domenica 23 agosto 2009

Under the History Tree (puntata #2). Flamin' Groovies - Shake Some Action

Ritorna dopo mesi di assenza (causata da un brutto infortunio al femore subito dal suo autore) la rubrica Under The History Tree. A chi si fosse perso la prima puntata dedicata a Neil Finn, ricordiamo che - compatibilmente con i vari impegni - una volta al mese cercheremo di riscoprire alcuni album che hanno fatto la storia della NOSTRA musica. Oggi è la volta di Shake Some Action!, capolavoro assoluto dei leggendari Flamin' Groovies.

SHAKE SOME ACTION! NOW!

di zio Renè

A costo di passare per reazionari, i Flamin’ Groovies entrano in scena con il loro schietto e spumeggiante rock’n’roll quando il pubblico californiano sta ascoltando tutt’altra musica. E’ il 1968 , sta nascendo il movimento hippy, sono i giorni dell’acid rock, del flowers power, della psichedelia. Il Paradiso è lì, a portata di mano. Inizia una festa senza precedenti, fiori e sole, pace e amore, colori e tanta musica. Sono i giorni dei Jefferson Airplaine, dei Grateful Dead, dei Quicksilver Messenger Service, e in Inghilterra si canta Let’s Go To San Francisco ( Flower Pot Men ) e si sogna con San Franciscan Nights ( Eric Burdon ). La loro musica, però, non intende piegarsi al vento della moda o al compromesso, scrive col sangue un patto infernale, vuole per davvero vendere l’anima al Rock’n’Roll. Fedeli ad una certa tradizione di rock’n’roll e di R&B bianco sembrano anacronistici, ma il revivalismo di Roy Loney e Cyril Jordan non è confusione ideologica o incapacità di progettare alternative reali. E’il relativismo delle mode nella musica, si esprime come posizione filosofica che nega l'esistenza di verità assolute, e mette criticamente in discussione la possibilità di giungere a una loro definizione assoluta e definitiva, priva di convenzioni e senza esteriorità.

Il gruppo californiano nasce nel 1965 come Chosen Few con Cyril Jordan, Roy Loney, Gorge Alexander, Tim Lynch; con l’inserimento di Ron Greco cambiano il nome in Lost & Found e iniziano a suonare in piccoli locali della Baia la loro musica a base di covers di R&B, R’n’R e Mersey-beat . Dopo breve il gruppo si scioglie e nell’estate del 1966 Jordan e Lynch di ritorno da un viaggio in Olanda lo riformano con il nome di Flamin’ Groovies e con un nuovo batterista, Danny Mihm. Stentano a trovare un contratto, così decidono di autogestirsi; fondano l’etichetta Snazz e pubblicano Sneakers, leggendario disco passato alla storia anche per l’insolito formato 25 cm (10 pollici); é stampato in sole 2000 copie distribuite ai concerti del gruppo. Sette brani di Loney, grasso e sporco rock’n’roll con un mix di blues e beat che getta uno spruzzo liberale e freak sul lavoro. L’incredibile successo di critica impressiona e attira immediatamente l’attenzione della Epic che offre loro un contratto da 80.000 dollari (cifra molto alta per l’epoca, dollari del 1968) per la registrazione di Supersnazz . Il disco è ottimo e mette in luce tutta la potenzialità dei Groovies, ma risente della insufficiente produzione di Stephen Goldman che rende il suono piatto anche se le composizioni del duo Loney-Jordan sono eccellenti. La Epic tuttavia da scarsa promozione, ed il conseguenziale mancato successo delle vendite induce l'etichetta stessa a sciogliere il contratto.


I nostri prendono in gestione il Fillmore West per cercare di riproporre il vecchio sound di San Francisco, ma è un fallimento poiché i gruppi della Baia non vi vogliono suonare e la band si trasferisce a New York dove conoscono Richard Robinson che gli fa ottenere un ottimo contratto con la Kama Sutra. Tra il 1970 e il 1971 incidono due album , Flamingo e Teenage Head, entrambi prodotti dallo stesso Robinson. Teenage Head è considerato il momento più alto dei primi Groovies, e sarà paragonato più tardi a Sticky Fingers degli Stones ( ascoltate Yesterday’s numbers, per molti la più bella song dei Rolling non scritta da Jagger&Richards ). Anche se furono dischi accolti con entusiasmo dalla critica e fondamentali nella storia del rock’n’roll non ebbero riscontro nelle vendite. Subito dopo, purtroppo il gruppo si sfalda; Loney se ne va per dissapori musicali con Jordan e Lynch viene arrestato.Vengono sostituiti da James Farrell e Chris Wilson, che diventa il nuovo cantante ed il compositore del gruppo con Jordan. Cambiano nome in DOGS.

A tirare su il morale della band è la notizia che il gruppo è adorato in Europa ( Francia e Olanda ), e il crescente interesse del pubblico europeo, superiore a quello americano, provoca l’intervento di David Lauder, responsabile della United Artists che finanzia un Tour di oltre duecento date e li porta ai mitici Rockfield Studios per l’incisione di cinque 45 giri di cui solo due verranno pubblicati. Ridiventano Flamin’ Groovies. In Inghilterra il successo é enorme e con l’aiuto di Dave Edmunds tornano in studio per un nuovo album. Avrebbe dovuto chiamarsi Bucketful Of Brains, ma non fu edito poiché la produzione riteneva il loro sound troppo Beatlesiano e bocciò canzoni come You Tore Me Down che qualche giornalista definìrà in seguito la più bella canzone dei Beatles non scritta da Lennon&McCartney. Delusi dal comportamento della UA che volle interferire nel loro lavoro, prima di natale ritornano a casa, negli States. Nuovo periodo di crisi. Senza contratto per quasi tre anni si disperdono in varie attività extramusicali. Mihm se ne va e viene sostituito prima da Terry Rae e poi David Wright. Ma l’amore dei fans europei fa pubblicare alla olandese Skydog l’Ep Grease con la stupenda cover di Jumpin’ Jack Flash, fa ristampare Sneakers nel formato originale in 10 pollici e altro materiale inedito. L’amico Greg Shaw (grande intenditore di pop music e produttore) con la sua Bomp Records pubblica in Usa la bellissima You Tore Me Down, e l’insistenza del loro grande estimatore Dave Edmunds induce la band a firmare un nuovo contatto con la Sire. E’ il 1975. Ritornano in Europa, e all’Olympia di Parigi tengono un trionfale concerto (1 novembre) che manda in visibilio il pubblico e le loro quotazioni in Francia.Ai Rockfield Studios con Edmunds e con la sua complicità riprendono la corsa verso il ritmo travolgente, liberando il gergo come specchio di una generazione inquieta, disperazione o destino, legame fatale o incontro esplicito che si rigenera dallo stimolo che ne deriva. Viene inciso Shake Some Action ed inizia un nuovo corso. Il sound è vivacissimo, un beat fresco e intenso che fa riscoprire l’ebbrezza dei garage groups facendo sognare nuovi Cavern e nuove Please Please Me. Il suono è più inglese, perfetto come nei Beatles, splendidi brani originali e azzeccati ripescaggi (Beatles, Charlatans, Lovin’ Spoonful); nella rara brillantezza pop tenera è la nota dei ricordi che mettono in risalto il … vecchio beat (sigh!), con il mito del boyfriend,delle ragazzine, degli amori giovanili.

cerchiamo di far rivivere un’epoca ormai andata dispersa” dichiara in una intervista Cyril Jordan all’uscita dell’album.

Così è se vi pare” scrisse Pirandello, per spiegare il tema della inconoscibilità del reale e ognuno può darne una propria interpretazione che può non coincidere con quella degli altri. Come ripete la donna misteriosa “io sono colei che mi si crede” come la loro musica che ci fa partecipare non solo con le orecchie, ma con il corpo intero. Riaffiorano improvvisamente le recite vezzose e periferiche del beat inglese, la frangetta a la Beatles, l’appello di Jagger principe delle Pietre Rotolanti. La scena pop riscopre finalmente la sua vocazione essenziale e provocatoria.
Lo spettacolo sfrenato e aprioristico ridona alla musica il suo ruolo. Viene aperto l’archivio del pop e il sound riconquista il terreno perduto e prende coscienza. E’ una pioggia di meteore mai destinate a spegnersi nella notte pop/beat/rock’n’roll illuminata da un pugno di folli marziani. I Flamin’ Groovies tornano dal buio del tempo immutati ed entusiasti del loro ruolo.

Si snodano i primi accordi di chitarra di Cyril Jordan che sostenuta dal basso Hofner di Gorge Alexander introducono la fantastica Shake Some Action dal profumo British invasion con l’immaginazione creativa di una visione sonora travolta dalla lingua delle origini Byrds e degli intrecci vocali alla Big Star - Yes It’s True nuvola di energia creativa che si posa sul fiume Mersey e sui nostri ricordi - l’atmosfera si colora di vecchie passioni blues e rock and roll dei fifties e autorizza il restauro di St. Louis Blues, purista ma con un impronta personale - segno della permanenza del comportamento I’ll Cry Alone sovrappone l’immagine di Jagger a quella di John-Paul-George-Ringo dondolandoci allegramente - riproposta d’autore, Misery, uno dei primi brani dei Fab Four che ho ascoltato e amato (n.d.a.) -il gustoso dessert Please Please Girl diventa un volantino propagandistico di promozione musicale - e conclude la facciata A Let The Boy Rock’n’Roll, hit dei Lovin’ Spoonfull, solido ed impertinente che ci riporta all’America del pop and roll.

Giriamo il disco e incontriamo subito Don’t You Lie To Me che ci restituisce un Chuck Berry in formato great rockandroller, ed è la maestra severa che impone il rispetto della tradizione - ci esaltiamo con She Said Yeah e Sometimes di Paul Revere & the Raiders, eccitanti e ruvide come il sound che usciva dai garage americani – I Saw Her, compagna di solitudine, esce dal ghetto delle emozioni per raccontarsi - l’orecchio si nutre di buone vibrazioni con You Tore Me Down, meravigliosa cartolina beatlesiana della quale abbiamo già magnificato in precedenza nell’articolo, che ci proietta nell’orto dei desideri, della scoperta per farne marchio di qualità - si creano immagini vere vissute sincere con una loro ragione di esistere con Teenage Confidential, dolce penetrante e avvolgente come conforto espressivo che richiama i sogni e disperde i nostri fantasmi - c’è la sfrontata ed impertinente semplicità in I Can’t Hide come esprimeva Alex Chilton con i suoi Big Star.

Musica ascoltata al suono della musica.

Skake Some Action è considerato unanimemente l’album migliore della carriera dei Flamin’ Groovies e musicalmente apre un nuovo corso. Viene pubblicato per primo in Francia dalla Philips per assecondare il mercato, e poi in Inghilterra e negli Usa con un miraggio decisamente e sostanzialmente migliore della prima frettolosa versione. In seguito Farrell lascia e viene sostituito da Mike Wilhelm, ex Charlatans e ex Loose Gravel, e la storia continua. Nel 1978 incidono Now, ( l’album più venduto della loro carriera ), e nel 1979 esce Jumpin’ The Night. Poi una nuova crisi, nuovi abbandoni e nuovi scioglimenti fino al 1986, quando si trasferiscono in Australia dove incidono per la locale AIM . Nel 1990 termina la favola dei favolosi Flamin’ Groovies.

Piaccia o no, la loro ostinata fede ed LP come Shake Some Action hanno rappresentato il trionfale ritorno dei sixties e del fottuto rock’n’roll, che si proietterà poi in punk-o-rama ed esalterà i nuovi kids londinesi. Eddie & the Hot Rods,Sex Pistols, Clash, Damned, Buzzcocks, Joy Division, Killing Joke, Slaughter & the Dogs ed Elvis Costello giocheranno abilmente la partita sul tavolo dell’illusione. Di lì a poco il punk, la new wave, l’energia proletaria riscoprirà il fascino dei “tre minuti una canzone”, dei “rigidi ritornelli”senza più assolo telecomandati. Giovannino Marcio (Johnny Rotten) ringrazierà il peccato originale dei primi esperimenti beat dal ritmo assassino, i Ramones semineranno arsenico e paura nell’ ”orto botanico” dei sixties, Eddie & the Hot Rods porranno la fatidica domanda “Are You Ready? Do You Want To Rock and Roll ?” prima di attaccare Gloria o Satisfaction.

"Ed ecco, o signori, come parla la verità! Siete contenti?"

"L'arte e la musica non solo vanno fatte ma vanno anche recepite per quello che sono, senza secondi fini. Solo così c'è divertimento. I soldi, il successo, la carriera sono tutta un'altra storia e, per quel che mi riguarda, non mi interessano. Se mi fossero interessati i soldi, mi sarei dedicato a computers e cose simili ed avrei mollato da tempo il rock'n'roll" - intervista a Cyril Jordan, 1987.

zio René

domenica 16 agosto 2009

Singolo del Giorno 16-08-09: Miss Chain & the Broken Heels - Lie b/w He's Your Boy (2009; Shake Your Ass)

Signore e signori, è ufficialmente caduto il record del mondo sulla distanza dei sette pollici a quarantacinque giri. Già, perchè Miss Chain & the Broken Heels, con questo nuovo dischetto intitolato Lie, toccano quota tre singoletti in qualcosa meno di un anno e mezzo. E vai. Registriamo dunque con piacere un altro frammento vinilico da aggiungere alla nostra collezione, ancora una volta messo assieme con stile ed irriverenza dalla nostra band bergamaso-vicentina preferita.

Lo scorso dicembre tessevamo le lodi di Boys & Girls, il loro 45 secondogenito, e notavamo un'innata capacità di gestire in maniera personalissima una proposta che, tutto sommato, attingeva a piene mani da una formula piuttosto classica: rock'n'roll al femminile frontale, un pizzico sgangherato (cosa che non guasta mai) e molto molto melodico. Pane per i nostri denti, insomma e ciccia prelibata per le fauci di qualunque sano ed onesto appassionato di pop'n'roll. Per non deludere nessuno, diciamo subito che Lie e He's Your Boy (But Could Be Mine), i due brani che abitano questo nuovo 7" edito dall'Italianissima Shake Your Ass, seguono le coordinate che Astrid Dante, Disaster Silva ed i Barcella Bros. hanno imparato a farci amare nel corso dell'ultimo biennio. Così, come tutti auspicavamo, il gruppo ci seppellisce con la solita scarica adrenalinica fatta di saltellanti basi soniche tra il garage ed il bubblegum più entusiasmante, mentre le linee vocali di Astid strizzano come di consueto l'occhio alle reginette del powerpop'n'roll Americano degli ultimi trent'anni, per un impasto globale che farà ammattire i fans di Go Go's, Nikki & the Corvettes e Shivvers.

Ne abbiamo già parlato l'altra volta, ma vale la pena sottolineare che la band, oltre a produrre grandi dischetti, è da sempre impegnata in una serratissima attività live. Sembra incredibile, ma io ancora non sono riuscito a vederli, perbacco. Devo organizzare ai ragazzi un concerto da queste parti.

venerdì 7 agosto 2009

Disco del Giorno 07-08-09: The Simple Carnival - Girls Aliens Food (2008; Sundrift)

Esistono artisti che in quaranta minuti sono in grado di cambiare decisamente l'umore di una persona. In meglio. Uno di questi è senz'altro Jeff Boller, che dietro alla pseudonimo The Simple Carnival ha realizzato un album, Girls Aliens Food, meritevole di lode e bacio in fronte. Un piccolo capolavoro, nel suo genere, e neanche tanto piccolo, poi. Un disco uscito nel 2008 che, diciamocelo, sarebbe entrato di prepotenza nella top 15 dello scorso anno, se lo avessi scoperto per tempo. Il vostro spirito ha bisogno di una sana dose di soft pop? Prego, servitevi. Jeff non aspetta altro, anche perchè Girls Aliens Food "doesn't rock, it pops!".

Il debutto di Simple Carnival è uno di quei prodotti che definire DIY è poco. Concepito, suonato e prodotto da Jeff nella sua casa di Delmont, Pennsylvania. Il parto sontuoso di un'idea ambiziosa, l'opera perfetta di un architetto pop indipendente con la mente calata nei più tiepidi anni Sessanta. Un concentrato di lussureggianti dipinti che non avrebbero sfigurato nella galleria del tardo Brian Wilson, ed avrebbero fatto scalpore in una mostra che avesse ospitato le opere di Bacharach e Todd Rundgren. Senza scherzi. Riferimenti moderni, dite? Bene, non so se per provenienza geografica, oppure perchè lo ha scritto il maestro Bruce Brodeen nella sua recensione del disco, il timbro di voce e la struttura melodica dei brani riporta alla mente - scusate se esagero - i Cherry Twister dei momenti più teneri oppure, ancora meglio, il tranquillo e geniale Steve Ward di Opening Night. Poi magari sono solo impressioni personali, ma io un disco così lo prendo e lo classifico al volo tra le migliori cose "strettamente pop" uscite da qualche anno a questa parte.

Girls Alien Food è un disco raffinato e strambo al quale ci si affeziona subito. L'apertura Really Really Weird è un'ipotetica istantanea di Ben Folds impegnato in un corso di sunshine pop retto da Brian Wilson. Keeping It Quiet, che poi è anche il mio pezzo preferito della collezione, rappresenta il momento in cui il canto di Boller si avvicina di più a quello vellutato ed indimenticabile di Steve Ward, mentre Caitlin's On The Beach, come si può immaginare, è un intelligente frammento di pop da spiaggia. Le stranezze di Jeff di tanto in tanto vengono fuori ma non disturbano, anzi. Così Cocktails è un'escursione strumentale pseudo-bossanova con tanto di kazoo in primo piano, e la strepitosa Over Coffee And Tea, dagli arrangiamenti realmente geniali, riesce a trovare la sintesi tra Brian Wilson, certe sensazioni "latine" e Paul McCartney, impacchettando il tutto in un'atmosfera tipicamente musical. Da provare assolutamente. Il resto è pop music d'avanguardia di grande categoria: Flirt, vocal pop etereo e vagamente trippy alla moda dei primi Cosmic Rough Riders; Nothing Will Ever Be As Good, estemporaneo e riuscitissimo intervallo acappella; Misery, altro pregiato gioiello del disco con il suo imperdibile botta e risposta nel ritornello condito da uno splendido gioco di sintetizzatori.

Voglia di pop stravagante e fuori dai canoni? Che però sia molto fruibile e si lasci cantare volentieri sotto la doccia? Ordinate subito Girls Aliens Food. Che disco, gente.

sabato 1 agosto 2009

Menù del weekend.

Tre dischi interessanti per musicare il primo fine settimana di Agosto.

Sorry - The RSVP ep (2009; autoprodotto). Nome curioso, molto curioso, che subito ha attirato la mia attenzione. Non avevo mai sentito parlare prima di questa band proveniente dall'area di Seattle, ma mi dicono che The RSVP ep è il loro terzo lavoro di studio. Il gruppo guidato dai fratelli Brozovich è fautore di un docile, destrutturato ed interessante lo-fi pop da cameretta che in veste molto più minimale e gioiosamente scarna potrebbe ricordare alcuni eroi della scena indipendente del nord-ovest Americano come Death Cab For Cutie, Shins e - lo affermano gli stessi Sorry - artisti del calibro di Dolour, Doves e New Pornography. Visto che siamo a Seattle è un peccato non citare i Posies (che, per i nostri, sono "solamente la miglior band del pianeta terra"), anche se di Posies in realtà durante questo dischetto c'è poco. Piuttosto, alcune trame qua e là potrebbero ricordare particolari frammenti del Jon Auer solista. Bisogna dire, per essere onesti, che la band mutua ispirazioni ma è lontanissima da ogni tentazione di plagio, così il risultato è sì inquadrabile, ma profondamente originale. Il pezzo migliore qui presente è Autobiography, che con il suo incedere stravagante ed il ritornello killer si fa ricordare per forza. Il pop indipendente fatto con infinita dedizione alla causa, come quello che suonano i Sorry, mi fa stringere il cuore e pensare che in fondo, nonostante tutto, c'è ancora qualcuno che crede ancora nella pura essenza della musica. (www.sorrytheband.com)

Gidgets Ga Ga - The Big Bong Fiasco (2009; Gagatone). I Gidgets Ga Ga sono un combo di Chicago dedito ad un energetico e passionale blend di powerpop altamente chitarristico, contaminazioni british invasion e dosi piuttossto massicce di classico rock americano. Il tutto è contenuto in un album, The Big Bong Fiasco, che vanta ben diciotto episodi. Non tutto tutto è da ricordare, per carità, ma almeno dieci tracce sono sono ben al di sopra della media e almeno quattro assolutamente grandiose. Qualche indizio? Beki, che immediatamente ricorda un rauco Matthew Sweet degli albori, però chiuso a suonare in uno scantinato di Minneapolis, e chi ha orecchie per intendere intenda. Poi c'è Crime, classic rock a stelle e strisce al suo meglio, per non parlare di Damn e Baby You're A Star, dove i Gidgets ci nutrono di prelibato nettare di marca Replacements. E soprattutto, Dreamer, la vetta di un disco a cui non sembra nemmeno appartenere, tanto è aggraziata e sconvolgentemente melodica nella sua tiritera soft pop. The Big Bong Fiasco è un eclettico disco raccomandato a tutti gli amanti di midwest rock che non disdegnano divagazioni melodiche fatte bene. (www.myspace.com/gidgetsgaga)


Michael Gross and the Statuettes - Daylight & Dust ep (2009; autoprodotto). E veniamo alla vera chicca della giornata, un dischetto che promette di musicare non solo questo weekend, ma molti altri a venire. Michael Gross (voce e chitarra), James Kelley (chitarra), Benjamin Johnson (basso) e Matt Glass (batteria) provengono da Salt Lake City e con questo ep intitolato Daylight & Dust sono giunti al secondo capitolo della loro saga dopo aver impressionato lo scorso anno con "Tales From a Country Home", un album per la verità accreditato al solo Gross. In ogni caso, signori, qui ci troviamo di fronte all'extended play dell'anno, un inno alla musica popolare qualunque direzione decida di prendere, sia essa Americana, guitar pop o addirittura revival del defunto new acoustic, però bello come non lo ricordavamo. A suo modo un disco perfetto. Perfetto come i suoi capitoli. Come I've Been Wrong Before, uno dei migliori brani sentiti quest'anno di un genere che da queste parti amiamo chiamare "popicana". Come il capolavoro assoluto Stone Face, commovente ballata che mette in estremo risalto le superbe capacità vocali di Gross. E poi. Novocaine, un numero chiaramente più "rocker"che per tensione emotiva ricorda l'imperdibile Pete Yorn periodo Music For The Morning After. Per chiudere con I'll Come Quietly, il miglior acoustic pop di quest'anno insieme all'ultimo disco dei Moore Brothers, che oltre a ricordare la classe cristallina dei Radar Bros. aggiunge quel tocco di country pastorale caro ai Daryll-Ann di Tailer Tales. Non perdetevelo per nessun motivo. (www.myspace.com/michaelgrossmusic)