Qualche anno è passato, dai giorni piovosi ed urbani del loro disco d'esordio, ma sembra passato molto di più. In realtà, non fosse per quello stile di canto che abbiamo avuto modo di apprezzare e conoscere, stenteremmo a credere che le due parti principali della loro discografia provengano dalla stessa era geologica. Se il concetto di natura che sgorgava da Rainy Days emanava naturalmente dalla recente storia indipendente britannica, la nuova maniera che inzuppa Pacifico esalta ciò che delle precedenti sinfonie stava alla base, stavolta slegando lacci e lacciuoli e lasciando libero sfogo ad una fantasia che nel periodo di scrittura dell'opera dev'essere stata molto più che fervida.
Pacifico, di nome ma non necessariamente di fatto, è un'esperienza perlopiù psichedelica nel senso filosofico del termine, e lo si capisce fin dall'inizio. The Kids Have Lost The War è un tema svolto in quattro parti, il tutto a sottolineare il significato di concetto, inscenato come avrebbero potuto inscenarlo i Pretty Things del '69 se avessero registrato oggi e avessero avuto l'opportunità di studiare su quell'incredibile compendio chiamato Smile i principi base dell'architettura pop sperimentale. In mezzo ai quattro capitoli, sapientemente divisi tra l'inizio e la fine del disco, c'è di tutto. Justin Perkins, dietro alle quinte, riesce a dare grande impulso al complesso corpus di strumenti, voci, arrangiamenti e sublimi chincaglierie che affolla il disco, così il trittico Old Oak Wood-Dream Eater- Cotton Candy spariglia a piacimento ed illibidinisce con il suo storytelling un po' zingaro dominato da blasfeme fisarmoniche. Il tutto ha un senso, e sorprende l'omogeneità con cui Devil In Town, dove pare di percepire Barrett dietro alla scrittura dei Kula Shaker, si amalgami senza sforzo alla brezza west coast, pacifica, un po' sinuosa ed un po' serpeggiante di That Country Road.
C'è spazio per il trip semiesteso di Dawn Ode, simbolicamente scelto come primo singolo del disco e per un improvviso ritorno all'ideale brit rock corrente di Rotten Roots; per il sound etereo ed iperspaziale della mini-suite The Princess and The Stable Boy e per la sodale Samba To Hell, parentesi quietamente stralunata che introduce alle ultime due parti de I ragazzi hanno perso la guerra, e così alla fine del viaggio.
Pacifico, a differenza di quello che il titolo potrebbe fare pensare, non è un disco semplice. Un po' tormentato, parecchio psicoattivo ma nondimeno lucido nella propria follia strutturale, il secondo lavoro lungo dei Bad Love Experience ha i suoi momenti solari, ma ha bisogno di voi e del vostro attento ascolto. Potrebbe sfuggirvi, potreste perderne l'essenza e non lo merita. Scordatevi l'accessibilità del precedente Rainy Days e, ben disposti, tuffatevi senza preconcetti nella nuova maniera del quartetto livornese.