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mercoledì 30 dicembre 2020

I migliori 25 singoli del 2020.


Ed eccoci giunti al fatidico momento dei classificoni di fine anno. Iniziamo dai singoli, dunque. Nel seguente elenco, numerato in ordine crescente come si conviene, troverete il meglio del 2020 uscito in formati piccoletti: 7", Ep, miniCD, singoli in digitale. Sono escluse le uscite che non contengono tracce inedite rispetto agli album. Ogni disco classificato sarà corredato da un link, con la seguente modalità preferenziale: - recensione apparsa su UTTT, se è apparsa; - pagina Bandcamp della band/artista; - sito ufficiale; altro retailer online dove sia possibile accaparrarsi il prodotto. Buon ascolto!

25 - The Top Boost "Tell Me That You're Mine" (You Are The Cosmos)
24 - Sleeping Bag & Rozwell Kid "Dreamboats 2" (self-released)
23 - The Britannicas "Walls and Stars" (Ice Cream Man)
22 - The Foxhall Stacks "The Half Stack" (Snappy Little Numbers)
21 - Dave Marean Band "Time Piece" (self-released)
20 - Massage "Michael Is My Girlfriend" (self-released)
19 - The Corner Laughers "Accepted Time" (Big Stir)
18 - Go Go's "Club Zero" (Universal)
17 - Danny McDonald "Modern Architecture" (Popboomerang)
16 - The Last Bees "Countdown" (self-released)
15 - The Sleepyheads "Better Luck Next Time" (self-released)
14 - The Cudas "4-Speed EP" (Snap!)
13 - The Vapour Trails "Lonely Man" (Futureman)
12 - Didn't Planet "Worse In The Rain" (self-released)
11 - The Sensible Gray Cells "So Long" (Damaged Goods)
10 - Cabana Wear "Cape Weather" (self-released)
9 - Flowertown "Flowertown" (Paisley Shirt)
8 - The Feels "She's Probably Not Thinking Of Me" (self-released)
7 - Radio Days "I Got A Love" (Snap!)
6 - Red Skylark "Run On" (Naked Walls)
5 - Jim Trainor "Glass Half Full" (self-released)
4 - Brad Marino "False Alarm" (Rum Bar)
3 - Mom "Tonight" (self-released)
2 - The Lickerish Quartet "Threesome EP Vol.1" (Label Logic)
1 - Semisonic "You're Not Alone" (Pleasuresonic)

venerdì 18 dicembre 2020

Radio Tangerine #4


Finalmente, solo per voi affezionatissimi lettori di questo blog, ecco pronto il quarto volume di Radio Tangerine, la compilation comprendente tutto ciò che non potete perdervi del rock'n'roll melodico indipendente pubblicato negli ultimi mesi. A stretto giro di giorni - quindici, al massimo - arriveranno anche playlist e classifiche dedicate al meglio di questo strano 2020. Come sempre, è stato un piacere!

giovedì 10 dicembre 2020

Disco del Giorno: Mom "Pleasure Island" (2020 - autoprodotto)

 


Qualche mese fa avevamo avuto modo di rimanere stupefatti da Tonight, singolo primo di un giovanissimo terzetto di Malmo candidamente chiamato Mom. Il fatto che tre ventenni suonassero come se il mondo fosse tornato al 1979 - e con cognizione di causa assoluta - ci aveva lasciati a bocca aperta. In quell'occasione s'era deciso: quello sarebbe stato il singolo dell'anno. Poi ne è arrivato un altro a stretto giro di posta, Don't Leave With My Heart, a confermare le prime impressioni.

 

Vanno di corsa i Mom: formatisi appena l'autunno scorso, dopo i due singolini d'assaggio sono ripiombati nelle nostre case, purtroppo non ancora sui nostri palchi, addirittura con un album lungo, purtroppo momentaneamente disponibile solo in formato digitale. I tre si girano se chiamate Donny, Frank e Luke, e organizzano il complesso in modo peculiare. Donny, voce e principale compositore, si alterna a Frank nella gestione di chitarre, batteria e sintetizzatori, mentre Luke si dedica al basso. I risultati sono mostruosi: le undici tracce che compongono "Pleasure Island" sono tutte state create per essere impresse su un vinile a sette pollici, e peccato che nessuno abbia ancora pensato a concretizzare l'opportuna operazione.

 

I due singoli-apripista succitati meritavano il ruolo; la magia sta nel fatto che se i Mom avessero selezionato uno a caso tra gli altri nove brani qui presenti, nulla sarebbe cambiato. Raro, affermare di queste cose, di questi tempi. Il loro è uno strepitoso concentrato di bubblegum, skinny-tie power pop e 70's glam da perdere la testa, condito da un pizzico di primordiale wave a dare ancora più gusto al piatto. Se la vostra collezione di dischi include City Nights di Nick Gilder e l'indimenticato, omonimo capolavoro dei Milk'n'Cookies, salterete sulla sedia ascoltando I Wanto to Feel What You Feel e Waste My Time; se dei mostri sacri del power pop primigenio come Records e Paul Collins conservate ancora i poster nella cameretta a casa dei vostri genitori non potrete resistere a Ordinary Girl e Better Than You.

   

I Mom riescono ad abbassare i ritmi senza perdere un'oncia della loro carica quando intonano Hurt By You e Talk to Me, sintomaticamente, verrebbe da dire, e dei singoloni spaccatutto abbiamo già detto. Grandi melodie accompagnate da riff di chitarre tracimanti, e una concezione filologica amorevole, se consideriamo le verdissime carte d'identità. "Pleasure Island" è uno dei dischi dell'anno, e la Svezia continua a essere una miniera d'oro per tutti i maniaci di musica pop. Sperando che qualcuno, possibilmente molto presto, provveda a rendere giustizia a questo grande album stampandolo sul supporto che merita.

mercoledì 25 novembre 2020

Disco del Giorno: Joe Giddings "Better From Here" (2020 - Kool Kat)


Anno di grazia 1999: il liceo, il millennium bug, la trascurabilissima predica urbi et orbi di Karol Wojtyla dedicata all'inizio del nuovo millennio. In coda a quello vecchio, tuttavia, usciva un disco destinato a rimanere nella memoria - oltreché nelle imperiture classifiche - di ogni fanatico di power pop. "Songs For The Whole Family" sarebbe rimasto l'unico album nella carriera di una band di Atlanta chiamata Star Collector, nome opportunamente preso in prestito da una discreta canzone dei Monkees. Che tempi. Il quartetto, democraticamente composto da membri eccellenti nel dividersi onori e oneri di canto e scrittura, incise nel 2000 una versione del classico di Macca My Brave Face, che finì su uno splendido tributo dedicato al Beatle scalzo dal titolo "Coming Up!", prima di sciogliersi a seguito di una brutta faccenda provocata - ma toh? - da una casa discografica al solito rapace.

Il capo della banda si chiamava Joe Giddings, trasferitosi in Georgia dalla natia città di New London, Connecticut. La cruenta fine della sua creatura contribuì a imporgli una scura depressione oltre al conseguente rigetto per ogni forma di scrittura, ma la parentesi buia non si prolungò molto. Ripresi in mano chitarre e GarageBand, Joe ha ricominciato a comporre, mettendo presto insieme una collezione di canzoni private, e con ogni probabilità destinate a restare tali non ci fosse stato il provvidenziale intervento del sommo Bruce Brodden, boss della rimpiantissima Not Lame Records e forse, non è un azzardo affermarlo, del power pop americano tutto in quegli anni. Il suo entusiasmo indusse Joe Giddings a pubblicare un album, dietro al comprensibile pseudonimo di JTG Implosion: l'implosione di un autore che pensava di aver smarrito la strada maestra, ma "All the People Some of The Time", classe duemiladue, suona tuttora come un rigoglioso esempio di scrittura pop devota ai santi Manning e Sturmer.

Seguì un altro trasloco, stavolta a Los Angeles, e saltuarie tracce apparse sulle più varie piattaforme digitali, spesso poco prima di essere rimosse, esse non soddisfacendo l'esigente autore. Poi la quadra, una serie di canzoni convincenti, il progetto di un album sorto nel 2016 e infine realizzatosi, quattro lunghi anni dopo, grazie all'intervento di un altro angelo del powerpop, il mai abbastanza lodato Ray Gianchetti della Kool Kat records da Seawell, New Jersey. "Better From Here" è una fortuna. Uno scrigno pieno di tesori. Undici brani che nascono dall'ineludibile fonte dei Fab Four, per proseguire entro gli argini della miglior pop music degli ultimi cinquant'anni. "I don't wanna sing like the Beatles again, but i'm gonna do it anyway", promette Joe all'inizio del disco. Derivativo e felice di esserlo? Sì, e vi conviene lasciarlo fare.

 

Se ogni promessa è debito, Joe Giddings è debitore solvibile. Così la robusta title track aizza l'album regalando le migliori premesse possibili, prima che la criptica Always Raining Somewhere dia un primo saggio del vanto della casa, l'innata duttilità nel maneggiare le insidie che la musica popolare sempre propone. Il brano è sublime esemplare alt.country, guidato da chitarre soffici e sempre più jangle mano a mano che il pezzo declina verso la splendida conclusione.

 

Quando si sanno scrivere storie le canzoni vengono meglio: lo dimostra Amity Horror, quadretto lirico che pare disegnato da Chris Difford sulle basi di un power pop chitarristico ispirato ai migliori Velvet Crush. Altrove - si può indirizzare lo sguardo pressoché ovunque senza timore di rimanere delusi dal panorama - Gone So Far fa risplendere l'argenteria di Tom Petty, foraggiata da armonie giganti e da sequenze genialoidi d'accordi, mentre Alone But As One pare il commendevole risultato di un approfondito studio della filologia Mersey.

 

Se ciò non fosse sufficiente a consigliarvi l'ascolto, ma tenendo fede al proposito di non abusare della pazienza del lettore, val la pena di segnalare ancora il corposissimo glam pop alla saccarina di If I Don't Have Love, incitata da un sistema di cori debitore della migliore Electric Light Orchestra, e l'ingegnosa ed esilarante Billy Said the F*** Word, che vedremmo in buona compagnia nel giardino di Welcome Interstate Managers. Joe Giddings saluta con la simbolica Final Track, denotando una sospettabilissima sapienza nel maneggiare la delicata seta della sartoria Elliott Smith. Speriamo sia un arrivederci. Possibilmente presto, stavolta.

Kool Kat | Bandcamp

sabato 31 ottobre 2020

Addio James Broad. Ci hai lasciato con un altro grande album


Il dramma di quest'incommentabile duemilaventi non accenna ad attenuarsi, e la pugnalata stavolta è inferta da un male incurabile. James Broad ha perso la sua battaglia impari con un cancro terminale all'intestino, e ha detto addio martedì scorso in un letto dell'ospedale in cui si stava sottoponendo a sfiancanti sessioni di chemioterapia. James ha formato i Silver Sun a Camden Town nel 1995, diventando l'autore e il cantante di una delle band più importanti degli ultimi trent'anni per quanto riguarda il nostro mondo, la nostra musica. Due album major, pubblicati da Polydor, etichetta in quel momento assestata di band vendibili nell'allora auspicabile seconda ondata britpop, peraltro presto arenatasi. Si separarono con poche cerimonie, alla fine di un rapporto lacerato dai problemi economici dell'etichetta e dallo scarso successo di pubblico raccolto dai due capolavori della band, il disco omonimo del 1997 e il supremo "Neo Wave", uscito l'anno dopo.

Qualche show, lo scioglimento, l'esperienza individuale di James Broad celata sotto lo pseudonimo Bullets e poi una fila di album indipendenti: "Disappear Here", "Dad's Weird Dream", "A Lick and A Promise". Sporadici e solisti, tutto suonato, cantato e prodotto da James, nonostante l'utilizzo dell'antico moniker. Fino all'ultimo "Switzerland", svelato lo scorso aprile, per ora disponibile solo in formato digitale anche se avrebbe meritato come poche altre produzioni coeve l'alloggio in un formato fisico. James era già malato, ancora non lo sapevo. Ci ha lasciato con un altro grande disco, forse il migliore dai tempi di "Disappear Here", colmo di classico Silver-Sun-sound ("Silver Sound", mi permettevo di dire, cercando di definire il suono di gruppi che negli anni hanno provato a ispirarsi alla scrittura di James Broad) ad altissimo contenuto chitarristico, in cui le inarrivabili e imperiture armonie vocali sono l'ombrellino nel cocktail di cui siamo diventati irrimediabilmente dipendenti. Brani sfacciati dai riff post glam come Earth Girls Are Easy; tipici esempi di speed bubblegum come Fireworks, God Room, Original Girl; lenti spaccacuore come Photograph.

Un album inattaccabile, oggettivamente degno di un posto almeno nella top ten di fine anno; un lascito da conservare gelosamente, sperando di meritarcelo. Sono persino troppo triste per scrivere un necrologio. Meglio un'apologia dell'ultimo disco scritto da James Broad. Sei mesi dopo Adam Schlesinger ci ha lasciato un altro dei grandissimi.



mercoledì 21 ottobre 2020

Disco del Giorno: Greg Pope "Wishing On A Dark Star" (2020 - Octoberville)


Sono passati dodici anni dal primo disco di Greg Pope, quel meraviglioso "Popmonster" opportunamente trattato in tempo quasi reale su queste pagine: come vola il tempo quando ci si diverte. Presa ancora una volta coscienza dell'inevitabile scorrere degli anni, rincuora sapere che certi autori continuano a scrivere inesorabili mentre invecchiano insieme a noi. Otto album dopo, ritroviamo Greg da Nashville in ottima forma, accompagnato dai pargoli nella stesura e nell'esecuzione di "Wishing On A dark Star", il nuovo gioiello di famiglia. Pubblicato a due anni di distanza da "A Few Seconds Of Fame", il disco del giorno è tenue, calmo, forse il più rilassato dell'intera discografia, anche se il Papa non dimentica di alzare il volume, almeno di tanto in tanto.


Asher Pope, uno dei figlioletti, all'epoca di "Popmonster" era un bambino; ora è un adolescente ispirato, in grado di contribuire alla scrittura di Gone, traccia inaugurale del disco: abbiamo già parlato dell'inesorabilità del tempo, mi pare. Gone, incipit perfetto, è un segmento di pop naturale, di quelli che sgorgano fluidi, in una sorta di consciousness applicata alla scrittura melodica, liberamente (presumibilmente?) ispirata a uno dei passaggi pacati che popolano il long medley di Abbey Road. L'ulteriore plus, in un brano già di per sé notevolissimo, lo aggiungono sapienza e gusto chitarristico di Greg, sempre uno dei migliori interpreti della sei corde nel nostro club di riferimento.

 

Laid back, dicono gli anglosassoni; rilassato, abbiamo già scritto noi. Così Blue Skies Above e Morning Sunshine hanno la delicatezza letterata dei fratelli Finn, e anche Blue Bird Fly, che vanta l'altro erede Noah alla batteria, col suo arrangiamento bizzarro potrebbe stare bene su "Woodface" dei Crowded House. Altrove, Where The Road Began richiama il Lennon intimista con gli occhiali tondi, mentre Vacation (From My Vacation) esibisce con orgoglio alcune luccicanti chitarre jangle. All'inizio della chiacchierata vi avevamo promesso qualche episodio sostenuto, e Pope mantiene con Wildest Dreams e Born To Relive, power pop classico inciso col cesello, ma la proverbiale ciliegina è senz'altro rappresentata da Jump Back From The Light, una scheggia, un bozzetto melodico di pop per chitarra in cui Greg Pope dà una perfetta dimostrazione della sua proverbiale capacità di sintesi. Spero non serva aggiungere molto altro per indurvi a cliccare sui link qui in basso.

martedì 13 ottobre 2020

Too Little Time (aggiornamento d'inizio autunno)


Poco, pochissimo tempo tra lavoro e ferie quasi meritate. Scaffali al solito pieni da riordinare, e allora approfittiamone per mettere a posto la cantina con una rapida carrellata di (sublimi) arretrati. Ho lasciato in attesa due tra le mie nuove etichette preferite degli ultimi tempi, la Subjangle di Darrin Lee e la Paisley Shirt di Kevin Linn, che da qualche tempo mi fanno l'enorme onore di appoggiarsi al mio blog per divulgare le rispettive uscite. Dopo aver rilasciato nel solo 2020 i già discussi dischi di Late Pioneers, Super 8 e Night Heron, l'etichetta guida per quanto riguarda l'universo retro-jangle ci delizia con due nuove pubblicazioni di notevole rilievo, quelle di Crystal Furs e Alpine Subs.

Le Crystal Furs sono un queer-indie-trio al femminile proveniente dall'area di Portland giunto al terzo album, il primo per una "vera" casa discografica. Il loro pop d'assalto guitarcentrico è l'intrigante tappeto sonico per coltissimi testi che ragionano sull'ansia di stare al mondo, sull'architettura, sulle complicazioni amorose. Queercore, alt. rock, punk e pop sessantesco sono le basi utili a trattare le complicate resistenze sociali alle diverse scelte sociali, ai diritti LGBT, a chiunque decida di non seguire un percorso di vita ritenuto conforme. Ma conforme a cosa? "Beautiful and True" è un grande album. Sempre da casa Subjangle escono gli Alpine Subs, sestetto da Chicago al secondo disco di studio trapunto di chitarre jangle e da tiepide sensazioni tardo-estive. Le tacche del rilevatore di qualità si colorano di rosso, e "Sweetheaven" minaccia di occupare un posto di riguardo nella classifica di fine anno. Definiti come un sinuoso incrocio tra i Pink Flyd dei medi anni settanta e i primissimi Stone Roses, gli Alpine Subs nuotano tra chitarre cristalline, tenui percussioni sixties e favolose armonie vocali tripartite, con qualche spruzzata di americana a confezionare un vera gemma!

 

Indirizziamo il navigatore satellitare sulla California, area in cui si sta imponendo la Paisley Shirt, un nome, una citazione dall'antolgia Dan Treacey, una garanzia. Specializzata in produzioni lo-fi bedroom pop su cassetta, la label ha da poco licenziato il disco lungo dei Tony Jay, combo da San Francisco che ben rappresenta l'etica e l'estetica dell'etichetta. "A Wave In The Dark" parla di film horror, videogiochi e della vita dell'elusivo e simbolico Tony Jay, "tizio dai lunghi capelli neri, dal pallido viso ornato da spesso eyeliner sugli occhi, sempre con una giacchetta di pelle nera e delle Nike bianche indosso". Melodie soffuse, delicate, beneficate da una produzione gracchiante; talmente leggere che per poco non decollano. Un disco che provoca lacrime facili e i cui proventi verranno in parte devoluti alla TGI, Transgender Gender-variant and Intersex Justice Project Mission. Non bastasse la splendida musica, possiamo destinare qualche dollaro a una nobilissima causa.

 

Mike Ramos dei Tony Jay guida insieme alla sodale Karina Gill il progetto Flowertown, all'esordio con il mini album "Theresa Street" appena dato alle stampe. Anche in questo caso la scala cromatica s'inquadra su colori tenui: i duetti lui/lei tra Ramos e Gill rappresentano ampia parte della cifra stilistica che connota sei canzoni scritte molto bene e in punta di fioretto, tra dream pop e slowcore, se capite ciò che stiamo intendendo. La fedeltà è sempre bassa, of course. Meravigliosamente bassa, in casi come questo.

 

"Timing is everything, come dicono quelli che la sanno lunga". Turnista, musicista, songwriter "gregario" in giro per il mondo a praticare il mestiere da più di venticinque anni, Christopher Peifer ha pubblicato il suo primissimo disco da solista proprio nel bel mezzo della pandemia, ma non si è scoraggiato. Influenzato dai capolavori "che hanno superato con margine il test del tempo come "Taking Liberties" di Elvis Costello", il signor Peifer da New York ha messo insieme una gradevole raccolta di canzoni da due minuti e mezzo di media, da cui grondano influenze perlopiù confesse: parliamo di Bash & Pop, Bob Mould, Nick Lowe, Big Star, Sloan... e forse di un goccetto di tequila. Il superalcolico ne ha sottese alcune, esibite altre, ma insomma dovrebbe essere tutto chiaro. L'album si chiama "Suicide Mission", titolo un pizzico cupo e non necessariamente rivelatore. Ma due ascolti li merita senza dubbi.

 

Si chiuda il pastone, il mio vecchio caporedattore chiamava così pezzi di questa foggia, tornando in California, per esaltare com'è giusto il nuovo disco di Marshall Holland, giunto a sei anni di distanza da quello prima, prelibato, firmato insieme agli Exceteras. Se l'uomo non crea il disco, il disco si crea da solo, e la miccia ancora una volta l'ha innescata la pandemia: "Mi sono trovato in lockdown, triste per me e per la tragica fase che stava attraversando l'umanità, e sono stato travolto da un impulso creativo". Che impulso, signore e signori. "Paper Airplane", pubblicato dalla Mystery Lawn del professor Allen Clapp (Orange Peels), ci accompagna in un viaggio che lambisce i territori soft pop in cui regnavano Left Banke e Association nei tardi anni sessanta, dominati da un suono profondamente melodico qui ringiovanito da spunti power pop e - l'iniziale Our Fate insegna - disegni new wave dalla forte carica espressiva. Alcune superbe iniziative cantautorali e altri schizzi che paiono usciti da un libercolo toytown fanno da contorno a un altro disco utilissimo a rendere meno angosciante il tetro duemilaventi fortunatamente in via di conclusione.

venerdì 18 settembre 2020

Un Venerdì da single #6



Con un ritardo che non si può scusare, ma a cui nondimeno siete abituati, ecco pronta la sesta puntata della rubrica che parla degli amati dischetti.

The Sensible Gray Cells " So Long"

Quando nessuno più se l'aspettava, a sette anni di distanza da "Postcards from Britain", ecco il nuovo fiammante singolo di Ray Burns e soci. Ci mettono il loro tempo, sono fatti così, ma se lo chiamano Captain Sensible, quel Captain Sensible, lo si può anche perdonare. Con lui ancora Paul Gray, già nei Damned e in Eddy & the Hot Rods, tanto per accrescere il chilometrico curriculum della banda. La canzone troverà posto nei migliori dj set se mai ripartiranno e nella colonna sonora del vostro abbeveratoio preferito: punk'n'roll dalle tinte americane da spaccarsi l'osso del collo. Dal divertimento, of course.

Skooshny "Deep Dive"

E dopo quasi vent'anni di silenzio tornano anche i misteriosi e amatissimi Skooshny da LA, con un EP su Market Square che sembra il risultato di un riordino in cantina. Tre demo di stampo ultra lo-fi accompagnano due pezzi capofila che paiono demo appena più levigate, ma dal fruscio emerge ciò che per quarantacinque anni abbiamo imparato a leggere dalla penna di Bruce Wagner, David Vonogrond e Mark Breyer: elegantissima e delicata musica pop per palati fini.

The Toms "Selections From The 1979 Sessions"

Tom Marolda, il polistrumentista dal New Jersey, il produttore, il mito, registrò nel corso dei famosi tre giorni benedetti del 1979 il leggendario debutto omonimo a quadretti bianchi e rossi, pietra miliare del genere e oggetto di culto per tutti i collezionisti di pop music del mondo. Nel settembre dello stesso anno egli incise altre quattordici tracce destinate a rimanere in soffitta per una quarantina d'anni. Oggi quella session è riemersa e la sempre benemerita label spagnola You Are The Cosmos ha pubblicato una selezione di quattro episodi tratti da quell'esperienza, mirabilmente confezionati in questo EP obbligatorio. I Toms concorrono essi stessi alla definizione del genere power pop. Ascoltando Angela Christmas e That Could Change Tomorrow si capisce bene il perché.

The Top Boost "Tell Me That You're Mine"

Ancora You Are The Cosmos ma dal New Jersey ci spostiamo a Vancouver, British Columbia. Terzo singolo per il talentuosissimo duo chiamato Top Boost: la title track è un country pop d'assalto marchiato da melodie irresistibili, mentre la b-side, occupata da Early Morning, è seducente ballata dalle chitarre jangle a dimostrare ancora una volta che i singolini lato a-lato b rimangono l'invenzione più importante compiuta dall'essere umano.

Your Friend Jebb "Change Of The Season"

Singolo di debutto per un super-pop-combo che per ora - ne abbiamo visti diversi in quest'annata senza senso - è una semplice collaborazione online tra Owen Radford, Tyler Green e Arthur Roberts (Posies, nientemeno). I tre sono qui coadiuvati dalla grandissima Lisa Mychols nella traccia che dà il titolo al dischetto, notevole upbeat pop beneficato da ampie armonie vocali, mentre in Sound The Alarmed, sull'altro lato, Terry Draper (Klaatu, of course) è impegnato in una sentita digressione minimalista per chitarra e voce. Nomi grossi, un po' di retta bisogna dargliela.

Mom "Don't Leave My Heart"

Secondo singolo, a tre mesi di distanza dal già celebrato Tonight, per questo grandioso terzetto svedese, in attesa dell'album "Pleasure Island" in uscita la prossima settimana. I Mom rimangono una delle scoperte dell'anno e i due pezzi qui esibiti confermano le aspettative. Il loro infuso di bubblegum, skinny-tie power pop e soprattutto glam-pop anni '70 è una gioia per i fanatici di Nick Gilder, Quick e Milk'n'Cookies, e la capacità di scrivere melodie appiccicose come poche altre fa il resto. I due singolini sono roba grossa, e l'album, se l'andazzo è questo, abiterà i piani alti della classifica di fine anno.

The Mayflowers "Sunflower Girl"

Mancava da un po' il buon Osamu Satoyama, leader di una banda tra le migliori della florida scena power pop giapponese. Qui coadiuvati nella stesura delle liriche da Gary Frenay dei Flashcubes, e in attesa di un nuovo lavoro lungo che non dovrebbe tardare molto, i Mayflowers - che già dovrebbero essere noti ai lettori di queste pagine - deliziano tutti con una nuovissima canzone la cui recensione è perfino superflua, e semplicemente vale a ricordarci perché amiamo così tanto il loro power pop influenzato dai richiami dell'impero britannico.

lunedì 31 agosto 2020

Disco del Giorno: Spygenius "Man On The Sea" (2020 - Big Stir)

 

Già la fine di agosto, purtroppo, estate agli sgoccioli così come il tempo rimasto per andare al mare e allora, per lenire la cupa tristezza che si impadronisce di noi alle porte di qualsiasi autunno che si rispetti, vi presentiamo l'album più ambizioso dell'anno. Il nome Spygenius non dovrebbe essere nuovo per gli appassionati del genere che ci onoriamo di trattare su queste pagine, anche se mi sono accorto che nessuno dei quattro precedenti dischi pubblicati dal quartetto di Canterbury a partire dal 2008 è stato qui promosso. Si tenti allora un parziale rimedio, ma serve la vostra collaborazione, e la massima attenzione, per penetrare in "Man On The Sea", un concept album a sfondo nautico che mal si concilia con la contemporanea tendenza a servirsi della musica in modo istantaneo, cestinandola un secondo dopo se il primo ascolto non è gradito.

"Man On The Sea" è un viaggio scritto nella sua pressoché totale interezza da Peter Watts; un viaggio tra folk-pop, jangle-rock e psichedelia leggera adornato da mille dettagli - si veda in primis la lussuriosa veste grafica - che ne rendono particolarmente apprezzabile l'attento ascolto a mezzo cuffie. La partenza è fissata da Another True Story, energetico incipit di stravagante rock'n'roll dalle tenue tinte più strambe che psichedeliche per un inizio dai ritmi altini; ritmi subito smorzati dalla successiva Albion, gran ballata dal sapore Mccartiano. Peter Watts e soci prendono le due stelle nell'internazionale guida al miglior jangle, e gli esempi di generi sono tanti e tanto raccomandati: If You Go A-Roving, Salaud Days (con tanto di libidinosa ironia nel doppio senso multilingua nel titolo) e In A Garden sono meravigliose canzoni Rickenbacker-pop sospese tra i REM dei primi anni ottanta e la sponda più chitarristicamente orientata del paisley underground.

 

Le variazioni sul tema sono all'ordine del giorno nel lungo tragitto, così Green Eyed Monster è striata di improvvisazioni ed esperimenti proto-progressivi, New Street è imperniata su un florido garage beat e Windy è disegnata su un pregiato tappeto di soffice psichedelia. L'unico pezzo non scritto dall'ispirato Watts è Spite, firmato dal bassista Ruth Rogers, ed è uno dei migliori pezzi del disco con il suo incedere stravagante e le genialoidi invenzioni armoniche. 

 

Nei dischi così lunghi il rischio è solitamente quello di tirare troppo la corda ed eccedere con auto-indulgenze che corrono il forte rischio di tradursi in pericolosi riempitivi. "Man On The Sea", a parte qualche trascurabile episodio, evita di cadere nell'insidiosa trappola, e giunge in porto coeso, raffinato e godibilissimo. A incorniciarne i prelibati concetti concorrono il corroborante e un po' barocco pop tra Move e Jellyfish del singolo Café Emey Hill, il power pop classico e non immune dal marchio di fabbrica jangle di Watch Your Back, tra Admiral Twin e Gigolo Aunts, e la conclusiva e dolcissima Remember Me When I Was Good, a riuscite tinte comedy per uno sottofondo da varietà che non può non essere stato ideato sull'isola.

 

Ricapitolando: "Man On The Sea" è un disco lungo, raffinato, ambizioso. Pretende da voi la massima attenzione e vi ripaga con un filotto di canzoni che promettono di crescervi addosso: manterranno. Peter Watts e soci hanno chiesto troppo a voi e a loro stessi? Se il disco è strutturato così un motivo ci sarà. Il problema, semmai, sarà replicare il mastodontico e riuscito progetto. Questa, intanto, è un opera che a casa vostra farà la sua splendida figura.

Spygenius Official | Big Stir 

martedì 25 agosto 2020

Disco del Giorno: The Reflectors "First Impression" (2020 - Time For Action)

 
Bello, quando le lunghe attese vengono ripagate. Powerpoppers di tutto il mondo unitevi e gioite, perché uno degli album più attesi dell'anno sarà presto sui vostri giradischi. Ci hanno messo un po', attendevano il momento giusto, ricercavano la perfezione filologica assoluta. Ci sono riusciti. Residenti a Los Angeles, James Carman, Nick Faciane e Ryan Miranda avevano scritto, provato e rivisto molti tra i pezzi che ora compongono "First Impression" già ai tempi degli Images, band antenata dei Reflectors autrice ormai nel 2012 di un significativo 7" chiamato "Thought Patterns": ogni cosa a suo tempo.

In coda a un'intervista rilasciata al blog Sweet Sweet Music, a Carman sono stati chiesti i titoli dei cinque proverbiali dischi da isola deserta: la sintomatica risposta sarebbe sufficiente a chiudere questa breve recensione, nonché a indirizzare verso il negozio di dischi chi dev'essere indirizzato. "Another Music in a Different Kitchen", "Guitar Romantic", "20/20", "The Beat" e "Easy Beats In Modern Time": sapete chi siete, e avete già capito tutto.

 

"First Impression" è un bignamino di storia; storia del miglior power-pop-punk, s'intende. Se non vi dicessero che l'anno d'uscita è quello di malagrazia 2020, pensereste di stare al bancone di un bar nel 1979, mentre cercate in ogni modo di non sporcare di stout la vostra skinny tie preferita. Buzzcocks, Undertones, Sorrows e Paul Collins; grandi riff di chitarra e melodie senza tempo in un contesto di perfezione (e ricerca) concettuale dove perfino gli insidiosissimi assoli rendono giustizia a undici grandi canzoni.

 

"Quando scrivo un pezzo parto sempre dall'idea che debba essere una hit," ha dichiarato il grande capo dei Reflectors. Infatti, esattamente come avviene nei migliori dischi pop della vostra collezione, ogni frammento di "First Impression" potrebbe stare su un 45 giri da singolo doppio. Difficile scegliere gli highlights, ma Teenage Hearts, cuori spezzati e fastidio giovanilista d'ordinanza, per motivi perfino scontati è un magnifico omaggio ai nostri nordiralndesi del cuore, mentre Champagne, Storm and Thunder e Break Me Down sono solo i diamanti più luminosi di un album che il lettore medio di UTTT non potrà non mettersi in casa, almeno quando la sua  reperibilità non sarà più così difficoltosa: uscito in tiratura limitata per la tedesca Time For Action in Europa, il disco negli Stati Uniti è stato pubblicato dalla Burger Records e travolto dai controversi e notissimi eventi che hanno interessato l'etichetta. Attualmente la band sta cercando una label interessata a stampare un numero di copie sufficienti a soddisfare l'esigente richiesta, e siamo sicuri che l'attesa non sarà così lunga. Naturalmente, non mancheremo di darvi aggiornamenti non appena ce ne saranno.

 

mercoledì 19 agosto 2020

Disco del Giorno: Ward White "Leonard At The Audit" (2020 - autoprodotto)


Tanto vale ammetterlo subito: Ward White, autore di stanza a Los Angeles appena andato in doppia cifra per quanto riguarda gli album lunghi pubblicati, mi era fino al mese scorso assolutamente ignoto. Peccato, ma fin che ci è dato tempo per rimediare, rimediamo. Non avendo contezza dell'artista, ne ignoravo naturalmente la biografia, e se dopo un rapido ascolto di "Leonard At The Audit" mi avessero chiesto di indovinarne la provenienza geografica, avrei sbagliato di circa ottomila chilometri, quelli che separano LA dal Regno Unito, grossomodo.

Ward White è uno scrittore, un creativo al servizio di poesie acide e paradossali, un marionettista che muove nel suo mondo, più cupo che assurdo, personaggi dai mille risvolti ma invariabilmente colti nell'attimo in cui annaspano alla ricerca dell'ultima scialuppa, mentre si trovano nel posto sbagliato nel momento peggiore. Scagnozzi maldestri, gigolo controluce e molti altri figuranti in un quadro espressionista e lirico.

 

Tutto giusto, se la vita è un viaggio sperimentale affrontato frettolosamente, come diceva qualcuno più famoso di me. Il tappeto sonoro non è facilmente catalogabile, e del resto il catalogo forzoso consegue all'attitudine un po' pigra di chi, come me, di tanto in tanto si arrischia a scrivere di musica. Gli schemi di Ward White, come detto, non aiutano a portare alla mente le spiagge della sua terra d'origine, ma le canzoni variano di molto l'una dall'altra e anche all'interno di loro stesse, inaspettatamente. Così Bubble & Squeak è permeata da un feeling new wave piuttosto oscuro, mentre Ice Capedes, dopo un'introduzione sul progressivo andante, esplode in una meraviglia pop che trae gran parte della sua forza proprio dalla sorpresa che genera.

 

Le ballate crepuscolari dai tratteggi acustici presenti rinfrancano nella convinzione che scrivere ottima musica sia ancora possibile. La traccia che dà il titolo al disco, un riferimento alla scoppola pro-Scientology subita da Cohen negli anni sessanta, è un frammento spaventosamente sublime che ricorda i migliori Divine Comedy, esaltato da un arrangiamento di sintetizzatori vintage delicatissimo. Nell'eclettico tragitto c'è spazio per il pop da classifica di Try Me, classifica in potenza perché i tempi, ma toh, sono quelli sbagliati, segnato dalla classe dei Prefab Sprout solo un po' energizzati nel chorus abrasivo, e per il western-psych di Dreaming Of Dentistry, davvero inatteso.

 

Va detto che addirittura meglio Ward White fa in brani come Not The Half e soprattutto Edmund Fitzgerald is A Wreck, un capolavoro, dove appare Steven Patrick Morrissey immerso in un attraente barile colmo di chitarre jangle. "Leonard At The Audit" è un disco che ha bisogno di tempo, di farsi raccontare, di crescervi addosso. Concedetegli l'attenzione che merita. Materiale di lusso, oggettivamente.

giovedì 13 agosto 2020

Disco del Giorno: The Yum Yums "For Those About To Pop" (2020 - Screaming Apple)



Gli Yummies sono da tempo immemore membri onorari del Gran Consiglio del power pop europeo, ma forse, almeno negli ultimi due lustri, si erano adagiati su un cliché piuttosto comodo: essendo anche un cliché vincente, c'è da capirli. Dopo tre album, qualche singolo e l'indimenticato 10" "Funzone", il quarto lavoro lungo "Play Good Music", immatricolato nel 2013, era parso ai più - e al sottoscritto - un lavoro "laterale". Power-pop-punk suonato e cantato più che bene, ma formule un po' trite e scrittura sonnacchiosa. Chi si aspettava una mesta uscita di scena della band - band comunque nel frattempo in grado di far saltare il banco a ogni buona occasione dal vivo - sarà immensamente felice di ricredersi, perché se "For Those About To Pop" non è il loro miglior disco è solo perché "Sweet As Candy" rimane capolavoro di genere inarrivabile. 

 

Si parlava di formule e la formula nemmeno stavolta cambia: un terzo power pop, un terzo pop-punk, un terzo glam'n'roll: ciò che in questo episodio fa la differenza è l'ispiratissima scrittura, che  trasforma le quattordici tracce dell'album in una collezione di canzoni tra le più importanti e solide del duemilaventi. I pregiati geni di Ramones, Pointed Sticks, Rubinoos, Real Kids e... B-Girls sono tirati a lucido e messi al servizio di una manciata di love songs immediatamente adesive e gioiose persino quando parlano di cuori spezzati. Con vette di assoluta lussuria come The Kind Of Girl e i suoi controcanti wilsoniani, la title track, il neoclassico pop-punk in salsa norvegese di Baby Baby; come Bubblegum Baby, anticipata lo scorso anno sull'ultimo volume della compilation griffata Punk Rock Raduno e come Summertime Pop, omaggio-non-omaggio ai Barracudas dove l'allievo rischia pericolosamente di superare il maestro. 

 

Da Moss, quando il meglio sembrava essere già arrivato, Morten Henriksen e compagnia ci regalano un un lavoretto che avanza la sua prepotente candidatura per l'elezione a disco dell'anno. Correte a farvi un bel regalo.

sabato 8 agosto 2020

Radio Tangerine #3

 

Come da recente tradizione, ecco pronta la playlist con il meglio del meglio offerto dal rock'n'roll melodico indipendente negli ultimi due mesi. Godetevela! 

venerdì 31 luglio 2020

Un venerdì da single #5

 
Portable Radio EP

Da Manchester con il retrovisore indirizzato ai sixties, senza aver paura di mascherarlo e del resto cosa dovrebbero temere. Sei pezzi dolci e melodici, che potrebbero benissimo essere cover di Osmonds, Cyrkle o dei mid-Hollies, con una tenera filastrocca come Push the Boat a tener banco e una gran ballata mccartiana quale Canadian Tuxedo a chiudere il cerchio. Come lo yoghurt alle ciliege o le all-star basse e nere: gusti che non stancano mai.

Bryan Estepa "Weight In Gold"

Il ragazzo è prolifico, perdonerete l'eufemismo temerario. Otto album di studio, l'ultimo, ottimo, solo lo scorso anno. Eppure l'ispirazione tracimante lo costringe alla registrazione anche quando è confinato in lockdown, e anzi forse a maggior ragione: quale occasione migliore per pubblicare due stupende canzoni devolvendo per giunta i ricavati a Oxfam Australia? Un singolo lato A/lato B, anche se solo digitale: Weight in Gold è raffinato episodio ispirato dal Bacharach songbook; Subject to Change è più movimentata e maggiormente somiglia alle produzioni classiche di un grande autore power pop. Chi? Bryan Estepa, of course.

Mitch Linker "I'll Take My Chances"

Ogni tanto, nel corso degli anni, mi sono chiesto che fine avesse fatto l'autore di uno dei miei album preferiti del 2005. In effetti, dopo un EP rilasciato nel 2007, egli si è preso un discreto iato dalla musica lungo quasi tre lustri, e sono parecchio felice di constatarne il ritorno. Sulla copertina di "I'll Take My Chances" Mitch ha piazzato un pianoforte, tanto per rendere l'idea. E guidate dal piano le quattro tracce del mini in questione ci riconsegnano un artista raffinato come lo conoscevamo, ma persino più sussurrato e contemplativo. Il blend tra Elton John e il Tom Petty della prima metà dei 90's è ancora qui, ma stavolta il delicato muro del suono, nonché le liriche estremamente confessionali, sono maggiormente ammantate di cantautorato intimista e meno strettamente pop, se capite cosa intendo. Canzoni che hanno bisogno di essere riascoltate per entrare nel cuore: datagli qualche chance e non ve ne pentirete.

Brad Marino "False Alarm"

Quando gente come Brad Marino torna nei negozi è sempre una buona notizia. Insieme al grande Geoff Palmer a capo di quella sensazionale cantera di musicisti dal New Hampshire che sono i Connection (a quando un nuovo disco, se non addirittura un nuovo tour?), Brad torna con un incendiario 7" rock'n'roll targato Rum Bar Records: due garanzie al prezzo di una. Oltre alla title-track e all'ottima At Night, il singolo chiarisce le cose con l'ottima cover del classico Hoodoo Gurus What's My Scene, mentre la versione cd, a questo punto quasi un mini-album, aggiunge altre cinque, golose tracce che chiamano cori e dito alzato.

Shoes "The Joke's On You"

Le presentazioni in questo caso sono inutili, perché i tizi da Zion, Illinois, sono stati, sono e resteranno sempre non solo una delle più grandi band power pop della storia, ma una delle poche ad aver definito il genere. Dopo diciassette anni di silenzio, i fratelli Murphy e Gary Klebe tornarono nel 2012 con un nuovo, splendido album chiamato "Ignition", purtroppo destinato a essere molto meno apprezzato di quanto avrebbe meritato. Due dei brani che ne facevano parte - Wrong Idea insieme al lato A The Joke's On You - finiscono su questo singolino per collezionisti pervicaci edito dalla benemerita label spagnola You Are The Cosmos. Cos'altro dire? Quando in vetrina ci sono gli Shoes, si compra.

Corin Ashley & Kay Hanley "Dead in the Water"

"The Isolation Jams è un collettivo musicale in regime di distanziamento sociale." Ce ne sono stati molti in questo pazzo 2020 e questo è uno tra i più interessanti. Ho conosciuto Corin Ashley grazie al meraviglioso album "New Lion Terraces", uno dei migliori dischi pubblicati nel 2013. L'autore di Boston qui è in compagnia di Kay Hanley, assurta a relativa fama con le Letters To Cleo, e Dead in The Water è una bella canzone jangly che ancora una volta ci ricorda come l'unica cosa positiva del confinamento sia stata, insieme alla chance di non vedere chi non volevamo vedere senza sentirci in colpa, la clamorosa epidemia d'ispirazione artistica che ha colto molti grandi artisti.

The Amplifier Heads "The Boy With the Sun For a Head"

Veterani della scena di Boston, gli Amplifier Heads guidati da Sal Baglio tornano con un ep di tre pezzi che è un sublime omaggio agli XTC periodo Skylarking-Oranges and Lemons. La traccia che dà il titolo al dischetto e la successiva SodiPop sembrano davvero uscite da una sessione di scrittura tra Partridge e Moulding a Swindon nel 1988, e il gusto compositivo di Baglio e soci rende l'operazione molto più che credibile. Avete detto classifica sui migliori extended play dell'anno?

martedì 28 luglio 2020

Disco del Giorno: Night Heron "I Heard You Dreaming" (2020 - Subjangle)



Mi piace, ne parlavamo anche in una delle ultime puntate del podcast, fidelizzarmi a un'etichetta discografica. Mi piace scorgerne il simbolo sul retro-copertina e acquistare il disco marchiato a scatola chiusa. Mi piaceva scovare il magico simbolo in uno stipato negozio vent'anni fa e mi piace, un po' meno, ma i tempi signora mia cambiano, ricevere in rete l'avviso di una nuova pubblicazione. La Subjangle è entrata nel novero, con applausi scroscianti per Darrin Lee, un tizio che oltre a incoraggiare tramite la label decine di artisti molto più che meritevoli dirige l'indispensabile blog Jangle Pop Hub, classico go-to-site per tutti gli amanti di Roger McGuinn, chitarre scampananti, dodici corde e psichedelia leggera.

 

Tra gli ultimi gioielli messi in vetrina risulta particolarmente degno di nota questo Michael Telles, un insegnante dal Massachussets ormai da molto tempo impegnato a scrivere, celandosi dietro allo pseudonimo Night Heron, emozionanti frammenti di folk-pop trasognato che tradisce notti insonni passate ad ascoltare Nick Drake, Elliott Smith e Joe Pernice. A volte bucolico e pastorale, altre etereo e spaziale, Telles dipinge di concetti dream pop, normalmente non il nostro genere guida ma le eccezioni sono fatte per confermare le regole, delicatissimi estratti onirici da backyard meditativo subito ben rappresentati dall'iniziale Only In The Summer, la cui estate è presa di sera, al tramonto, quando l'afa della giornata si mescola al fresco del primo buio.

 

Tra molti spunti acustici - You're So Right sarebbe potuta uscire dalla penna dei Kings Of Convenience trapiantati negli eighties e negli Stati Uniti - e altrettante gemme pastorali come Witch City, le diciotto tracce di "I Heard You Dreaming" sono legate da un comune denominatore dreamy e dall'amore sconfinato per Either/Or e Figure 8. Già, diciotto tracce: sulla falsariga dell'operazione Late Pioneers, trattata su questo blog qualche mese fa, la Subjangle ha optato ancora per una meta-compialtion: cinque tracce di nuovo conio in partenza, accompagnate da altre tredici pescate dall'estesissimo catalogo dell'autore, tra le quali spiccano, sempre e comunque timidamente, la drakiana So Unlike Me e la smithsiana In The Blue (For Amber).

 

Incantato, leggero, fragile, come i numi tutelari citati. Aggiungete un (bel) po' di Byrds e Zombies dilatati più nei suoni che nei tempi e avrete il kit di base per capire Night Heron. Che tra l'altro è uscito in questi giorni con un vero disco nuovo chiamato "Forever Ending", di cui vi daremo conto nelle prossime settimane.

Listen on Bandcamp 



venerdì 24 luglio 2020

Disco del Giorno: The Lickerish Quartet "Threesome EP Vol.1" (Label Logic, 2020)


Un EP dovrebbe finire nel noto contenitore "Un Venerdì da Single", ci eravamo dati buona norma e altrettanto giusta regola non molto tempo fa. Me le regole si rafforzano a suon di eccezioni e questo è un dischetto che per storia e pedigree degli autori merita di restare... single. Non perché ci sia da aspettarsi un diluvio di parole, o meglio, di ragionamenti se ne potrebbero fare, ma il tempo di questi tempi è poco e dunque less talk, more rock, come dicevano dei ragazzotti punk di Winnipeg più di vent'anni fa. 

Innanzitutto i Lickerish Quartet non sono un quartetto, tanto per iniziare ad assaporare la bizzarria del contesto. Lickerish Quartet è un soft porno anni settanta diretto da Radley Metzger con Frank Wolff protagonista, mentre i tre componenti della band omonima e tributante sono i Jellyfish senza Andy Sturmer. Davvero. Per gioco, amicizia, o non si sa cosa, Roger Manning, Eric Dover e Tim Smith si sono ritrovati per delle sessioni di scrittura non agonistiche e ne sono usciti con una dozzina di canzoni: le prime quattro compaiono nel "Threesome EP Volume 1", giusto per proseguire sul filone dell'erotico leggero, mentre le altre otto saranno suddivise in due ulteriori dischetti attesi entro l'autunno del 2021.

 

Il livello, manco a dirlo, è stellare. Foododdle, da tempo immemore già tra i demo immagazzinati nell'ampio archivio di Manning, è un pastiche di spiltmilkiana memoria con l'aggiunta di un bel po' di glitter, e le liriche a cura del sorprendente Dover - "un bell'esempio del mio umorismo da bambino di sei anni quando si tratta di questioni da adulti" - infiocchettano un brano che vi sta già facendo muovere i piedi anche se ancora non l'avete ascoltato. La libidinosa Bluebird's Blues, per sonorità, produzione e coerenza cromatica richiama fortemente il Mr Blue Sky di Jeff Lynne e l'Electric Light Orchestra dei medi settanta, laddove la successiva There Is A Magic Number odora di folk e grande cantautorato. Chiude la strepitosa e ambiziosetta Lighthouse Spaceship, una suite di pop progressivo nel senso positivo del termine in cui la zucca genialoide di Manning tracima d'idee libere e seducenti, con un motivetto che richiama il miglior barocco della casa qua e un cenno grato ai Beatles '68 là.

 

Il "Threesome EP Volume 1" si completa in diciannove minuti di puro godimento estetizzante e conferma l'imperitura forma di Manning e soci, fomentando notevolmente l'attesa per le canzoni già scritte che ancora giacciono ignote.

lunedì 20 luglio 2020

RIP Emitt Rhodes, the one man Beatles


La conferma è arrivata da Cosimo Messeri, il regista che nel 2010 ideò e diresse "One Man Beatles", lo splendido documentario dedicato alla figura del grande Emitt Rhodes: nella notte tra il 18 e il 19 luglio si è spento nel sonno il leggendario cantautore nato il 25 aprile di settant'anni fa a Decatur, Illinois. Polistrumentista e grande architetto della canzone pop, Rhodes esordì dietro ai tamburi dei Palace Guard nei tardi anni sessanta, prima di deflagrare nei celebri Merry-Go-Round. 


La storia della nostra musica conserverà per sempre tra i propri ricordi più cari il suo primo, omonimo album da solista pubblicato da ABC/Dunhill, un concentrato di classe ispirata, soffice e genialoide al punto da fomentare continui e presto inalienabili paragoni con la scrittura del miglior McCartney, di cui è considerato dai veri gourmet della materia il degno contraltare sul lato occidentale dell'Atlantico. Registrato su un quattro tracce nello studio di casa e contenente imperituri capolavori quali With My Face on the Floor e Fresh as a Daisy, l'LP solista del 1970, esattamente come i successivi "Mirror" (1971) e "Farewell To Paradise" (1973), contiene tracce interamente cantate, suonate e registrate dal solitario Emitt.

A lungo sfuggito alle luci della moderata ribalta, il signor Rhodes ha rilasciato nel duemilasedici un ultimo album intitolato "Rainbow Ends", titolo che non assomigliava a un'apologia dell'ottimismo ma una raccolta di canzoni di livello ancora una volta altissimo e ancora una volta, oltre quarant'anni dopo i capolavori che ne definirono per sempre la posizione negli annali della musica pop, madido di frammenti melanconicamente romantici, perché ogni ispirazione artistica, o quasi, "ha origine da un cuore spezzato", come egli stesso ebbe a dire.

"Emitt Rhodes", pluricitato disco di cui qui sopra ci onoriamo di riproporre la copertina, si è piazzato al trentunesimo posto nella classica lista stilata da John Borack nel 2007 comprendente i duecento migliori dischi power pop della storia.

martedì 30 giugno 2020

Disco del Giorno: 2nd Grade "Hit To Hit" (2020 - Double Double Whammy)



Peter Gill da Philly, ex Free Cake For Everyone, è uomo da spizzichi e bocconi come denuncia la copertina di "Hit To Hit", il secondo album dei 2nd Grade: non è per nulla detto che sia un male. Ventiquattro canzoni, quarantuno minuti, un barile tracimante di idee e idee che a tratti sembrano schizzi incompleti. Eppure, il loro secondo album trasuda charme con pochi paragoni nel panorama pop del duemilaventi. Sono piccoli frammenti di musica melodica e meravigliosamente lo-fi, abbozzi, quasi demo, governati da un'idea di ritorno ai semplici anni della fanciullezza - 2nd Grade, per l'appunto - che per contrasto in negativo richiamano le complicazioni posticce dell'età adulta, ben rappresentate nell'apertura affidata alla clamorosa W-2, tornado melodico di americana a bassa fedeltà dedicata al burocraticissimo modulo per la compilazione delle tasse.

 

Un percorso lungo più nell'immagine che nella sostanza, popolato da bozzetti come Dennis Hopper In Easy Rider, Over And Over e When You Were My Sharona (titolo geniale anzichenò) che potrebbero essere usciti dalla raccolta di outtakes di un ipotetico Robert Pollard in versione ultra-twee, con il singolo Velodrome a rappresentare il contingente al meglio.

              

Provvisto di attrezzatura vocale docile e garbata, Peter Gill ha altresì caricato il bagagliaio di molte ballate perlopiù struggenti e situazioniste: la sfida consiste nell'evitare che il vostro cuoricino si frantumi in mille pezzi durante l'ascolto di My Bike, You're So Cool e Maybe I. La strepitosa Trigger Finger sembra una demo buttata giù da Brendan Benson, intendo il grande Brendan Benson, non l'ultimo del mestissimo "Dear Life", nella preparazione di "One Mississippi", e Boys In Heat, forse per attinenza territoriale, richiama il power pop docile docile dei mai dimenticati concittadini Bigger Lovers. 

 

Pezzi brevissimi, spunti incontenibili e frammenti melodici irresistibili, romantici e proposti senza soluzione di continuità. Dite che Gill avrebbe potuto sintetizzare le molte ottime idee per creare un lavoro più compiuto? Non siamo d'accordo: proprio per le sue singolari caratteristiche, oltre che per le molte grandi intuizioni presenti, "Hit To Hit" è uno dei dischi più affascinanti della prima metà dell'anno.


venerdì 26 giugno 2020

Un Venerdì da single #4



Vegas With Randolph "N.S.A." 


John Ratts ed Eric Kern non stanno mai troppo tempo senza farsi sentire. Nei dintorni di Washington DC, anche se i confini territoriali li collocano ancora nella Virginia settentrionale, i Vegas With Randolph continuano a produrre ottimo power pop, già a suo tempo definito "musica da festa per gente illuminata." Dal 2008 sono arrivati quattro album in dieci anni: l'ultimo, l'ottimo "Legs and Luggage", l'abbiamo ascoltato per la prima volta due anni fa. In attesa di sapere se il tempo medio tra le uscite verrà rispettato, la band ci rassicura con un bellissimo singolo digitale segnato dall'acronimo N.S.A., "No Strings Attached", in slang, quelle azioni che non richiedono nulla in cambio, specie in ambito amoroso. Nessun coinvolgimento sentimentale, insomma: accontentatevi della loro ultima pubblicazione.

Coast Red "Yes Man"

Due singoli e un EP in meno di un anno per il duo californiano, anche se l'esordio sul supporto fisico ancora non è arrivato. Nick Noble e Jacob Sloan continuano a scrivere imperterriti in attesa che qualcuno provveda alla necessità, rimanendo ben ancorati a quegli anni d'inizio millennio in cui canzoni come Yes Man riempivano le chicchissime sale di ogni discoteca indie-rock rispettabile. Detto che il genere nel corso degli anni ha perso molta della freschezza originaria - i nuovi dischi di Strokes, Fratellis e Drums sono le più recenti dimostrazioni in questo senso - l'operazione Coast Red assume notevoli meriti per il riuscito tentativo di rivitalizzarlo. 

Dungeon Of Skeletons "Valencia" 

"La vita è strana, la musica di più. Le nostre influenze cambiano in continuazione: tra quelle del momento sicuramente i Beach Boys, Halloween, il caffé e i dolori articolari cronici." Justin Kline è stato già ospitato su queste pagine una vita fa, per ben tre volte, grazie a un album e a due meravigliosi EP che da quasi dieci anni, di tanto in tanto, tornano a girare nei nostri impianti. Con molto piacere ospitiamo il nuovo progetto di Justin prodotto da Mike Purcell (Superdrag, Lees Of Memory), che l'autore suggerisce ai fanatici di Nada Surf, Teenage Fanclub e, appunto, Superdrag. Il pezzo qui esposto ha piuttosto le sembianze di una bellissima ballata semi-acustica, segnata dalla melodiosa e irresistibile voce del signor Kline che ci induce a sperare in qualcosa di più, possibilmente a breve.

Mom "Tonight"

Quando associate la Svezia all'ampio genere chiamato power pop e lo fate davanti a noi, state sicuri che uno spazio in apertura lo troveremo senza dubbi. Donny Merkins, Luke Wharm e Frank Uptight sono un trio di Malmo meraviglioso nel raccogliere come meglio è difficile riuscire l'impegnativa eredità della grande cultura pop-chitarristica patria, immergendone le impareggiabili qualità in un barile colmo di denso glam'n'roll d'annata. Voci e chitarre studiate sui vecchi testi di Quick e Milk'n'Cookies, dunque, tenendo però sempre ben presente il lascito ereditato da "In Color", necessario ad accentuare una notevole propensione energetica comunque innata. Tonight e Track Of My Tears, almeno per il momento, compongono il singolino dell'anno in attesa dell'album lungo previsto per l'autunno.

Jim Trainor "Glass Half Full"

Avevamo parlato di Jim Trainor nella scorsa puntata e tessuto le lodi della splendida ballata Sometimes, che a quanto pare aveva servito da apripista a questo extended di brani sei, in attesa di un auspicabile album vero e proprio. L'autore dall'Idaho maneggia con estrema nonchalance il manuale melodico, e le canzoni in scaletta trasudano capacità scrittorie non comuni. The Only One, psichedelicamente movimentata da suadente sitar, apre le danze seguita da una pura gemma dedicata a tale Claire, saltellante mid-tempo genialoide benedetto dai capostipiti Roger Manning e Jeff Lynne. L'urgente saetta melodica Grace & Beauty alza i bpm aggiungendo un'altra freccia alla faretra di Trainor, mentre Mine to Take è un altro grande frammento di composizione colta e ispirazione lennoniana che starebbe a pennello tra le ultime produzioni dei Cotton Mather. Insomma ce n'è abbastanza per rendere Glass Half Full uno dei dischetti dell'anno, e mi chiedo cosa stiano combinando i grandi capi delle etichette discografiche se una splendida raccolta di canzoni come questa è disponibile solo in formato digitale.

Lolas "Louise Michel"

Dopo quasi tre lustri di silenzio dal 2006 di "Doctor Apache" allo scorso anno in molti pensavano che il grande Tim Boykin avesse messo la parola fine, e da tempo, ai Lolas. Improvvisamente, ritrovate volontà e ispirazione, il talento puro da Birmingham, Alabama, ha tolto le ragnatele al mitico gruppo che scrisse "Silver Dollar Sunday" presentando nel giro di pochi mesi non uno, ma due album nella seconda metà del 2019, e ora rilancia con il nuovo singolo Louise Michel che magari aprirà la parentesi a un nuovo capitolo della saga. Il compagno Boykin aveva chiuso l'ultimo disco intitolato "Bulletproof" addirittura con L'internationale, e riprende con un'ode all'indimenticata protagonista della rivolta anarchica francese ottocentesca: quando si dice l'importanza delle radici. Ah, poi ci sarebbe la musica: che volete che vi dica che già non si sappia? I Lolas confermano la loro iscrizione alla serie A del power pop d'inclinazione McGuinn/Davies per il ventiduesimo anno consecutivo. 

Wilson & the Catholics EP

Dalla sua casa di Joplin, Missouri, e in coerenza con l'impegnativo nome che si ritrova, Wilson Hernandez è solito spedire lettere d'amore beachboysiano approfittando dello pseudonimo Tennis Club, circostanza che basta e avanza per attirare l'attenzione di un addetto alla materia della pallina di feltro gialla come il sottoscritto. Lo scorso anno il trio ha fatto uscire per la somma Elephant Records il bellissimo mini-album "Pink", e scrutando i possibili sviluppi futuri Wilson si è poi dedicato a un'estemporanea avventura solista, votata a un bedroom pop d'influenze non dissimili da quelle attribuite alla sua band principale, ma di concetto più lo-fi e "indie" nel senso migliore di un termine ormai generalmente privato di significati positivi. Più che i Beach Boys, di conseguenza, le otto tracce che compongono l'omonimo EP di Wilson & the Catholics (uscito solo in cassetta per l'etichetta DIY giapponese Galaxy Train) sembrano delle demo di Mark Johnson & the Wild Alligators. E tanto basta a ospitarlo volentieri da queste parti.