Uno dice "adesso mi metto ad ascoltare un pò di musica sixties, però ho voglia di qualcosa di nuovo". L'altro risponde "non ti appanicare, ho qui con me il disco di un tale Inglese chiamato Tony Cox, pronto a soddisfare i tuoi desideri". Si, perchè a differenza di quanto dicono le malelingue, la scena neo-sixties mondiale è ora e sempre foriera di nuovi ed eccitanti artisti, pronti a perpetrare la tradizione nei secoli dei secoli amen.
Cox è un talentuoso cantautore Londinese, anzi, sarebbe più corretto definirlo semplicemente "autore", visto che leggendo la sua biografia si apprende che il suo scopo è quello di scrivere "le migliori canzoni possibili per gli artisti più meritevoli". E ciò pare evidente ascoltando Unpublished, l'album a cui dobbiamo questa recensione. Il disco infatti, benchè scritto, studiato e suonato da Tony Cox, è cantato da Nigel Clark, un nome non completamente sconosciuto da queste parti, visto che qualche anno fa si rese protagonista di un disco (21st Century Man) che ricordiamo volentieri. Che sia una scelta oppure una necessità dettata dalla mancanza di doti canore non è dato sapere, anche perchè poi ciò che ci interessa è la deliziosa qualità delle undici canzoni che insieme formano Unpublished.
Un disco calato nel revival pop sessantista dalla testa ai piedi, in grado di sviscerare le varie tinte dell'epoca (dal sunshine al popolare puro, dal jangle folk alla psichedelia leggera) con freschezza e tatto senza mai raschiare il fondo del barile. Che si apre con il sunshine rivisto in chiave moderna di Sweet Elaine per proseguire nei territori powerbeat di Feel Real Love e di quella cannonata chiamata Jamelia, vero apex dell'album insieme all'elegante pop vocale espresso dall'incredibile Chills. Il resto (se si eccettuano gli esperimenti non troppo riusciti in Life Is Hardcore) è contorno da gran signori, grazie agli aromi sprigionati dalle chitarre jangle della commovente Fallen, dal pop tinteggiato di soffice psichedelia in Welcome To My World e dai Beach Boys del ventunesimo secolo che sembrano richiamati dalla conclusiva Can't Leave To Soon.
Sarà anche un periodo triste per il nostro Paese e per l'Europa tutta, che le elezioni dello scorso weekend ci hanno riconsegnato più superficiale, xenofoba ed intollerante di quanto ci aspettassimo. Fortunatamente la buona musica e la miglior cultura in generale sono patrimonio esclusivo degli uomini giusti, ed artisti come Tony Cox danno un piccolo ma fondamentale contributo nel risollevarci dalla depressione cosmica a cui siamo costretti in giornate come questa. Grazie.
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