venerdì 28 maggio 2021

Un venerdì da single: maggio 2021


Tanti volti noti nell'edizione di maggio!

David Myhr "And Now This"

David Myhr resta uno dei più importanti scrittori europei degli ultimi venticinque anni e sarei disposto a difendere questa tesi davanti ai critici più efferati. Splendente ai tempi degli inarrivabili Marrymakers, dopo un lungo periodo di iato Myhr ha rilasciato negli ultimi due lustri un paio di album che tutti ricordiamo bene. Del primo, "Soundshine", parlammo a tempo debito su queste pagine; il secondo, Lucky Day, uscì durante la nostra lunga pausa e ci siamo limitati ad ascoltarlo (e a cantarlo) per molti mesi. La formazione di Lucky Day, con il sommo Brad Jones a capitanarla, è di nuovo stata convocata per il nuovo EP "And Now This", un inaspettato ritorno alle origini power pop di "Bubblegun" anticipato dal favoloso singolo We Wanted To Shine. "Mi sono avvicinato solo di recente al mondo degli EP, su suggerimento di Brad Jones - ha detto David -, e devo dire che mi sto trovando alla grande. Questo è il primo di una trilogia, quello power pop. Il prossimo sarà quello acustico e il terzo chissà, aspettatevi di tutto, magari sarà quello drum'n'bass!". Paradossi a parte, non ci stupiremmo se a David riuscisse bene anche un'impresa del genere.

Nelson Bragg "I Want Love"

Tra le mille collaborazioni, partecipazioni e comparsate di cui è protagonista nell'universo pop, la più rilevante essendo quella di membro effettivo della touring band di Brian Wilson, il noto e ricercatissimo polistrumentista Nelson Bragg di tanto in tanto ritiene di esibire le proprie qualità da solista, seppur molto di rado. Due album, un terzo in collaborazione con Anny Celsi e il gran songwriter d'Irlanda Duncan Maitland nell'arco di una quindicina d'anni, e ora questo singolino, parte delle mai troppo applaudite infornate settimanali della Big Stir Records. I Want Love è una sontuosa riproposizione del classico di Elton John periodo Rocketman; l'autografa Lost All Of Our Sundays occupa in impeccabile stile sunshine l'immaginario lato B del singolino digitale. Entrambi i pezzi saranno inclusi nel nuovo album "Gratitude Blues", atteso - con la giusta trepidazione - per il prossimo settembre.

Joe Dilillo "Loser Girl"

Il noto produttore da Chicago, già in regia al servizio di Cheap Trick, Smokin' Popes e moltitudini di altri artisti locali e non, finalmente ha deciso di passare dall'altra parte del vetro. Aiutato niente popo' di meno che dai Lickerish Quartet, egli ha pensato che, almeno ogni tanto, riservare a sé stesso una tra le tante creature partorite non sarebbe stata una cattiva idea. Non sapendo quanto sporadica sarà l'operazione possiamo goderci Loser Girl, raffinatissimo pop d'autore nelle vesti di ballata dalle ingegnose progressioni melodiche, definita da chiccose finiture che potrebbero richiamare alla mente degli aficionados persino il Michael Penn di "March".

The Martial Arts "Getting Stranger By The Month"

Signori, questo è un ritorno coi fiocchi. I Martial Arts sono il progetto di Paul Kelly, autore scozzese negli anni coinvolto in altre prestigiose combriccole del sempre florido giro di Glasgow come BMX Bandits e Primary 5. Un progetto troppo spesso abbandonato: l'album "Your Sinclair", capolavoro immatricolato nel 2006, è stato per tredici anni l'unico vagito, peraltro clamoroso. Da qualche anno Kelly ha rispolverato lo pseudonimo: è del 2019 l'ep "I Used To Be The Martial Arts", giusto per rinfrescare la memoria, e ora è tempo di un nuovo mini, candidato al podio per la relativa classifica di fine anno. Power pop concepito da un talento che negli anni deve aver ascoltato le cose giuste, poi assemblare a questi livelli il miglior glam-pop dei seventies con certe estrosità al sapore Squeeze e qualche spruzzata wave è un altro paio di maniche. Altamente raccomandato.

Geoff Palmer "Many More Drugs"

Il New Hampshire continua a imperversare nell'universo del rock'n'roll americano, e sembra quasi che le due menti alla guida dei grandi e pluricitati Connection stiano facendo a gara per assicurarsi lo scettro destinato al re del garage-pop del New England. Già svariate volte abbiamo parlato del sommo Brad Marino, negli ultimi tempi prolificissimo anzichenò; stavolta è il turno dell'antico sodale Geoff Palmer, dominante nel 2019 con l'ottimo "Pulling Out All The Stops", disco peraltro condotto in un grandioso tour (anche europeo) nell'ottobre del 2019 con esiti entusiasmanti per chi, come scrive, ha avuto modo di stringere la mano ai membri della band. L'infuocato infuso è sempre quello: Stones più dediti all'anfetamina che ai tipici oppiacei miscelati in un'ideale speedball ad alto voltaggio con il miglior punk rock d'annata, che non dimentica di affezionarsi a melodie appiccicose come si conviene.

Dan Markell "Zoom In"

Bella scoperta questo Dan Markell, non ne avevamo mai sentito parlare e per fortuna ha pensato lui a contattarci. Zoom In, singolo che non sappiamo se sia destinato ad anticipare qualcosa di più corposo, è una traccia frizzante e bizzarra, barocca e stravagante; un coloratissimo frullato di Police, ELO, Jellyfish, certi XTC meno musoni e scanzonata raffinatezza pop all'ennesima potenza. Per la classe con cui l'autore azzarda l'improbabile pastiche il pezzo potrebbe persino richiamare i già citati, grandissimi Dowling Poole. Se solo gli utenti delle moderne sale da ballo apprezzassero la melodia eccentrica, parecchi dj verrebbero insolentiti dagli avventori richiedenti Dan Markell.

martedì 25 maggio 2021

Disco del Giorno: The Armoires "Incognito" (2020 - Big Stir)


Avevamo iniziato l'anno con il giusto piglio, e condotto inverno e buona parte di primavera in modo commendevole. Una fase colma di ritardi, vuoti, dischi accatastati sulla scrivania e arretrati non può tuttavia essere negata a UTTT, da tempo immemorabile il blog principe nel regno della procrastinazione. Spiace parlare solo adesso del nuovo disco degli Armoires, poiché in questo caso la tempistica, se non tutto, avrebbe rappresentato molto. "Incognito" è stato pubblicato ufficialmente il primo aprile, il famoso giorno del pesce, non a caso. L'uscita dell'album ha svelato uno scherzetto mica male ordito dalla coppia composta da Rex Broome e Christina Bulbenko, capi degli Armoires e - ormai dovreste saperlo bene - della benemerita Big Stir Records da Burbank, California.

  

In due parole, la storia è questa: com'è noto, Big Stir ogni santo fine settimana pubblica un singolo a doppia facciata digitale; singoli che a cadenza stagionale vengono raccolti nelle superbe "Waves" di cui abbiamo già avuto modo di parlare. Nel lungo periodo segnato dalla pandemia, un po' per diversivo e un po' per esplorare nuove strade e loro stessi, gli Armoires si sono divertiti a travestirsi: sotto mentite spoglie, ogni volta supportati da grandi artisti coinvolti nel gioco, essi hanno cambiato nome e celato l'identità, ma i cinque soggetti nascosti dietro a otto singoli tra quelli fatti uscire durante il lockdown erano proprio loro, gli Armoires. L'operazione, per il concetto costitutivo che ne ha dato il via, è molto interessante: Broome, Bulbenko, John Borack e soci ne hanno approfittato per esplorare sentieri che li hanno portati anche parecchio lontani dalla loro zona di confort ottenendo risultati eccellenti, e la varietà estrema della proposta non toglie un grammo di coerenza e coesione all'opera. Il condimento alla collezione, rappresentato da una manciata di opportune e riuscite cover, infiocchetta un pacchetto curioso e intrigante.

 

I primi due brani sono offerti dai fantomatici October Surprise: quello che dà il via al disco è una riuscita cover in salsa psichedelica del classico di John Cale Paris 1919, mentre (Just Can't See) The Attraction è un autografo frutto folk-pop. Poi entrano in scena i D.F.E., propensi ad addensare i livelli di crunch durante I Say We Take Off And Nuke The Site From Orbit. I sedicenti Chessie System, coadiuvati dal sempre eccellente Blake Jones, tuffano il disco in un abbeveratoio segnato dalla colonna sonora americana di Bagfoot Run e Homebound, e gli Zed Cats, da par loro, spostano il tiro sull'asse sixties garage organistico con Jackrabbit. Non è finita, poiché la platea aspetta ancora gli interventi dei clamorosi Gospel Swamps, abilissimi a maneggiare la complessa materia guitar pop in Great Distances, nonché dei Ceramic Age - il disegno in cui la mano degli autori Armoires è meno dissimulata - protagonisti nella rilassata ballata brit pop Ohma, Bring Your Light Into This Pace e nella sublime fillastrocca sessantesca Magenta Moon.

 

Gli strepitosi tributi a 20/20 e XTC nelle interpretazioni di The Nigt I Heard a Sream e Senses Working Overtime sono il fiocco su un disco estroso e ricchissimo, che spazia tra campi molto diversi tra loro eppure risulta pieno, consistente, omogeneo come pochi. Un album figlio di un'idea molto interessante, in cui gli Armoires dimostrano di saper trattare i mille rivoli della musica pop con intelligenza e luminose capacità scrittorie.

Big Stir Records | Bandcamp