Ecco i miei dischi preferiti per questo 2012... Speriamo che il 2013 sia all'altezza dell'illustre predecessore!
“You’re into folk, and I’m still playing
powerpop", declama Nate Reinauer nella strepitosa Hey Indie Girl,
una delle vette di Emerald City Love Song, il secondo album per questo giovane
autore di Seattle. Si, e che powerpop. Il migliore dell’anno. Non è
stato semplice scegliere a chi assegnare la medaglia d’oro, vista la qualità
elevatissima delle uscite discografiche 2012, ma infine ho optato per il disco
di Sweet Diss And The Comebacks perché, semplicemente, è quello che ho
ascoltato e cantato più volte in assoluto, urlandone a squarciagola i
ritornelli guidando in autostrada. Can’t Stop Wooing You, Hey Indie
Girl, la silversunesca Dear Small Town hanno la scrittura e le
invenzioni melodiche che servono a rendere una canzone pop una grande canzone
pop. E poi c’è Seattle Best, suite in sei episodi dedicata alla città
d’origine, che è pura estasi per pop maniacs come noi ed il cui terzo capitolo,
intitolato Subliminal Girl, rappresenta una delle vette assolute
dell’intero anno musicale. Per tutte le ragioni elencate, ed anche per quelle
impossibili da spiegare, Emerald City Love Song è il mio disco preferito del
2012.
Il genio guida dei leggendari powerpoppers svedesi
Merrymakers finalmente regala notizie di se. E che notizie, amici ascoltatori. Erano
passati quindici anni da Bubblegun e l’assenza cominciava davvero a pesare.
Manco a dirlo, David è ricomparso con un capolavoro totale dall’inizio alla
fine, diviso tra paradigmatici esempi jangle, qualche riuscita esagerazione da
modulazione di frequenza e le due ballate più strepitose dell’anno.
Jared, ma da dove sei saltato fuori? Uno riceve un
album, lo ascolta e si dice che non è possibile. Poi lo riascolta e invece
salta fuori che si, Star Map è uno
dei più grandi dischi posizionati nell’asse ereditario di Brian Wilson che abbia visto pubblicare negli ultimi cinque anni.
Ai piedi del podio ci sta Jay, uno che, come
raccontavamo in sede di recensione, nella vita di tutti i giorni suona le
tastiere per I Drive-By-Truckers. Nel suo Mess Of Happines niente country sudista,
tuttavia, ma una crociera tra variegati
lidi pop da restarci male. Una spruzzata di powerpop alla Superdrag, gioielli
acustici in serie, molto AM rock e addirittura un assaggio un po’ Pollard, un po’
Greg Pope. Sorpresona.
Jimi Evans, padrone di una delle voci più
interessanti del circuito, capeggia un disco di pop altamente radiofonico; esempio
classico di raccolta che, in un mondo migliore, starebbe in cima alle
classifiche di vendita. Arrangiamenti cesellati, produzione-monstre ed ossessivi
inviti a pigiare il tasto replay.
Tutte le volte entrano in sala di incisione e ne
escono carichi di oro, incenso e mirra. L’ alternative country, architettato da
loro, sembra un genere completamente diverso. Melodie melanconiche a continuo
getto d’ispirazione ed una sapienza in sede di scrittura davvero emozionante.
Secondo album da solista e seconda top ten piena
per il fenomeno già leader dei dimenticati Tubetop. In molti accomunano On High
al contemporaneo genio di Mark Bacino. Più Lennon e meno Randy Newman,
aggiungiamo noi, ma siamo li.
Aaron Hemmington lo ha fatto ancora e lo ha fato
meglio. Il ragazzo da Northampton conosce a memoria la ricetta del pasticcio
psyke-sunshine perfetto, e sparge segnalibri Boettcher
nell’enciclopedia Rubbles nel creare un album che risulterà indispensabile per
tutti i cultori dei sessanta più colorati.
Necessita di qualche ascolto, ma poi ragazzi. L’album più grande dei leggendari indi rockers
newyorkesi dai tempi di Let Go. Che altro volete che vi dica?
Dal Winsconsin con un album costruito attorno ad
altissimi epicentri sonici mixati da Chris Stamey, uno che mette il naso solo
quando la materia conta per davvero. Originali trovate sceniche in un contesto
apparentemente standard fanno di Martha un album davvero sorprendente. Poi si,
due pezzi come My Michelle e I've Never Felt As Good As I Do Now tendono a fare la loro parte.