sabato 27 dicembre 2008

Disco del Giorno 27-12- 08: The Brilliant Mistakes - Distant Drumming (2008; Aunt Mimi records)

Una settimana di pausa per gestire gli impegni festivi è stata purtroppo necessaria, ma per farmi perdonare vi presento un album che dovreste segnare subito sulla vostra agenda nella sezione "prossimi acquisti". Ci sono sempre stati dischi che inizialmente non degnavo di uno sguardo ma che poi, per fortuna, mi sono "cresciuti addosso" fino a diventare indispensabili. Ce ne sono altri, invece, che sono entrati subito, di prepotenza, nel mio cuore. Al Primo ascolto. Al primo accordo. Ebbene, sono felice di affermare che Distant Drumming, il terzo lp dei newyorkesi Brilliant Mistakes (grandissimo nome, tanto per cominciare. Under The Tangerine Tree invierà un regalo a sorpresa a chi indovinerà da dove è stato preso), appartiene alla seconda categoria, e sebbene debba ancora ascoltare tanti (troppi?) dischi 2008 prima di compilare la temibile top 100, sono sicurissimo che entrerà a far parte dei primi cinque posti in classifica, probabilmente molto in alto.

Chi legge da qualche tempo questo blog sa che il mio genere preferito dopo il pop è l'americana, dunque chiunque riesca a mixare con successo le due cose, tendenzialmente diventa un autore gradito da queste parti. I Brilliant Mistakes, che ci crediate oppure no, sono il miglior gruppo in questo senso dell'anno, e forse non solo di quest'anno. Ogni singolo brano, tra i dieci che compongono Distant Drumming, è roba da emozioni forti. Le voci di Alan Walker (tastiere), Erik Philbrook (basso) e Paul Mauceri (batteria) si trovano con facilità disarmante, creando lussureggianti e raffinatissime strutture armoniche a tre parti, mentre il sound, spesso posato su gloriose strutture di Fender Rhodes ed Hammond B3, per tempi e cadenze si abbevera all'inesauribile fonte della storia alt.country americana. Il risultato dell'operazione, ancorchè intuibile, è sorprendente, davvero sorprendente, per gusto e freschezza, e la suprema abilità nella scrittura del trio di Brooklyn fa il resto. Le canzoni, come diciamo sempre, sono la sola cosa importante, e quelle di Distant Drumming fanno battere il cuore come poche volte accade.

L'ottimistica scoperta del mondo visto dagli occhi di un bambino di The Day I Found My Hands apre la serie, e cattura in un'istantanea di tre minuti il suono della band, ossia un concentrato melodico di ispirazione Squeeze posato con inusuale grazia su tempi e tempistiche americane foraggiate dai tardi Jayhawks. Walker, Philbrook e Mauceri suonano principalmente per loro stessi, esclusivamente per divertirsi e si sente. I brani esprimono gioia anche quando sono tristi ed evocano emozioni impagabili quando sembrano votati al completo disimpegno. Monday Morning, dallo spirito ovviamente country, presenta alcune linee armoniche che fanno pensare ad un possibile grande potenziale radiofonico, mentre Becoming è un prezioso e stravagante frammento sospeso tra le confidenti improvvisazioni pop di autori alla Matt Costa ed arrangiamenti easy che sconfinano nel lounge e nel bossanova. Ma la canzone migliore del disco, e una delle migliori dell'anno, si trova alla traccia numero quattro. La riflessiva parentesi di bilancio personale A Good Year For A Change, è lo spettacolo nello spettacolo, un commovente spaccato di perfezione pop, che ricorderebbe un introspettivo John Lennon se John Lennon fosse stato un autore americano.

I brani di Distant Drumming hanno un solo, essenziale "problema": quando ne finisce uno si rimane con la voglia di ascoltarlo altre sei volte, invece parte quello successivo che lascia la medesima sensazione e così via. Per questo motivo, benchè abbia ricevuto il disco un mese fa, ne parlo solo ora. E' stato fisso nell'autoradio, semplicemente non riuscivo a toglierlo. Perchè sono solo dieci canzonette, vero. Ma dieci canzonette irrinunciabili. Tra le altre, The Circle's Not Broken, il brano più energetico del lotto, e poi la commovente Water Falling Down, stupenda e fragile ballata dove la splendida voce di Walker è sorretta solo da delicati fraseggi di pianoforte e mandolino. E nemmeno è possibile tralasciare gioielli come The Words, piano-pop di grande classe e matrice Benfoldsiana, il pop & roll di Time In The Night e men che meno la stupenda Let's Pretend, saltellante americana a tre voci che mi ricorda la classe e l'ironia di grandi bands contemporanee come i Junebug. La chiusura è affidata alla soffice ballata Wake Up Your Heart, e come potete vedere, ho citato tutti i brani in scaletta.

Spero che questa recensione lasci trasparire almeno una parte della passione con cui è stata scritta. Non dovreste farvi ulteriori domande, né io dovrei dare ulteriori spiegazioni. Poi, è questione di gusti, ma se nella vostra dieta amate inserire del pop corretto in chiave americana non esitate ad acquistare subito il disco dell'anno.

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