento, sono tra i migliori gruppi italiani senza ombra di dubbio.

Raro caso di successo meritato all'interno del panorama indie italiano, il terzetto bresciano riesce a confermare le enormi aspettative che il precedente ed osannatissimo Money's on Fire aveva inevitabilmente creato. Ci riesce con un album, intitolato De Fauna Et Flora, che farà parlare di se per molti anni a venire, e molti addetti ai lavori saranno costretti ad ammettere che si, il secondo album dei Record's ha lasciato un segno profondo nel panorama indipendente nostrano. Un panorama che, a dire il vero, sta iniziando finalmente a fiorire lontano dal Mi-Ami, da Rock-It e dall'universo modaiolo, grazie alla qualità di fantastici gruppi quali Bad Love Experience, Radio Days e Temponauts, solo per citarne alcuni e senza offesa per gli altri, si intende. Ma torniamo ai Record's. Polverone mediatico ai tempi del primo ep, Joyful Celebration e del singolo Move Your Little Fingers, passato on air dalle principali radio nostrane, e non era finita. Arriva Money's On Fire, seguito dal tormentone Girl of My Wet Dreams, che finisce per diventare la colonna sonora di uno spot della Gazzetta dello Sport. Attesa spasmodica per una difficile conferma, ed ecco il nuovo album, stupendo.

Registrato da Matteo Cantaluppi (Canadians, Bugo) e mixato nientepopòdimenoche da Jon Astley (Stones e Stereophonics, tra gli altri), De Fauna Et Flora è trapunto di melodie impeccabili, songwriting elementare ed immediatamente adesivo, con particolari note di merito per il perfetto utilizzo delle voci, vero marchio di fabbrica della casa. Difficile abbozzare una definizione di genere complessiva e (soprattutto) esaustiva in toto. Pop-rock, certo, nella definizione generica da megastore, dove si spazia, si cambia, si improvvisa, al limite. La prima parte del disco lascia senza fiato: On Our Minds e Mr Hide sono commoventi estratti di pacato indie pop alla maniera degli Shins (passatemelo), inframezzati da un'insalata mista di pregio condita dal boogie di Rodolfo, che sembra fare il verso a YMCA nel ritornello, dalla poesia crepuscolare di Panama Hat e da I Love My Family, un brano che sotterra metà della produzione di avanzi di charts UK quali Kaiser Chiefs e Wombats. We All Need to Be Alone è l'anthem da cantare a squarciagola, non importa se allo stadio oppure fermi al semaforo. Meno male che durante la seconda parte si tira un pò il freno a mano, altrimenti sarebbe stato difficile pubblicare un altro album, tra un anno o due. Senza dimenticare, questo va detto, la sghemba fillastrocca contenuta in New Gear, New Feel, giusto per dare un tocco d'eccellenza anche al "lato b" della storia.

Il fatto che dallo scorso 24 Aprile il nuovo spot della storica birra danese Ceres sia musicato dai Nostri, in collaborazione con i bizzarri elettropoppers Serpenti, è garanzia di successo prolungato, ma se lo meritano tutto. Anche perchè, avendo avuto il piacere di conoscere i ragazzi, tendo ad escludere che possano montarsi la testa. Grandi, non fatevi schiacciare dal music business!

lunedì 5 luglio 2010

Pulizie d'inizio estate.

Decine di impegni, principalmente lavorativi e politici, mi stanno tenendo lontano dal blog e dai mondiali di calcio. Ciò nonostante, reduce da un ottimo weekend al Festival Beat, è giunto il momento di recuperare tre dischi rimasti imbrigliati tra le maglie del poco tempo, e tracciare una rapida panoramica di alcune cose che da tempo riposano sulla mia sempre affollatissima scrivania.

Paul Steel - Moon Rock (2008; EMI Japan). Giovane talento mostruoso residente a Brighton, Paul Steel ci perdonerà per aver intercettato Moon Rock, il suo primo album "lungo", con quasi due anni di ritardo. Paul è pazzo di Rundgren, Beach Boys ed antiquarioto pop, ed il suo disco potrebbe benissimo essere un nuovo lavoro di studio dei Wondermints, però più barocco. Avete apprezzato Bryan Scary e vi trastullate con vistosaggini assortite? Prego, c'è posto. Musica popolare dagli arrangiamenti ricercati e dalla sintassi magniloquente, senza che le righe vengano superate. Anche perchè i pezzi ci sono, eccome. Del resto, se Stephen Kalinich vuole collaborare con te un motivo ci sarà. Bisogna saper scrivere, si dice, e Paul sembra nato per questo: When I Kissed Her (I Felt Sick) è puro frullato Nick Walusko/Jeff Lynne, mentre In A Coma, il super singolo dell'album, è uno dei migliori brani early-Beach Boys-oriented che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi anni. (www.myspace.com/paulsteel)

Slingsby Hornets - Something Old...Something New (2010; Expedition Hot Dog). Jon Paul Allen, un uomo, un party glam ambulate. Terza opera di studio per il prolifico autore di Stoke-On-Trent, terza collezione di oscuri classici inglesi anni '70 rivisitati e mixati ad alcune composizioni originali di gran livello, come al solito. Qui ad UTTT abbiamo imparato a conoscerlo bene, ad entusiasmarci ogni volta che un disco di Jon arriva nella nostra buca delle lettere e ad inserire rigorosamente nella valigetta i suoi cd ogni qual volta ci capiti di proporre un dj set. In questa occasione, Allen reinterpreta con personalissimo gusto e fervida immaginazione piccole gemme di seventies rock quali Gonna Make You a Star di David Essex e soprattutto Pinball di Brian Protheroe, mentre tra gli originali fanno un figurone il pop da gozzoviglio di She's the One e il brit pop da viaggio psichedelico di Getting Better. Se i 70's britannici sono la vostra passione, avrete imparato a fidarvi di Jon Paul Allen! (www.myspace.com/theslingsbyhornets)

Baby Scream - Identity Theft (2010; Recorded Recordings). Anche Juan Pablo Mazzola, il custode del progetto Baby Scream, sulle nostre pagine è di casa. L'anno scorso abbiamo parlato benone di Ups and Downs, il suo album d'esordio, ed oggi siamo "costretti" a dire meraviglie di Identity Theft, il suo nuovo extended play. Meno upbeat, meno solare; più acustico ed introspettivo. Canzoni stupende, tristi, minimali, cantate da grande. Un dischetto scritto in un periodo difficile, due anni fa, quando "sembrava che chiunque volesse portar via qualcosa dalla mia vita". Emozionante, come le sonorità sulle quali aleggia, sempre, l'ombra benevola di John Lennon, vero e proprio faro nella tormentata vita di Juan. Dead Woman Walking respira cantautorato westcoastiano alla Michael Penn, mentre Memories potrebbe essere un outtake di un demo di Harrison (si parla di George) così come Underground Blues ed il suo pop viscerale alla Cotton Mather (si parla, in questo caso, di Robert). Essendo Lennon il punto di riferimento indiscutibile, quale chiusura migliore di Mucho Mungo, oscuro brano che John incise assieme ad Harry Nilson ai tempi del progetto Pussycats? Ad oggi, Identity Theft, è l'ep dell'anno. (www.myspace.com/babyscream)