martedì 7 maggio 2024

Big Stir Records e S.W. Lauden presentano... Generation Blue

 



Venerdì dieci maggio saranno passati trent'anni dall'uscita del primo disco dei Weezer, omonimo come molti altri che nei lustri l'hanno seguito ma passato alla storia con il nome di "Blue Album", per via dello sfondo della copertina colorato di brillantissimo turchese sul quale erano state sovrapposte le sagome di Rivers Cuomo, Brian Bell, Matt Sharp e Patrick Wilson, il quartetto primigenio della storia della band. Il "Blue Album" non fu unicamente un grande successo da tre milioni di copie vendute nei soli Stati Uniti e tre dischi di platino; non solo un disco in grado di spalancare le finestre e cambiare l'aria stantia di una scena musicale rannicchiata sotto il cielo cupo che il vento del grunge aveva portato in tutte le recondite province d'America. Non solo un capolavoro, no. Il "Blue Album" è stato di più: un disco seminale, che ha prodotto nel giro di pochi anni centinaia di germogli, specie sul terreno fertile della South Cal.

Defunta da qualche anno la parrucconissima scena glam metal che affollava la Sunset Strip e in via di esaurimento il deteriore fenomeno bandanato dei Guns'n'Roses, i Weezer diventarono a sorpresa il gruppo di riferimento a LA. Sorpresa anche destata dalle loro scelte estetiche, non propriamente quelle opzionate dalle rock star in procinto di invadere lo star system. "Weezer? Il loro look è quello tipico dei perdenti che frequentano il liceo con il moccio al naso, non assomigliano certo a dei divi pronti a fare le onde su MTV". La considerazione è tratta dalla recensione del "Blue Album" apparsa sull'Enterteinment Weekly alla fine della primavera del '94, significativamente intitolata "The geek shall inherit the earth". Insomma, gli sfigati sarebbero stati destinati a ereditare il ruolo di guide della scena alternativa? A quanto pare, sì. Basta machismo, trucchi, capelli cotonati e pose da stelle inarrivabili. Era arrivato per i perdenti il momento del riscatto. 

 

L'album blu proiettò contro ogni pronostico i Weezer in un'altra dimensione, mentre una pletora di band cresciute insieme a loro, o susseguentemente impegnate nel tentativo di ricalcarne le orme, cominciarono a spuntare come funghi e a farsi valere in tutta la città, e in particolare a Hollywood: la Blue Generation, appunto. Quella scena, vissuta per poco poco più di un quinquennio tra la metà dei 90s e l'inizio del nuovo millennio, è sapientemente documentata in questo fantastico progetto messo a punto da due etichette-faro per la musica pop contemporanea, l'ormai celebre Big Stir e la Spyder Pop, con l'indispensabile ausilio dello scrittore S.W. Lauden (al secolo Steve Coulter), al tempo batterista titolare nei Ridel High - uno dei gruppi preminenti della generazione blu - e successivamente membro di eccellenti band come TSAR e Brothers Steve.

 

Il "pacchetto" comprende una compilation che raccoglie undici tracce rare o esclusive di alcune delle maggiori band del cosiddetto movimento "geek rock", secondo la fortunata definizione mutuata dal sopracitato articolo messo a punto da Entertainment Weekly, e un libro, "Generation Blue Oral History", in cui S.W. Lauden ha raccolto dai protagonisti dell'epoca molte interessantissime testimonianze sul momento d'oro dei primi Weezer e di tutto ciò che il fenomeno provocò nella California meridionale nei mesi e negli anni successivi. Ad arricchire la preziosa prefazione a cura di Karl Koch, da molti definito "il quinto Weezer" per i molti ruoli ricoperti attorno all'opera della band, al cospetto del taccuino di Lauden si sono presentati, tra gli altri, Matt Sharp (Weezer/Rentals), Adam Orth (Shufflepuck), Mike Randle (Baby Lemonade) e Parry Gripp (Nerf Herder). Una carrellata di nomi e curiosità illuminanti e a tratti sorprendenti. La playlist in vinile limitato accoglie bande minori, dimenticate o del tutto sconosciute come Shufflepuck, Baby Lemonade, Ozma, Nerf Herder e Supersport 2000, che insieme a un'altra manciata di gruppi disegnano un commovente quadro di un momento artistico davvero frizzante reggentesi su chitarroni distorti, linee melodiche indimenticabili, camiciole da scolaretti e occhiali con spessa montatura nera da irriducibili (e anche un po' orgogliosi) outsider. Un'epoca magari durata poco e geograficamente circoscritta, ma comunque molto importante per l'evoluzione della "nostra" musica.

 

"Generation Blue" è un prodotto di pregio, ma soprattutto un lavoro sentimentale. Una panoramica giornalisticamente ineccepibile pur redatta indossando gli occhiali rosa dell'amore, su un fenomeno che purtroppo, ci viene da pensare, non sarà in alcun modo replicabile.

Big Stir Records | Bandcamp

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