martedì 31 marzo 2020

Disco fel giorno: Graham Gouldman "Modesty Forbids" (2020 - Lojinx)


Nomi grossi, nel martedì non grasso di UTTT. Grahm Gouldman non lo presento perché potrei perdere l'attenzione e la stima del lettore in pochi secondi. Lo sappiamo chi è, lo sappiamo, non c'è bisogno. Unico membro rimasto costantemente al proprio posto in quella compagnia musicale nota al mondo grazie allo pseudonimo 10cc, Graham torna con un disco solista a otto anni di distanza dal precedente "Love and Work", e se pensate che i periodi di pausa tra un vecchio e un nuovo lavoro di studio siano troppo lunghi sappiate che l'autore non ama comunque battere la fiacca, tra tour estesi, partecipazioni, ghostwriting, produzioni più o meno occulte e chi più ne ha, più ne metta.

Per esempio, giusto un paio d'anni fa gli è suonato il telefono. Dall'altra parte della cornetta c'era Ringo Starr, forse avete presente, il quale gli domandava se il periodo fosse stipato d'impegni. L'intenzione sarebbe stata quella di assoldarlo al basso per un tour della All Starr Band, la classica offerta difficile da rifiutare e in effetti accolta. Rincasato dalla piacevole gita, il signor Gouldman ha preso carta e penna e ha ringraziato in musica: il risultato è racchiuso in Standing Next to Me, traccia d'apertura di "Modesty Forbids", che racconta delle emozioni vissute accanto al miglior batterista di Liverpool. "Ho passato delle giornate incredibili in tour con Ringo, e quando l'ho chiamato per dirgli che avevo in mano un pezzo dedicato a quell'esperienza ha voluto in qualche modo farne parte". Ebbene, i tamburi in Standing Next to Me sono opera dell'ex Fab Four.

Gouldman pubblica materiale nuovo con una certa parsimonia, come si è detto, ma il tocco non si perde nel tempo, evidentemente. In Modesty Forbids il Nostro gioca per la prima volta in vita con lo swing, poi con il blues e con il gospel, persino con il jazz (ascoltare That's Love Right There). I'ts Not You It's Me era in origine stata composta per i nuovi Yardbirds, band che ai tempi d'oro aveva per lungo tempo fruito delle abilità scrittorie di Graham, e What Time Won't Heal sarebbe oro colato per esaltare il palinsesto di qualsiasi radio, perché è un grandissimo pezzo pop. Tanta classe, spunti non male e guarda guarda, la stella dell'album potrebbe essere Waited All My Life for You, che riallaccia la connessione beatlesiana in poco meno di quattro minuti di musica che sembrano usciti dalla penna di Macca. 

Pubblica l'etichetta londinese Lojinx, il cui proprietario è Andrew Campbell dei Farrah, uno dei migliori gruppi power pop nella prima decade degli anni duemila. Un altro dato che ci spinge a supportare il disco, non dovessero bastare i contenuti.

venerdì 27 marzo 2020

Un venerdì da single (marzo 2020)

D'ora in avanti, tempo e materiale congruo permettendo, ogni ultimo venerdì del mese raccoglieremo in questo contenitore il meglio dei singoli - e degli Eps, naturalmente - usciti nell'ultimo periodo, sperando di cavarcela.

Inauguriamo dunque il "venerdì da singoli" con il proverbiale botto e tre oggettini - in realtà solo due, poiché uno è astratto e per ora solo digitale - prodotti da nomi anche piuttosto noti nei paraggi che ci onoriamo di conoscere.

The Speedways - Kisses Are History (2020, Snap!)

Gli Speedways sono ormai lanciati verso l'Olimpo, e non hanno intenzione di rallentare la corsa. Matt Julian aveva pensato a un progetto semi-privato e destinato a compiersi nell'arco di un solo disco, il clamoroso "Just Another Regular Summer" uscito nel 2018, ma visti i risultati più che lusinghieri e le diffuse pacche sulle spalle ricevute, ha infine deciso di mettere su famiglia. Assoldati Mauro Venegas (chitarra), Adrian Alfonso (basso) e l'inquieto Kris Hood (batteria), Julian ha lasciato che la benemerita Snap! pubblicasse il secondo singolo della discografia, a un anno di distanza dall'esordio sulla distanza dei quarantacinque giri "Seen Better Days". I due pezzi che animano il nuovo sette pollici aprono la pista al secondo lavoro lungo di studio, che si intitolerà "Radio Sounds" e comparirà nei vostri negozi preferiti entro qualche mese. Kisses Are History è la traccia scelta per il lato A, ed è una meravigliosa canzone pop che parla di cuori tremendamente infranti, materia che l'autore aveva già  dimostrato di saper maneggiare con sospetto agio. Glorificato da una produzione che rende giustizia al nostalgico teenbeat in salsa sessantesca che lo caratterizza, il brano è per l'ennesima volta esemplificativo della qualità superiore di Matt Julian quando si tratta di adeguare le strepitose melodie a sofferte storie di amori ondivaghi. La band peraltro fa il suo anche nel lato B occupato da Number Seven, numero molto più adrenalinico che riporta ai primi amori fatti di Beat e Plimsouls che non sarebbe stato disdegnato dal catalogo Stiff. Le copie del singolo sono poche, appena 300 di cui 110 in pregiato vinile arancione. La difficile caccia, se non altro, occuperà il vostro tempo in attesa del nuovo album.



Danny McDonald - Modern Architecture (2020, Popboomerang)

Qualche lettore affezionato di UTTT forse ricorderà Danny McDonald, noto autore di Melbourne già apparso su queste pagine in occasione della recensione di "Last Man's Tucker", suo secondo lavoro di studio immatricolato nel 2007, addirittura. Prezzemolino della scena pop del Queensland, egli ha partecipato alle scorribande di Jericho e Little Murders ma soprattutto è stato il maÎtre à penser nascosto dallo pseudonimo P76, e dunque firma di quel meraviglioso album che è "Into The Sun", prossimo a divenire ventenne, è quella la faccenda spaventosa. Danny torna con un EP, anche in vinile, di cinque brani segnati da una certa qual urgenza: meno di dieci minuti complessivi intrisi di jangle fatto a regola d'arte (Cordylina, Commuter's Lament) e sferzate quasi ai limiti del punk (Judge Me For My Art, Not Where I Live). Interviene anche Anna Burley, nella malinconica e countrieggiante The Suburbs Where I Grew Up In, a infiocchettare il pacchetto. Anche in questo caso la versione vinilica è limitata a copie 150: si dia inizio alla stagione venatoria.



Eggstone - The Late (2019, Crunchy Frog)

Chiudiamo con un doveroso cenno al nuovo singolino, solo un pezzo, solo digitale, fatto uscire - scusate il ritardo - alla fine della scorsa estate dai mai dimenticati Eggstone, storico terzetto originario dei dintorni di Malmö che nei benedetti anni novanta riuscì a farsi notare nella grande mischia del pop svedese, incurante del livello generale altissimo. "Somersault" è appostato sulle nostre mensole da più di vent'anni e The Late, il singolo di cui parliamo, rincuora: rincuora avere ancora attorno Per Sunding, Patrik Bartosch e Maurits Carlsson e rincuora il bellissimo pezzo uscito dal nulla di cui abbiamo la fortuna di parlare: indie pop di chiara matrice britannica anni ottanta, rivisto attraverso quel filtro ottico esclusivamente svedese che ha reso meravigliosamente melodiosi e amabili autorità indigene quali - in questo caso viene da pensare proprio a loro - Happydeadmen e Peter, Bjorn and John. Si presume si tratti di un'uscita occasionale, ahinoi, ma mai dire mai, e in ogni caso godiamoci il momento senza dar nulla per scontato.



domenica 22 marzo 2020

For the Record: A Tribute to John Wicks (2020, Kool Kat)


Quarant'anni di grande musica, decine di canzoni da enciclopedia e almeno due LP che definiscono il genere. "Shades in Bed" (1979) e "Crashes" (1980) vanno inseriti nel vademecum del novizio che si approcci al power pop, e Starry Eyes, scritta a quattro mani col compagno di sempre Will Birch, rimane una delle canzoni più meravigliose di sempre. Nato a Caversham il ventotto febbraio del 1952, John Wicks è stato un'icona e un esempio per decine di migliaia di seguaci e colleghi fino al giorno della morte, che lo ha colto a Burbank il sette ottobre di due anni fa in coda a una lunga e sfortunata battaglia contro il cancro.



La sua discografia, corposa e colma di gemme nascoste anche nei dischi passati sotto traccia, in quei giorni era in procinto di allungarsi di un'altra unità: insieme a una schiera di fidati musicisti, tra i quali occorre perlomeno segnalare la presenza di Elliott Easton, naturalmente la chitarra solista dei Cars, egli aveva approntato le parti strumentali dei dodici brani che avrebbero composto il suo nuovo disco, se il tempo glielo avesse consentito. Purtroppo la vita non è stata così magnanima, e ad eccezione della splendida She's All I Need le nuove creazioni erano rimaste senza voce. 

Richard Rossi, giornalista musicale e amico di vecchia data di John, ha opportunamente deciso che il testamento sonoro di uno dei più grandi compositori britannici di tutti i tempi non avrebbe potuto rassegnarsi a prendere polvere dimenticato per l'eternità: diramate le convocazioni, Rossi ha radunato alcuni tra i più talentuosi amici e collaboratori che a vario titolo avevano negli anni intrecciato la carriera con la parabola di Wicks, affidando a loro le parti vocali rimaste vacanti. Ne è emerso un tributo dei più commoventi, e se non vi è sufficiente la nostra opinione fidatevi di quelle di Carl Caffarelli da This Is Rock'n'Roll Radio ("una delle migliori lettere d'amore mai scritte"), e di Ronnie Barrett dei Muffs ("il grandissimo album che John non ha avuto la fortuna di poter completare").



Difficile segnalare solo alcuni momenti tra i tanti picchi di "For The Record", ma qualora dovessimo essere obbligati citeremmo gli eccezionali omaggi classici di Peter Case (Plimsouls) e Al Stewart impegnati a prestare le corde vocali a In Out Motel e The Beltway, la coinvolgente (e coinvoltissima) prova dell'amico fraterno Paul Collins in Glittering Gold e quella regalata dalla suprema Carla Olson, irresistibile in (The Sordid Tale of) Elvis Strange. Da batticuore anche il finale del disco, dove la già citata She's All I Need è posta in penultima posizione, a impreziosire la fortissima tensione emotiva creata da Kyle Frost e Nick Guzman nelle splendide Learning To Live Again e Chasing Angels. Il resto della storia è impressa a fuoco in alcuni leggendari solchi di vinile nero, non credo serva aggiungere molto altro.

Kool Kat | CD Baby | Amazon

lunedì 16 marzo 2020

Disco del Giorno: The Dowling Poole - "See You, See Me" (2020; 369 Music)


"In quattro anni possono cambiare tante cose, e negli ultimi quattro, in effetti, ne sono cambiate moltissime. Fatti e avvenimenti che hanno sconvolto il mondo, senza dubbio. In Hope - uno dei tre singoli già estratti dal nuovo album, NdR - abbiamo inteso dar voce a ciò che ultimamente ci è toccato apprendere: non sono né i disastri né le incertezze a causare disperazione, ma la speranza che di tanto in tanto ci soccorre promettendo qualcosa di meglio, salvo poi abbandonare la scena lasciandoci di nuovo nella più cupa precarietà". Questo il succo dell'analisi proposta da Willie Dowling, tornato nei superstiti negozi di musica insieme a Jon Poole per il terzo capitolo della saga Dowling Poole - edito e pubblicizzato dalla 369 Music di proprietà Kasabian - che segue di quattro anni, per l'appunto, il precedente One Hyde Park.
 

Un quadriennio fecondo anzichenò, anche se non era facile mantenere gli standard delle prime due iperboliche pubblicazioni. "Ma si cresce parecchio, anche e soprattutto inconsapevolmente - ha continuato Willie Dowling, qui anche nelle solite vesti di produttore -, non ti accorgi dei cambiamenti imprevedibili che la musica ascoltata e la vita trascorsa operano nel tuo intimo essere, eppure non si può evitare di modificarsi, di evolversi. Se in meglio o in peggio non tocca a me dirlo". Hope, per proseguire nel solco del discorso iniziato, è un elemento nuovo nell'esposizione del duo: il suo incedere ammiccante, fumoso e cotonatissimo pesca a piene mani, non ci si indigni e si evitino pericolose forme di prevenzione, dall'allegro carrozzone soul e funky e dance che nei primi Ottanta vendeva a carrettate con Midnight Star o Shalamar. Addirittura? Ebbene sì. Dowling e Poole sfumano con una tinteggiata molto più pop nei caratteri espressivi e l'azzardo, seppur forse non una delle altissime vette dello stellare disco, finisce per pagare i dividendi. Si cambia, ci si evolve, Dowling.

Le forme di sperimentazione e di ribellione agli schemi costituiti meritano sempre il massimo del rispetto, ovviamente, ma i brani dei Dowling Poole si impennano in comfort zone, quella abitata in pantofole da Andy Partridge e Roger Manning. Così l'apertura affidata alla title track è un gioiello brillantissimo di chiara ispirazione Jellyfish e il capolavoro Made In Heaven, altro singolo estratto dall'album, plana in pieno territorio Apples and Oranges. Gli XTC, ineludibili archetipi di tutta questa storia, ricompaiono spesso qua e là nel disco, per esempio durante The Light Dies Down, così come riappare Manning Junior, miscelato a qualcosa che potrebbe rassomigliare gli Squeeze di Cool for Cats in Alison's Going Home.



I Blur, che già a loro tempo avevano ruminato e digerito le fondamentali lezioni dei padri della patria, si manifestano nella loro versione più electro come dei fantasmi sabotatori in svariati rivoli di "See You, See Me", forse prendendo la scena nella maniera più manifesta per guidare l'ottima The Product. Menzione finale per un altro episodio bizzarro e ribelle, quella Human Soup che rispolvera dopo anni di colpevole dimenticatoio le canzoni pop in temerarie escursioni bossanovistiche di Mr Shirley Lee ai tempi degli Spermint di A Week Away. Tante trovate genialoidi e inaspettate si innestano miracolosamente in coerenza sulla base classica di Partridge e Moulding e Tillbrook e Albarn, che i Dowling Poole hanno studiato per secoli e, ci fosse un minimo di giustizia a questo  mondo, o anche solo fossimo nel 1996, garantirebbe ai due protagonisti una certa sicurezza economica.


martedì 10 marzo 2020

Disco del Giorno: The Late Pioneers - s/t (2020; Subjangle)


E dunque siamo stati ufficialmente messi in quarantena, una brutta e noiosa faccenda ma poi noiosa nemmeno troppo, a prenderla dal verso giusto. Quanti dischi e libri abbiamo accumulato sui nostri sempre più pericolanti scaffali negli ultimi due mesi? Tanti, perché di tempo ce n'è poco. Adesso che il magazzino di ore libere ha improvvisamente rivelato la sua metratura immensa possiamo ridurre le cataste, tanto da aprile ricominceremo serenamente ad ammassare carta, plastica nera e plastica grigia nei nostri appartamenti.

In momenti tanto incerti e surreali rincuora alquanto trovare conforto tra le persone fidate, e Darrin Lee, CEO della commendevole etichetta discografica Subjangle, è una di queste. Ci sono esseri umani di cui infallibilmente ci fidiamo, quando si parla di gusti musicali: il signor Lee, attraverso il supremo blog di genere Jangle Pop Hub, nell'ultimo anno ha fornito suggerimenti inesauribili e di qualità senza sosta, dunque il tizio a occhio e croce andrebbe seguito, se conosco come credo il profilo del lettore medio di UTTT. L'ultima produzione della sua label è una raccolta dei misconosciuti Late Pioneers, quattro amici di Manchester dispersi ai quattro angoli dell'isola causa lavoro, mogli e faccende di vita varie, che si riuniscono di tanto in tanto, come noi ci riuniamo per il Natale, allo scopo di registrare canzoni e mettere in piedi lo sporadico concerto.


La passione viscerale gronda dall'etica e dalla produzione dell'omonima compilation che abbiamo in mano, divisa tra i pezzi dell'EP "Close Enough" (2019), del disco lungo "Bin Wang" (2016) e alcune tracce inedite selezionate per noi dall'eminenza grigia Julie Fowler, proprietaria del fondamentale blog Colours Through The Air. Venti canzoni brevi, spesso intorno ai due minuti e mezzo l'una, di sixties pop a fedeltà piuttosto bassa e sapete che non è una critica. Alla scrittura si prestano tutti e quattro i membri della band, pure inclini a cambiare volentieri lo strumento di competenza. Un concetto di cuore e famiglia, con gli eroi che vi aspettereste sullo sfondo: Let Me Tell You How It Hurts, cui è affidato l'avvio del disco, è un manifesto jangle byrsiano e anche una dichiarazione d'intenti insieme alle splendide Resilient Man e Something Special, che onorano con la loro brillantezza compositiva il mito di Ray Davies, l'altra stella polare dei quattro.


Il geniale germe dei Kinks, veri eroi della situazione, vagola indisturbato anche in Leaving Today e Never Been Easy, due ottimi pezzi che mi ricordano una band da queste parti amatissima e interprete tra le più sublimi dell'eredità storica a noi più cara: sto parlando dei grandi Bronco Bullfrog. Non indifferenti anche le parti più intime e cantautorali, e se Something to Sing potrebbe anche farvi pensare a Tony Hazard davanti al falò, The Bench scomoda certo Billy Bragg, se non altro per la pulsione intrinseca, che nessuno si offenda. Into The Mud trasmette sensazioni Velvet Underground ma di quelli soft, e altro jangle, più sghembo, arriva da Stepford Wives, che a me comunica addirittura la presenza, da qualche parte nelle vicinanze, del sommo Dan Treacy. In attesa che Nathan, Peter, Craig e Nick organizzino una nuova reunion, qui abbiamo materiale per un po' sufficiente a passare in serenità queste obbligatorie serate casalinghe.

domenica 8 marzo 2020

Una playlist per la Festa della Donna.


8 marzo, festa della donna. Una playlist per celebrare una tra le più significative giornate dell'anno. 25 pezzi assolutamente fantastici, 25 nomi di splendide ragazze nei titoli.

Godetevela.

venerdì 6 marzo 2020

Big Stir Singles: The Fifth Wave (2020; Big Stir)


Negli ultimi anni Big Stir e Kool Kat si stanno contendendo a suon di uscite incendiarie lo scettro che spetta alla miglior etichetta power pop del globo terracqueo: noi non tifiamo per nessuna delle due fazioni e, salomonicamente imparziali, ci limitiamo a godere dei notevoli dischi in continua uscita. La Big Stir di Burbank, California, da qualche tempo sta portando avanti una bella idea: con cadenze pressoché settimanali, essa pubblica in formato digitale quelli che concettualmente sarebbero dei veri e propri singoli in 7". Un gruppo, due pezzi; un immaginario lato A e un dirimpettaio lato B ideale. Ogni tre mesi, a partire dallo scorso anno di grazia, i mai troppo lodati proprietari Rex Broome e Christina Bulbenko hanno cominciato a raccogliere i suddetti pezzi in una serie di compilation, confezionando queste ultime in regolamentare formato CD.

"The Fifth Wave", in uscita proprio oggi venerdì sei marzo, è naturalmente il quinto capitolo della saga ed è una gioia per occhi e orecchie. Tante sfaccettature della nostra musica preferita in questo volume: si parte dai Goalltheways, che già per il nome dovrebbero meritare la vostra imperitura stima, supergruppo con membri di Brothers Steve, Armoires e Sugarcult nelle proprie fila, intenti a sviluppare la cover dell'anno nell'interpretazione di Silly Girl dei Descendents. Goalltheways che aprono pure l'immaginario lato B dell'album muovendosi sulle stesse coordinate semantiche, stavolta trattando Tourist dei Pink Lincolns.



Il livello generale fa sorridere per quanto è alto, e il dovere di esaltare gli episodi migliori si sovrapporrebbe al piacere di citarli quasi tutti. Per sintesi, poiché l'invito è di scoprire di persona l'intera collezione, val la pena parlare dei due brani offerti dal grande Lannie Flowers: My Street è un gioiellino che un tempo avremmo definito popicana, qui in versione diversa rispetto a quella apparsa su "Home", l'ultimo lavoro di studio del globetrotter texano finito alla posizione ventidue nella classifica riguardante i migliori dischi del 2019 secondo il blog che mi fate l'onore di leggere, mentre Summer Blue è sommo frammento jangle sinora reperibile esclusivamente in formato digitale.

Altrove brillano gli ottimi It's Karma It's Cool dell'ex Popdog britannico Jim Styring, abili a richiamare con gran gusto certe sonorità brit pop prodotte nell'Inghilterra settentrionale a cavallo tra gli anni '80 e '90, e le due facce forse più lontane e parimenti amorevoli della nostra tazza di pop quotidiano: quella quasi folk dei padroni di casa Armoires e quella decisamente power dei Morning Line. Con un'ottima interpretazione del classico dei Pilot Just a Smile insieme all'autografa e dolcissima Make You Mine è presente l'antico sodale Torbjorn Petersson con il suo progetto Tor Guides, mentre i loureediani Speed Of Sound dell'originale Seen it All Before propongono una gradevolissima versione di I See You dei Byrds.

C'è anche dell'altro poiché, ripetiamo, qui tutto è meritevole. Non vi resta altro che ordinare il cd approfittando del link in calce a questa cronaca forse già troppo lunga: mica vi possiamo dire tutto noi.

martedì 3 marzo 2020

Disco del Giorno: Mo Troper - Natural Beauty (2020; Tender Loving Empire)


A me piace, nascosto dietro l'angolo, osservare la gente che parla senza alcuna cognizione di causa di ciò che ritiene sia la musica pop. Mi piacciono i commentatori seriali delle patinatissime riviste e i brillantissimi cronisti della domenica. Mi piace un sacco. Mi piace TV Talk e mi piace Rolling Stone. Sono casse di risonanza ancora in grado di sviluppare un hype enorme attorno a personaggi improbabili, in contumacia di contenuti e nonostante di dischi non se ne vendano più. Sono bravissimi, comunicatori eccezionali, esteti raffinatissimi. E pensate se si accorgessero che qualcuno scrive ancora canzoni meritevoli di essere diffuse alla radio: questo qualcuno potrebbe fare della propria passione addirittura una professione e, pensate, alla radio si ascolterebbe musica decente.

Forse la chouchroute che ho mangiato ieri sera m'è rimasta sullo stomaco, e i miei sogni indigesti sono stati gravidi di fantasie assurde. Eppure un mondo migliore non è impossibile, solo che per qualche motivo non potrà essere abitato da moltitudini: resterà affare privato, per noi e pochi altri, per fortuna quasi tutte ottime persone. L'ultima conoscenza l'abbiamo fatta con Mo Troper da Portland: al terzo disco, egli si candida a un posto saldo nella top ten di fine anno, anche se l'inverno non è ancora finito. Il suo "Natural Beauty" è un album splendido, fatto di brevi spaccati di musica popolare pronta per le masse, se le masse fossero ancora dotate di apparato uditivo. Melodie semplici e istantaneamente adesive accompagnano testi situazionisti e astuti nella loro ricerca del bandolo nella quotidianità, tra relazioni iniziate e finite nello spazio di una manciata di messaggi social e di cibo discutibile trangugiato davanti alla tv perché "non ho davvero niente di meglio da fare".


Nel power pop, lo chiameremmo così per l'assidua presenza di chitarre sostanziose, di Almost Full Control e Potential e nel jangle d'assalto di Your Boy il signor Troper dimostra ampiamente di conoscere il fatto suo. Nelle strutture semi-acustiche di un Matthew Jay meno tormentato, o di un Robert Post, persino di Matt Keating, mica c'è nulla di male, che bello quel suo disco su Poptones, apprezzabili ascoltando Come and Get Me e la conclusiva Cameo, la sua matita colorata disegna che è un piacere. Ma è l'infatuazione, non si sa se consapevole o meno, per il club soft pop di Association e Millenium, certo traslata in chiave moderna come sa fare il grande Wyatt Funderburk, che gronda da piccoli gioielli come Your New Friend, In Love With Everyone e dall'inaugurale I Eat a fissare l'album sul vostro piatto e a impedirvi di spostarlo. Infatti dovrò comprare un giradischi nuovo: quello vecchio al momento è occupato da Mo.