lunedì 29 gennaio 2024

2023, quello che ci siamo persi in diretta: Duncan Reid and The Big Heads "And It's Goodbye From Him"

 


Quando i vecchi eroi ricompaiono sulle mensole dei negozi di dischi il sentimento è sempre duplice: la gioia per la scoperta almeno potenziale di nuovi, inestimabili tesori si affianca al terrore dell'autoinflitto vilipendio e insomma, vorremmo ricordarceli giovani, belli e ispirati come ai tempi d'oro. Come tutti saprete, Duncan Reid è stato a suo tempo Kid Reid, basso e voce nella seminale - per una volta l'abusato aggettivo non mi pare usato a sproposito - band inglese The Boys, il famigerato e leggendario primo gruppo di area punk rock a essere scritturato da una major, nonché ensemble di sgangherati ma talentuosissimi figliocci di Brian Epstein.

Chiusa l'esperienza con la storia, Duncan Reid negli ultimi dieci anni ha dato vita ai testoni, The Big Heads, di cui "And It's Goodbye From Him" è il quinto e - come il titolo suggerisce - ultimo album di studio. Se per gli autori di I Don't Care, First Time, Weekend e decine di altri capolavori provate una vera e propria venerazione, il disco oggetto di queste righe dovrebbe rappresentare per voi un piacevole salto nel passato, oltre che una gradita fonte di delizia. Il meraviglioso incrocio tra power pop e punk che ha reso leggendaria la band di Duncan Reid, Matt Dangerfield e Casino Steel è qui tirato a lucido, tappeto sonoro con intelligenti ingegnosità scrittorie non lontane dal territorio Squeeze per testi riflessivi anche quando situazionisti, specchio degli ultimi disastrati anni.

Se l'apertura affidata a Lost Again, sorta di arena-power-pop un pizzico eccessivo, non convince del tutto, il disco esplode dalla traccia due, Funaggedon Time, provvista di intensi riff settanteschi e soprattutto di coretti che sospettiamo possano sviluppare un alto livello di tolleranza. Just Try To be Kind è classico power pop della casa, cui fanno seguito due tra i momenti migliori della collezione: Can I Go Out Now Please, un evidente allusione al confinamento coatto imposto dagli anni della pandemia, è sospinta da chitarre memorabili e da uno storytelling, per l'appunto, figlio della lezione Tillbrook/Difford, gli autori dello stesso compendio studiato per partorire It's Going So Well, midtempo di respiro sixties e d'azzardato, eppure riuscito, arrangiamento con tanto di violini.

Le perle sono disseminate un po' ovunque, e non sempre aderiscono in toto al menù standard: così Oh My My ha un involucro più moderno, non dissimile dal power pop radiofonico di Click Five e Ok Go, mentre Real Good Time prosegue sullo stesso canovaccio ma con impostazione più rock'n'roll e melodie zuccherose alla Yum Yums. Would I Lie To You? è un'inaspettata ballata folk decorata addirittura con violini zigani, It Rains On The Good ha scorza più coriacea alla Well Wishers e la conclusiva Singing With The Beach Boys porta a casa il disco alla grande grazie al memorabile ritornello e a un titolo che spiega molte cose. "And It's Goodbye From Him", certo. Ma dopotutto, ce lo si permetta, "Goodbye" vuol dire "arrivederci".

venerdì 26 gennaio 2024

2023, quello che ci siamo persi in diretta: SLD "Like Sunshine"


"Lost", il precedente disco di studio della coppia formata da Tom Parisi e Paul Costanza, uscì nel settembre del 2020, ma le registrazioni dei primi vagiti di quello che diventerà di lì a tre anni "Like Sunshine" iniziarono addirittura prima, nel febbraio dello stesso anno, giusto qualche giorno prima che il mondo si fermasse per la pandemia Covid. Una gestazione strana e tribolata, culminata con la scomparsa di Parisi nell'ottobre del 2022. Non potendo, com'è ovvio, incontrarsi di persona, Parisi e Costanza hanno proceduto scambiandosi mail, telefonate, bozze incise su messaggi di testo. Non che ciò differisse troppo dal loro metodo di lavoro usuale, a dire la verità. "Like Sunshine", nel suo risultato finale, è comunque un lavoro di significativo bricolage: alcuni brani sono stati scritti da Paul Costanza negli anni '90 e poi riarrangiati in vista del nuovo album; altri risalgono al periodo delle prime collaborazioni della coppia nel 2013; il resto è stato messo insieme a mo' di romantico collage tra il 2020 e il 2022.

 

Il risultato? Riuscito, concorderanno gli appassionati di certo pop a tinte tenui figlio degli anni sessanta, dove le trovate armoniche di certo McCartney al crepuscolo dei fab 4 pascolano in una bruma lievemente psichedelica e sapientemente si mescolano agli arrangiamenti al limite anche bizzarri degli XTC periodo "English Settlement". Hiding, Anita e la sublime Cold Level Heart sono per l'appunto ballate d'area psych folk tutto giocato sull'asse XTC-Macca, con il faccione ora occhialuto di Andy Partridge a far capolino anche - e soprattutto - nelle linee melodice di No Way Back e nell'improvvisa apertura melodica di cui beneficia l'ottima Friend of A Friend, lussureggiante brano che non troverà obiettori nel sempre nutrito gruppo di fans dei mitici Nines. A perfect Day, che poi dell'album sarebbe l'aperura, è tutta fiorita di chitarre e armonie Badfinger, mentre la title track, insieme alla più ambiziosa Matter of Time (non male l'uso del piano, qui) beneficiano di interessanti interscambi tra accordi maggiori e minori, specie quando inaspettati. Se nella filologicamete inappuntabile sequenza di influenze codificate deraglia una canzone, quella è certo N Train Song, un tempo medio molto bello per pianoforte, finache un pizzico straniante nel suo stacco adornato di synth spaziali.

 

Non fossimo stati sufficientemente chiari, ci premuriamo di chiudere ribadendo il concetto, magari sintetizzandolo: se di Paul McCartney, Andy Partridge e Pete Ham non vi stancate mai di cibarvi, qui c'è un tavolone imbandito di piatti di grandissima qualità, cucinati da quattro mani che sapevano maneggiare alla perfezione gli ingredienti della scuola classica.

giovedì 18 gennaio 2024

2023, quello che ci siamo persi in diretta: All Day Sucker "Feel Better"

 


Così corriamo il rischio di dare ragione ai molti che storcono il naso di fronte alle inevitabili classifiche di fine anno. Inutili, dannose, chi siete voi per stabilire voti, gerarchie, premi. Sono bignamini, compendi, redatti da appassionati tra loro differenti, rispondiamo noi, ognuno utile a colmare le lacune del prossimo suo. Suggerimenti, niente di più e niente di meno. Incomplete, le charts di fine anno, lo sono per loro stessa natura. Impossibile intercettare tutto lo scibile, anche se ci si limita a un campo d'interesse molto ristretto. Qualche disco l'abbiamo perso anche noi, umilmente ci cospargiamo il capo di cenere. Più di qualcuno, in verità. I migliori dunque meritano qualche battuta sulle pagine di UTTT, per festeggiare il ritorno alle cronache di questo blog in modo anomalo: non uno scritto sui migliori dischi dell'anno appena andato in archivio; non una panoramica sulle prospettive del 2024. Lo spazio se lo prendono i dimenticati d'una certa importanza, che rischiavano seriamente - non che d'ora in avanti possano ambire al disco d'oro - di passare inosservati.

"Feel Better", il nuovo disco degli All Day Sucker uscito a metà novembre, avrebbe avuto la possibilità di issarsi fino alla top 30, per quanto importa, e cioè poco più di zero. Jordan Summers (produzione e tastiere) e Marty Coyle (voce) bazzicano la scena pop di Los Angeles da tempo immemorabile, e insieme sono stati e sono protagonisti dei progetti FF5 e F.O.C.K.R.s. Il nuovo album, prodotto addirittura da Dave Way (dietro la consolle anche per Foo Fighters, Beck e Pink, per dire il personaggio) esce a otto anni di distanza dal predecessore "Denim Days", e rappresenta un passo - se avanti o indietro lo deciderà la storia - molto importante per il duo, soprattutto dal punto di vista esistenziale. Se non altro, si cresce: qui si narra delle complicazioni della seconda fase della vita adulta e quindi di divorzi, di perdite affettive, di figli e figlie da accudire, meglio che si può. Come non è difficile immaginare, del resto, l'involucro sonoro di cotanta responsabilità collegata all'esistenza non è cupo, anzi. O meglio, gli episodi amari, specie sul calare del disco (The Hell You Don't Know e Hardly Any Wonder) ci sarebbero pure, ma "Feel Better" rimane nella memoria per via di un pop complesso e sofisticato, a tratti perfino eccentrico, più luminoso che no.

E così Silent Island, la traccia d'apertura, rischia di scoprirsi retrospettivamente uno dei migliori brani dell'anno trascorso; un pezzo power pop micidiale, con melodie indovinatissime che si fregiano di arrangiamenti spudorati e di un drumming parecchio corpulento. I'm not Tired trasuda speranza, evidentemente, attraverso uno storytelling reminiscente di Chris Difford e Jeff Lynne che tornerà sovente con l'andare nelle tracce e che ritroviamo con piacere nella strepitosa Wilt, dove l'uptempo più Squeezy flirta con la pregevolissima trama di synth per sostenere la struttura di un grandissimo ritornello. Il brano, che ci perdonerete se definiremo neo-barocco, ricorda due sodalizi ingiustamente minori ben noti su queste pagine come Skeleton Staff ed Emperor Penguin. Bitter, il primo singolo estratto dall'album, viaggia in tempo medio con un pianoforte e uno stile di canto che fanno molto Macca fine settanta, e Last Night At Gladstones è un'altra meraviglia pop gemmata da genialoidi controcanti in falsetto che racchiude lo spirito del disco: "Non ho l'energia per portare avanti il lavoro", canta Coyle, "ma se tra noi è la fine immagino che il mondo andrà comunque avanti".

Il resto dell'album è trapunto di ballate, ora figlie della lezione sunshine, del resto siamo in California, altre feconde di un immaginario seventies, sia per produzione, alquanto radiofonica - una volta si parlava di adult oriented rock, anche se non ho mai capito cosa ben volesse dire - sia per alcune spericolatissime trovate musicali (il basso di Sidewalk Hearts, roba da febbre funky per un venerdì sera del 1975, riesce comunque a non intaccare la coerenza di un cristallino soft pop dal retrogusto vintage coltivato in involucro moderno).

Si cresce, ci sono complicazioni, ma alla fine ci si assesta. "Feel better", dicono i nostri. Ci sono stati momenti peggiori. Una storia di Los Angeles. Una, anzi due, come tante. Poi tutto dipende da come le si racconta, le storie. "Questo disco è un omaggio alla nostra personalissima chiesa", ha chiosato Coyle in coda a un'intervista, "un inno al tempio della nostra musica. Abbiamo cercato di scrivere canzoni che ci sopravviveranno". Con qualche orecchio attento in più, non dovrebbe essere un obiettivo impossibile.


sabato 13 gennaio 2024

50 to 1. Un pezzo per ogni disco incluso tra i magnifici 50 del 2023.

Una per ognuno. Un pezzo per ogni disco incluso nelle prime 50 posizioni della nostra classifica di fine anno. La logica è quella del solito countdown: dalla cinquantesima posizione alla prima. Alzate il volume.