Se la musica ha un senso, la potenzialità profonda della favola, è perché ci sono ancora ragazzini che hanno la sfacciataggine e il coraggio di proporsi, provare, immaginare, manifestare, improvvisare, immediati come un telex, innescando le nostre reazioni esplosive. Non cattedratici, senza il velo della superbia o magari l’istrionico desiderio dei riflettori su di sé, ma con la bandiera della spontaneità, dell’energia, crescendo all’ombra delle proprie idee in una sorta di combattimento tra fantasia ed improvvisazione. Non è il passato che vogliono discutere, per loro importante è il presente per affrontare il futuro.
L’appassionato teenager è così lucido da afferrare immediatamente la portata del suo discorso. La teoria del gradualismo, per cui è necessario accostarsi dapprima ai …, poi superarli con .. , trascenderli con .., abbandonarli con .. , e sublimarli definitivamente con … , quasi come soggetti che ricevono ma non producono segnali, lavoratori senza identità, non è nel loro DNA. La musica non si divide in storia geografia e biografia, ma nella realtà dei sogni e dei desideri; è bisognosa di comunicazione e si sacrifica alla emozione, organizza i meccanismi mentali e si realizza nei suoi riflessi fisici e illusori. Niente può impedire al ragazzo innamorato dello strumento di provare un attimo di sbandamento, di luce, di meraviglia di fronte ai suoni che ne escono, perché la musica che si sceglie è il riflesso di mille aspirazioni esistenziali, di dubbi, di amore, di lucidità trovata magari per caso. Niente è perfettamente conscio quando accade qualcosa o vivi qualcosa. L’evoluzione del loro suono si dichiara consapevole, libera e felice di essere immediata come le cose. La loro musica può nutrire per sempre la carne e la mente con un linguaggio sclerotico che rinasce nell’ascolto di se stesso, senza i comodi cuscini del facile ascolto. Chi si ciba di rock , garage., psichedelica, blues é naturalmente attratto dall’estetica della violenza del suono, meglio, dalla rappresentazione della violenza che si scioglie nel deliquio dell’inserimento nella vita reale. Come un individuo che ha sbagliato bersaglio, dal momento che non è caduto nella trappola dell’impalcatura consumistica capace di barattare il proprio senso.
Sbadato e distratto da un ascolto superficiale fatto su MySpace, avevo dato un giudizio disanimato, cieco, banale e privo di comprensione. Sottovoce devo recitare il mea culpa. Poi venerdì 9 gennaio 2008 sono andato all’Oste, pub ossolano dove quasi ogni settimana si fa musica dal vivo, dove la passione e l’amore per il rock del gestore Giulio – Zillo - , musicista collezionista e talent scout permette a nuove giovani band di proporre la loro musica, un luogo ormai diventato cult per gli appassionati e dove band anche affermate desiderano suonare. C’era il concerto di presentazione del disco dei nostri PIATCIONS.
Una visione forte, senza cadute di ritmo, una eccitazione morbida che porta i sensi allo stordimento, un prisma dai colori puri, di prima mano, una cartolina sonora. Al di là di alcune piccole imprecisioni stilistiche, è da sottolineare il coraggio dell’improvvisazione che si esprime in tutto il concerto e si sublima in brani come Time , Homeless Blues e Stargazer. La generazione dei fuochi artificiali fonde la materia dei nuovi brani con quella dell’EP Fireworks Generation in una unica realtà. Polvere di stelle. Ritorna dal passato il vinile. Coraggio, irresponsabilità, spregiudicatezza? Sicuramente scelta poco commerciale per un’autoproduzione, ma espressione d’amore per l’unico contenitore adatto a contenerla: un EP in vinile.
Influenzato e ma non ingannato dall’atto live e dalla veste grafica, riascolto. Mi ritornano in mente Barbarians, Seeds, Standells ma non come sostituti nelle loro teste ma come attimo magico osservato nella sfera di cristallo. La musica è davvero il medium che ti fa gettare nella mischia con reale convinzione. Mary, Mary e Fireworks Generation ci regalano climi venati di tensione emotiva, un tocco definito con docile pudore. Homeless Blues plana dove l’anima blues si apparenta con il rock senza toccare il trigemino dello "stile sporco", dove nel finale gli strumenti tengono a bada il suono, senza esagerare ma eccellendo in fantasia con quel tocco di ruggine che lascia il sapore del miracolo dolce. Grazie per farci ascoltare e dire ancora oggi queste bellissime verità.
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