Un ottimo album omonimo nel 2004, svariate partecipazioni a compilation di settore, un disco solista, recensito su queste pagine un paio di anni fa, da parte di Tim Morrow, uno dei due boss della band. Questo, grossomodo, l'apprezzabile contributo alla causa powerpop apportato dagli Shamus Twins, gruppo che, dopo lunghissimo periodo di pausa e varie anticipazioni, alla fine è tornato con il secondo studio album della carriera, intitolato Garden of Weeds. Un disco solido, breve, senza cadute di tono, che naviga sicuro nelle proprie acque territoriali senza disdegnare qualche divagazione in termini di tono, genere ed atmosfera. Generalmente amo lavori di questo tipo: un disco, se deve durare due ore, deve avere valide giustificazioni, altrimenti, meglio mezzoretta intensa, non c'è che dire.
Garden of Weeds è, in sostanza, il parto di Tim Morrow, una vecchia conoscenza da queste parti, e Jerry Juden. Due vecchi amici, compari, collaboratori, e si sente, eccome. Disco solido, dicevamo, grazie anche e soprattutto all'affiatamento degli autori, che si riflette sia nelle armonie vocali, molto ben intersecate, sia nella scrittura (ognuno contribuisce per la metà dei brani), che risalta per ingegno e si riflette nella coesione dei vari frammenti nel risultato complessivo. L'album si apre con il classico, cristallino powerpop di You Know My Name, brano liberamente ispirato agli albori del fenomeno skinny tie inglese e che sarebbe stato a pennello, fosse stato scritto trent'anni fa, su Music on Both Sides. Chi si aspettasse, a questo punto, un filotto di canzoni omogenee rimarrebbe tuttavia deluso. Morrow e Juden, infatti, sembrano nutrire un amore viscerale per certo rock'n'roll tradizionale ed infarcito di soul, e ne riempiono la pancia dell'album con il trittico I Never Been Happy/I Know I Know/Did You Have to Change, sorta di triangolo rituale tributato alle origini della musica giovanile. Nondimeno, la band raccoglie i più convinti consensi quando riallaccia i rapporti diretti con il pop chitarristico di base, ed allora gli applausi li meritano Ain't Letting Go e A Picture of Her, che trasudano essenza di jangle rock sudista e ricordano l'esperienza di Tim Lee, Bobby Sutliff e dei Windbreakers tutti. Oppure la similare, ma più dolce e meno sofferta Life is Strange, già apparsa sul nono volume della serie International Pop Overthrow nel 2005. L'ovazione, permettetemelo, è però tutta per la title-track, vero tributo, amorevole e riuscito, al Sergente Pepper ed alla sua band di cuori solitari.
Garden of Weeds è un bel disco, breve, saldo e convinto. Pensato e scritto da gente che preferisce la sicurezza della qualità opposta ai rischiosi fronzoli del superfluo, e ciò è molto positivo. Certo, nemmeno la comunità di appassionati sembra essersi accorta degli Shamus Twins, e questo è un peccato. Perchè band così, non posso fare a meno di dirlo, mi ricordano sempre i ciclisti come Oscar Freire: non ti accorgi della loro presenza, ma alla fine della gara, in classifica, li trovi sempre nelle prime posizioni.
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