Parlavamo della deadline, il giorno oltre il quale nessun disco sarebbe stato preso in considerazione per la classifica sul meglio del 2008. Fortunatamente all'ultimo istante utile mi è stato recapitato il nuovo album dei Tenniscourts, che un posticino in quota lo meriterebbe. I Tenniscourts, il cui primo album è stato osannato su queste pagine poco più di un anno fa, sono la creatura di Wes Hollywood, un'autentica icona nella scena powerpop di Chicago e in tutto il midwest. Scrivendo del loro lavoro d'esordio avevamo tentato di definirne il sound parlando di "Kinks filtrati e riprogrammati dall'esperienza del punk" o qualcosa del genere, ma se quella frase è ancora attuale ed adattabile a questo Dig The New Sounds Of Tenniscourts, bisogna riconoscere che c'è molto, molto di più.
Quello che è sicuro: ascoltando i Tenniscourts non salta all'occhio la provenienza geografica. Ascoltando i Tenniscourts si ha l'idea di una band di appassionati musicisti cresciuti ingollando enormi dosi di brit sound, e per brit intendo si Ray Davies, ma anche un bel pò di psichedelia leggera e guai a tralasciare l'epopea del brit-pop anni 90. Si sente subito. Forever True è una bomba ad orologeria di matrice inequivocabilmente Gallagher (provateci, a darmi torto), dove i fratelli Oasis sono però annegati in un barattolo di confettura powerpop. E se la partenza è maestosa, quello che segue non è da meno. Wes e i ragazzi (per la precisione, completano la lineup Spencer Matern al basso, Tom Shover alla batteria e Chris Thomson alle tastiere) adorano la concisione e sono dotati d'invidiabile capacità di sintesi: i brani non durano quasi mai più di tre minuti, ma quando c'è un songwriter come Hollywood, uno in grado di scrivere in venti secondi quello che ti rimane in testa per una settimana, non c'è tempo da perdere.
La sensazione generale che aleggia è essenzialmente una: tredici pezzi che fanno un gran bel disco, ma che prima di tutto stanno in piedi alla grande da soli. Wes Hollywood mi da l'idea di uno che ha selezionato tredici brani e ne ha lasciati fuori almeno cinque con cui svariate bands avrebbero marciato per qualche tempo. Comunque, tra quelli finiti sull'album, voglio segnalare perlomeno Nicotine Nights e Turn The Tide, dal sopracitato sound "kinks-post-frullatore punk" e il singolo Swimming Pool, powerpop classico dalle melodie abrasive. Ma anche il Ray Davies più giocondo che riecheggia nella spassosa Ordinary Life. E non posso tralasciare il Costello-sound di Love In The Night, oppure il fantastico mid-tempo di Falling, con quelle armonie "storte" che fanno tanto parapsichedelia britannica e quella chitarrina in levare durante una strofa da perdere la testa. Assolutamente da non perdere, infine, la chiusura affidata alla commovente Sleeping Animal e, in particolare, The Grove, puro brit-pop per il terzo millennio, con un cantato d'eccezione ed un ritornello, per così dire, spaccaossa.
Adesso che ci penso non prendo in mano una racchetta da tennis da quasi dieci anni, ma rimango un grande appassionato da poltrona. Ovviamente, grazie a grandi dischi come Dig The New Sounds Of Tenniscourts, ed alla vigilia della seconda e decisiva settimana degli Australian Open in corso a Melbourne, è sempre un piacere dare un'occhiata (ed un ascolto) ai Tenniscourts.
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