Madison, terzo lavoro di studio dei Mea Culpa (nome perlomeno curioso per una band pop) è il classico disco proveniente dal sommerso di una "scena" che già non brilla per presenza sui media. Infatti, pur essendo uscito due anni fa, nemmeno noi cultori della materia ne abbiamo sentito parlare fino a quando Gilbert Garcia, il giornalista songwriter leader del gruppo, non me ne ha inviata una copia. Peccato, perchè il gruppo è in giro dalla fine degli anni '90, periodo nel quale registrarono due dischi che ci dicono essere molto buoni, e questo terzo lavoro, un breve mini-album di otto canzoni per ventiquattro minuti totali di ascolto, conferma le ottime basi di una band che oggi non si fila nessuno e che invece noi promuoviamo molto volentieri.
I Mea Culpa sono di Memphis, una città che negli anni '70 è stata un importantissimo punto di riferimento per il pop a stelle e strisce, e il disco è stato registrato e mixato completamente dalla band senza alcun aiuto esterno agli Ardent Studios, che se qualcuno non dovesse saperlo, sono i mitici studi dove incisero i Big Star e tantissimi altri gruppi pop americani, situati proprio in Madison street, da cui il titolo dell'album. Visti questi particolari, è lecito aspettarsi un lavoro all'altezza delle aspettative, e i Mea Culpa fanno di tutto per non deluderci.
L'album si apre con Coming Back To Me, powerpop tradizionale dove le chitarre Shoes-oriented si amalgamano ad un'atmosfera parecchio Costello. Résumé è invece un mid-tempo dal tessuto sonico più complesso, caratterizzato da marcate linee-guida di pianoforte e calato in ambito decisamente sessantista. E se c'è una cosa che non si può addebitare a Garcia e soci, quella è la mancanza di poliedricità. You're Not The One (tra gli episodi migliori del disco) e soprattutto la conclusiva Silence sono infatti due episodi di spedito guitar-pop che per attitudine e sintassi svariano a tratti verso certo pop punk, mentre What You Want è un docile segmento jangle e la successiva Your Best Appendage è uno schizzo piano-pop che ricorda vistosamente il Ben Folds solista. Nel complesso, il brano più riuscito mi sembra Nothing To Say, dove l'uso sapiente delle Rickenbacker crea l'atmosfera adatta ad una struttura del cantato davvero originale, dove le due voci si parlano e si rincorrono fino ad incontrarsi in un delicatissimo ritornello che può essere a ragione considerato l'epicentro dell'intero Madison.
Come si diceva in sede di presentazione, peccato non essersi accorti subito di un disco minore ma molto intelligente come questo. Verrebbe facile dire mea culpa, mea maxima culpa. Però per favore, cambiate nome...
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