mercoledì 19 agosto 2020

Disco del Giorno: Ward White "Leonard At The Audit" (2020 - autoprodotto)


Tanto vale ammetterlo subito: Ward White, autore di stanza a Los Angeles appena andato in doppia cifra per quanto riguarda gli album lunghi pubblicati, mi era fino al mese scorso assolutamente ignoto. Peccato, ma fin che ci è dato tempo per rimediare, rimediamo. Non avendo contezza dell'artista, ne ignoravo naturalmente la biografia, e se dopo un rapido ascolto di "Leonard At The Audit" mi avessero chiesto di indovinarne la provenienza geografica, avrei sbagliato di circa ottomila chilometri, quelli che separano LA dal Regno Unito, grossomodo.

Ward White è uno scrittore, un creativo al servizio di poesie acide e paradossali, un marionettista che muove nel suo mondo, più cupo che assurdo, personaggi dai mille risvolti ma invariabilmente colti nell'attimo in cui annaspano alla ricerca dell'ultima scialuppa, mentre si trovano nel posto sbagliato nel momento peggiore. Scagnozzi maldestri, gigolo controluce e molti altri figuranti in un quadro espressionista e lirico.

 

Tutto giusto, se la vita è un viaggio sperimentale affrontato frettolosamente, come diceva qualcuno più famoso di me. Il tappeto sonoro non è facilmente catalogabile, e del resto il catalogo forzoso consegue all'attitudine un po' pigra di chi, come me, di tanto in tanto si arrischia a scrivere di musica. Gli schemi di Ward White, come detto, non aiutano a portare alla mente le spiagge della sua terra d'origine, ma le canzoni variano di molto l'una dall'altra e anche all'interno di loro stesse, inaspettatamente. Così Bubble & Squeak è permeata da un feeling new wave piuttosto oscuro, mentre Ice Capedes, dopo un'introduzione sul progressivo andante, esplode in una meraviglia pop che trae gran parte della sua forza proprio dalla sorpresa che genera.

 

Le ballate crepuscolari dai tratteggi acustici presenti rinfrancano nella convinzione che scrivere ottima musica sia ancora possibile. La traccia che dà il titolo al disco, un riferimento alla scoppola pro-Scientology subita da Cohen negli anni sessanta, è un frammento spaventosamente sublime che ricorda i migliori Divine Comedy, esaltato da un arrangiamento di sintetizzatori vintage delicatissimo. Nell'eclettico tragitto c'è spazio per il pop da classifica di Try Me, classifica in potenza perché i tempi, ma toh, sono quelli sbagliati, segnato dalla classe dei Prefab Sprout solo un po' energizzati nel chorus abrasivo, e per il western-psych di Dreaming Of Dentistry, davvero inatteso.

 

Va detto che addirittura meglio Ward White fa in brani come Not The Half e soprattutto Edmund Fitzgerald is A Wreck, un capolavoro, dove appare Steven Patrick Morrissey immerso in un attraente barile colmo di chitarre jangle. "Leonard At The Audit" è un disco che ha bisogno di tempo, di farsi raccontare, di crescervi addosso. Concedetegli l'attenzione che merita. Materiale di lusso, oggettivamente.

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