sabato 20 febbraio 2010

Disco del Giorno 19-02-10: Benjamin R - The Other Side of Nowhere (2009; autoprodotto)

Rob Selvaggio, alias Benjamin R, professione produttore di pregio (dischi di Puddle Of Mud e Jewel, nientemeno, tra le sue opere), ha deciso di passare dall'altra parte della barricata, o meglio, della consolle, per incidere le undici tracce di The Other Side of Nowhere, il suo disco di debutto. Come succede spesso in situazioni di vita similari, Rob di giorno limava, studiava, affinava suoni e voci altrui, ma di notte, me lo immagino, si chiudeva nel suo home made studio a trascrivere su un quadernetto le proprie emozioni di vita quotidiana. E quante ne avrà tradotte in musica. Si mormora che Rob Selvaggio, nel corso di queste sessioni private, abbia scritto decine e decine di brani. E chissà la sofferenza, le indecisioni ed i sospiri mentre staccava i petali dalla propria rosa di canzoni, ora scartando, ora includendo, ora posizionando diversamente, fino a scegliere le undici tracce definitive.

Pare che infine, comunque, l'autore di Los Angeles abbia fatto un buon lavoro, poichè le canzoni di The Other Side Of Nowhere risultano essere un tutt'uno fin dai primi ascolti; un muro di raffinati passaggi chitarristici ed atmosfere tipicamente americane. Nondimeno, per essere apprezzato appieno, l'album necessita di svariati ed attenti ascolti, soprattutto perchè le prime quattro tracce - che di solito scolpiscono le coordinate e la qualità di un qualsiasi lavoro nella mente dell'ascoltatore - non sono le più brillanti del lotto. Per dare un'idea generale, Benjamin R suona quella forma di rock cantautorale, profondamente legata alle origini della tradizione americana, con una grande ossessione per le chitarrone che permeano l'intero album e per l'arrangiamento di fino. Del resto Rob, come dicevamo, è un produttore, e si sente. Il risultato dell'impatto iniziale è quello che potrebbe risultare dall'incontro tra Daniel Wilde, Ric Ocasek, un Ryan Adams più votato all'american rock piuttosto che all'americana e, perchè no, un Eddie Vedder meno vicino ai rumori di Seattle. Ecco, immaginatevi quest'allegra combriccola impegnata in un esercizio AOR rock da modulazione di frequenza ed otterrete un paragone verosimile con The Other Side Of Nowhere.

Un disco che non colpisce subito il cuore ma che dopo qualche ascolto rivela tesori nascosti di assoluto valore. Tanto per citarne qualcuno: Time Is Running Out, che in un disco come questo risulta piuttosto atipica ma che, alla fine, risulta essere un grazioso girotondo infiocchettato da precisi arpeggi jangle; Fool Myself, che invece è un manifesto del modo di pensare e di scrivere di Benjamin R, fumosa, pensosa ed estremamente passionale alla maniera del tardo Tom Petty; la stralunata conclusione, affidata a The Hunger, costruita su un'acida drum machine e su bizzarre invasioni di sitar. Poi, quando per l'ennesima volta metti il cd nel lettore, ti accorgi che ballate come I Don't Need This Anymore sono meglio di molte similari produzioni mainstream. Che poi, tutto sommato, Quit e Tell Me I'm Wrong sono ottimi brani di powerpop cantautorale sospesi tra Pete Yorn, Adam Daniel, Jon Brion preso nel periodo Grays e Del Amitri, se tutto ciò può significare qualcosa. Che, in definitiva, il rispetto per chiunque produca musica a qualsiasi livello impone all'ascoltatore di non bocciare alcun lavoro alla prima occasione. Dare seconde, terze e quarte possibilità è un pregio e un punto d'onore. In cambio, scavando e portando pazienza, si trovano gioie che il pubblico di massa, famelico e frettoloso, precoce e anche un pò stupido, non scoprirà mai.

lunedì 15 febbraio 2010

Riposa in pace, Doug.

Doug Fieger è morto. Il cantante, chitarrista e principale compositore dei Knack si è spento ieri nella sua casa di Woodland Hills, nei pressi di Los Angeles. Aveva 57 anni e da 5 stava combattendo contro un male terribile che non gli ha lasciato scampo. Di lui il mondo della musica si ricorda massimamente per My Sharona, hit leggendaria scritta insieme al sodale Beron Averre e numero 1 per sei settimane consecutive nella classifica di Billboard. Peccato ci si ricordi di lui solo per questo. Perchè Get The Knack, il primo album della sua band uscito nel 1979, è stato un capolavoro indimenticabile ed uno dei più importanti dischi powerpop di ogni epoca, contenente una serie di brani che rimarranno per sempre nella storia come Let Me Out e Your Number Or Your Name, oltre ovviamente a My Sharona ed a Good Girls Don't, della quale posto un video che non vuole essere null'altro che un tributo ad un grandissimo artista. La morte riempie sempre di tristezza, così come mette angoscia il fatto che i Knack siano stati osteggiati da parte della critica pop negli anni '80 perchè colpevoli di essere troppo famosi. Purtroppo è anche a causa di ragionamenti come questi se artisti favolosi non metteranno mai il naso fuori dalle cantine. Io dico viva i Knack e grazie a Doug Fieger, per aver portato il powerpop, anche se per un brevissimo periodo, nelle radio, nei centri commerciali, nelle case di tutti. Che tu possa riposare in pace, Doug.

martedì 9 febbraio 2010

Disco del Giorno 10-02-10: The Yum Yums - Sweetest Candy. The Best of (2009; Kid Tested)

“Quando ho scoperto gli Yum Yums non potevo credere esistesse un gruppo così figo che non avevo mai ascoltato in vita mia”. Parola di Joe Queer, uno che di pop punk francamente se ne intende. E come dargli torto, del resto. Tre album di studio da Sweet As Candy (1997) a Whatever Rhymes with Baby (2008), passando per Blame It On the Boogie (2002), più una manciata di singoli ed innumerevoli partecipazioni a compilation di ogni sorta hanno fatto del combo norvegese capitanato da Morten Henriksen un punto fermo della scena powerpop-punk vecchia maniera. E’ dunque più che giusto trovare gli “yummies”, come affettuosamente vengono chiamati dai fans di lunga data, alle prese con il primo best of della loro carriera, edito dalla label americana Kid Tested records.

Sweetest Candy, questo il brillante titolo della raccolta, offre davvero il meglio tratto dalla discografia del sodalizio norvegese, e tutte le hits minori del gruppo, da Back to Rosie a Goodbye to You, da Crazy Over You a Be My Baby sono presenti e risplendono come ai tempi in cui furono concepite. Chi, senza dolo, ancora non conoscesse gli Yum Yums, sappia che il sovraccarico di saccarina è enorme, ad alto potenziale additivo e non sarà facile perdere il vizio di farne uso smodato. Melodie senza tempo immerse in un concentrato di velocità ed energia che sommergono gran parte delle produzioni similari degli ultimi dieci anni. Del resto, il sottotitolo di questo best-of recita “Pop punk hits covered with chocolate”, non so se ci siamo intesi.

Il finale è scontato: disco consigliato ai novizi. Ma tutto sommato anche a chi, come il sottoscritto, già è pratico della questione, poiché i migliori brani del repertorio ci sono (quasi) tutti e Sweetest Candy è molto comodo da tenere in macchina per qualsiasi evenienza, pronto ad essere sparato dall’autoradio con il volume alzato oltre soglia. La tradizione powerpop-punk scandinava abita questi solchi, e non sorprendetevi se scoprirete uno dei migliori incroci tra Ramones e Rubinoos degli ultimi anni. Solo, non spaventatevi per la velocità. Buon viaggio!

mercoledì 3 febbraio 2010

Disco del Giorno 03-02-10: Bad Love Experience - Rainy Days (2009; Mabel / Inconsapevole)


Livorno, South Yorkshire.Il Tirreno che bagna Brighton oppure, se preferite, il Tamigi che taglia in due la Toscana. Valerio Casini (voce e chitarra), Emanuele Voliani (basso e voce), Gabriele Bogi (batteria) e Claudio Laucci (piano, organo e vox) sono probabilmente uno dei gruppi più britannici della penisola. Non solo, o quantomeno, non più di tanti altri a livello musicale, ma piuttosto in quanto vicinanza culturale e stilistica alla swingin' London che fu e a tutto quanto rappresenta iconograficamente l'Albione. Un percorso che sorge palese già da un titolo dell'album parecchio evocativo (Rainy Days) e si perpetua nelle vibrazioni e nelle tematiche trattate nelle dieci tracce del secondo lavoro di studio dei Bad Love Experience.

Una band in rampa di lancio e non ci vedo niente di negativo, anzi. Selezionati per la colonna sonora del nuovo film di Paolo Virzì (La prima cosa bella), e reduci da un lungo tour nell'Europa orientale dove sembrano riscuotere un incredibile successo, i quattro livornesi hanno tenuto in alto il tricolore durante lo scorso anno, portando l'unico album autoctono nella top 100 del 2009 che verrà pubblicata da UTTT entro un paio di settimane, nel regolamentare ritardo nei confronti di tutti gli altri blog che ci contraddistingue.

I ragazzi, dicevamo, posseggono un background culturale che affonda le proprie radici nell'Inghilterra dei '60s, ed i loro gruppi preferiti sono Kinks, Hollies e tutto quello che vi aspettereste. Non sono deduzioni personali, perchè i ragazzi me l'hanno confermato quando ebbi l'onore di servire in qualità di dj prima e dopo la loro esibizione all'Oste di Domodossola lo scorso Ottobre. Il fatto è che poi, tutto sommato, l'album è quanto di più lontano da un anacronistico plagio d'ordinanza. Perchè Rainy Days non è una caricatura del culto beat d'oltremanica, ma una preziosa sceneggiatura i cui elementi fondanti sono assorbiti e riflessi in un involucro indie rock'n'roll figlio dei giorni nostri. Un sound maturato dai tempi dell'omonimo album d'esordio (2006) e riscaldato a dovere dall'opera di Laucci dietro al vox. Un progressivo assestamento sonico che li ha portati a catturare l'attenzione di Justin Perkins (che ha prodotto il disco) e di Travor Sadler (responsabile della masterizzazione in analogico di Rainy Days dopo aver collaborato, in passato, con personaggi come David Byrne...).

Dunque capiterà di ascoltare Break Away e di percepire l'energia del brit-pop riscritto dal nuovo millennio.Oppure Somebody Born to Walk (and Some to Fly), dove le influenze indie e la voce filtrate portano alla memoria il moderno rock'n'roll degli Strokes, che è americano si, ma fino ad un certo punto. 21st Century Boy, il primo singolo estratto dal disco, rigurgita influenze chiaramente marchiate dalla british invasion in uno spaccato di superbo britpop organico. Poi arriva The Days - per il sottoscritto il picco del disco - che con le sue micidiali melodie entra di diritto a far parte dei migliori brani powerpop di tutto il 2009. Basta così? No, perchè voglio citare perlomeno Knowing All the Things I've Known (fantastica marcetta sunshine che la dice lunga sul background dei ragazzi) e la conclusiva All the Heroes, Unfamous People, una raffinatissima ballata di beatlesiana memoria.

Nell' attesa che le più grandi bands italiane facciano uscire nuovo materiale (a quanto ne so, il 2010 dovrebe essere un grande anno in tal senso), godetevi Rainy Days, il secondo album di studio dei Bad Love Experience e, se dovessero capitare dalle vostre parti, non esitate ad andarli a vedere dal vivo per chè meritano davvero tanto. Bravissimi.