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martedì 30 marzo 2021

Disco del Giorno: Dolph Chaney "This Is Dolph Chaney" (2021 - Big Stir)


La veste grafica ricorda in pieno quella del classico best of, con i titoli delle canzoni messi in bella mostra sulla copertina frontale, eppure "This Is Dolph Chaney" è un disco vero e proprio, o forse no. Lodato dalla critica per l'ultimo album di studio "Permanent Rebuild" pubblicato proprio da Big Stir lo scorso anno, Dolph Chaney si è deciso a riprendere in mano qualche tonnellata di brani accatastati in magazzino nelle ultime tre decadi da scrittore. Li ha risuonati, selezionati, e i prescelti sono stati sottoposti a un vero restyling, a nuovi arrangiamenti, prima di essere affidati alle cure di un produttore vero, che nell'occasione, come in molte altre nell'ultimo periodo, ha le sembianze di prezzemolino-Nick Bertling, qui impegnato anche come polistrumentista. Il risultato è la raccolta di cui abbiamo il piacere di parlarvi oggi, che visti tutti gli annessi e connessi della vicenda risulta in tutto e per tutto essere un album nuovo di zecca.

 

L'etica fai da te che volente o nolente Chaney ha adottato negli ultimi trenta e più anni per molti versi continua a caratterizzarne le opere, nonostante il trattamento di bellezza loro somministrato. "Quando ho un'ispirazione scendo subito nello studio in taverna - ha avuto modo di dichiarare l'autore -, e cerco di catturarne l'essenza immediatamente, per preservarne la purezza, non importa se lo studio di registrazione e gli strumenti non sono di pregio assoluto". Il risultato di tale deontologia è sotto gli occhi di tutti, apprezzabile anzichenò: "This Is Dolph Chaney", in effetti una bella panoramica su gran parte della vita dell'artista, è una sequenza di canzoni raffinate, ben studiate e ben composte, che dicono molto sulle scelte dell'uomo, non solo a livello musicale. Un disco per adulti, avrebbero detto in altri tempi: adult oriented rock, per la precisione, rifinito, pensoso, riflessivo, anche quando si alzano i volumi delle chitarre. E bisogna dire che la varietà nella proposta non manca, anzi.

 

Status Unknown apre la trafila tra dissolvenze acustiche e lontani echi ipnotici, introducendo l'ascoltatore ai molti tumulti interiori che si incontreranno strada facendo. I Wanted You, sulla quale cadrebbe la nostra scelta dovessimo indicare un potenziale singolo, è un atto d'accusa, e una presa di coscienza, laddove il nemico da sconfiggere è la relazione tossica, dalla quale sarebbe meglio fuggire anche quando si fa di tutto per non scappare. Il brano è un eccezionale esempio di quanto Dolph sappia maneggiar bene sei corde e ritmi sostenuti, e ci ricorda le grandi pubblicazioni di Nick Piunti nonché i migliori momenti del Bob Mould solista, eroe confesso dell'autore.

 

Su simili coordinate chitarristiche muovono anche le lodevoli My Good Twin e Scales, con l'ultima abile a richiamare anche il Michael Stipe più rauco nell'esecuzione vocale, ma Chaney sa ampiamente il fatto suo anche (soprattutto?) quando si tratta di decelerare, come dimostrato dai toni tenui, sensibili e meditativi di Beat It, Meaningless e Under The Overpass, tutte a trazione acustica. Now I Am A Man, consuntivo esistenziale e timbro sull'avvenuta maturità non troppo inseguita, ma piuttosto imposta dalla dura realtà - "I had my firstprostate exam" - aggiunge un' introduzione jangle a un brano da modulazione di frequenza anni '80; Worship Song alza di nuovo il cursore dell'amplificatore per ricordare l'ultimo Mathhew Sweet; Cuddle Party è una frazione new wave adornata da linee di synth tanto sublimi nella loro semplicità. E come non citare la rimbalzante Pleasant Under Glass, dall'irresistibile incedere country per giunta adornato da cori a cura dei grandi Vapour Trails? Chiude i conti un'altra gemma pacata e psicologica come Graveyard Shift, perfetta chiosa di un disco piuttosto cerebrale, ponderato, cogitabondo, anche se le domande, alla fine del percorso, continuano a essere molto più numerose delle risposte. 

venerdì 26 marzo 2021

Un venerdì da single: marzo 2021


Puntuale, come ogni ultimo venerdì del mese, arriva il nostro contenitore dedicato a 7", singoli digitali, mini, Ep, anticipazioni di album futuri e insomma, lo sapete: tutte le pubblicazioni che vantano meno di sette tracce trovano asilo in "Un Venerdì da single". Si ringrazia la modella Vicky per essersi prestata allo shooting per la foto di copertina.

The Easy Button "Waiting Room"

Torna la band di Tampa, Florida, a un anno di distanza dal gradevolissimo lavoro lungo "Some Bands Have All The Fun", che ha finito per occupare una posizione ragguardevole nel nostro best of 2020. Di quel disco Waiting Room avrebbe potuto tranquillamente far parte, e gli Easy Button con il nuovo singolo proseguono decisi sulla strada tracciata: pop/rock d'impasto collegiale, caratterizzato da chitarre sostanziose e da melodie a tratti angolari sempre sul punto di esplodere in ritornelli memorabili, pronte a entrare nelle grazie dei numerosi lettori ossessionati da Weezer, Ultimate Fakebook, Snug e da tutto quel sottobosco pre-emo che raggiunse il proprio periodo di massima fertilità nella seconda metà degli anni '90.

Peaces "Heathens Of Love"

Leggendo il nome Peaces abbiamo avuto un sussulto: non saranno per caso riapparsi i tre newyorchesi che nel lontano 2006 se ne uscirono con il mastodontico "Is/Are Was/Were" scomparendo nel nulla un secondo dopo? Purtroppo no, questi Peaces sono tedeschi, ma i quattro brani che compongono "Heathens Of Love" consolano non poco. Pop chitarristico dalle marcate influenze jangle e almeno un pezzo - la tite track - abile a imporre ai nostri recettori uno stato di fame incontrollabile: quattro pezzi sono troppo pochi, speriamo l'EP sia prodromico a un piatto più ricco da divorare a breve.

Octubre "Epílogo"

Avevamo avuto la fortuna di scoprire gli Octubre, gruppo spagnolo di Murcia, assistendo alla loro brillante performance a Liverpool, nel corso dell'edizione 2015 dell'International Pop Overthrow: fu amore a prima vista. In quell'occasione acquistammo "Todo Se Lo Lleva El Viento", il loro terzo album di studio immatricolato nel 2014, che ci impressionò per la naturalezza con cui le melodie zuccherosissime pur ben distanti dallo stucchevole sgorgavano dalla penna del quartetto. Un ulteriore disco lungo, "Mouseland", fu rilasciato proprio nel 2015, poi un silenzio durato quasi sei anni. Questo nuovo EP non si discosta dalla tradizione del gruppo; quattro brani power pop d'infatuazione sessantesca laddove la componente pop è decisamente preponderante, tra i quali spicca La Huida, pezzo istantaneamente memorabile sorretto da un gran gusto nel lavorio delle nostre chitarre favorite. Auspicando solo che "Epilogo", il titolo del dischetto, non sia profetico.

Caper Clowns "I'd Be Me"

La band danese è pronta a pubblicare il terzo album di studio, che si chiamerà "Abdicate The Throne" e vedrà la luce il prossimo sette maggio. I ragazzi lo stanno lanciando in grande stile: quattro i singoli apripista, roba da major anni degli anni d'oro. L'ultimo, I'd Be Me, è stato rilasciato qualche giorno fa, ed è un'altra promessa per un disco definito dall'ufficio stampa "più ambizioso, ampio, audace dei precedenti due", che poi sarebbero "The Buca Bus" (2016) e "A Salty Taste To The Lake" (2018). A quanto pare nella nuova opera ascolteremo "rock, pop, country, musica classica e tutto quello che sta in mezzo": non nascondiamo una certa curiosità. Nel frattempo, I'd Be Me è un'altra gemma di raffinato pop vocale, cesellata a puntino per soddisfare i molti seguaci di Crowded House, Michael Penn e... John Lennon abituati a seguire questa pagina.

The Hard Way "New To You"

Gli Hard Way sono sostanzialmente Matt Wilczynski. Egli canta e suona chitarre, basso, pianoforte e batteria, invitando qua e là numerosi ospiti a tenergli compagnia. Un talento vistoso ed eccentrico, sia inteso l'aggettivo nell'accezione più positiva possibile. "New To You" è un ambiziosissimo EP di cinque pezzi, ognuno dei quali conserva una sua particolare indipendenza. Walls & Bridges è apertura di gran classe definita da una precisa chitarra slide e dalla voce tracimante sentimento di Wilczunski, non troppo dissimile da quella che ha reso un Dio sotterraneo Steve Eggers dei Nines, mentre il chorus affonda i piedi nel sostrato melodico dell'Album Bianco. Note To Self vanta una scrittura di primissimo livello, opportuni cori opacizzati e una linea di pianoforte memorabile. Open Cage rimane ancorata a una grande melodia che riesce a tener sotto controllo qualche azzardo epico, e la strumentale Wormtown Underground non disdegna arrangiamenti che sconfinano nei territori funky di basso e fiati. Sunshine, acustico finale, trasuda caloroso soul secondo la ricetta classica dei Doobie Brothers, chiudendo un dischetto elegante, studiato in ogni minimo dettaglio, pieno di cose belle, da maneggiare con cura. 

Mo Troper "The Perfect Song"

Abbiamo parlato di Mo Troper e del meraviglioso album "Natural Beauty" alla fine dello scorso inverno: il suo terzo lavoro lungo, debutto per la Tender Loving Empire, ci aveva impressionato alquanto. Nel frattempo il cantautore di Portland ha pubblicato un tributo integrale a Revolver e, proprio alla fine dello scorso anno - ci si perdoni il ritardo - questo commovente singolo digitale dedicato alla memoria di Adam Schlesinger, il leader degli inarrivabili Fountains Of Wayne ucciso dal Covid lo scorso aprile. "You wrote the perfect song / it gets stuck in my head all day long" canta Mo Troper idealmente inginocchiandosi al cospetto di uno tra i più grandi songwriters di tutti i tempi. The Perfect Song è una sentita, brillante, dolcissima canzone indie pop fai da te, registrata a casa di mamma. Un brano scritto da una penna sempre tra le più ispirate del momento, che non potrà non commuovere chiunque sia ancora provvisto di cuore e memoria.

giovedì 25 marzo 2021

Disco del Giorno: The Boys With The Perpetual Nervousness "Songs From Another Life (2021 - Bobo Integral/Kool Kat)


Torna a due anni di distanza dal fantastico "Dead Calm" la coppia formata dal popster scozzese Andrew Taylor (Dropkick) e dal basco Gonzalo Marcos (El Palacio de Linares), superbi protagonisti di un progetto in regime di distanziamento sociale ben prima che l'obbligo imposto dalla pandemia diventasse prassi planetaria. Sempre titolari  di uno tra i nomi più belli del panorama musicale, ovviamente preso in prestito dalla traccia inaugurale di "Crazy Rhythms" dei grandissimi Feelies, il duo ha da poco rilasciato un nuovo album che scalderà parecchio i cuori e le viscere dei molti appassionati di Rickenbacker-pop soliti a frequentare queste pagine. Taylor e Marcos sono due autentici campioni quando si tratta di maneggiare la materia jangle, e "Songs From Another Life" si candida con tranquillità al titolo che verrà assegnato al miglior disco tematico dell'anno.

 

I Boys With The Perpetual Nervousness suonano e scrivono come suonano e scrivono i britannici quando sono colti dall'uzzolo d'ispirarsi al lascito dei Byrds e dei figli illegittimi di questi ultimi, quelli che prosperavano, chi più chi meno, nel sud-est degli Stati Uniti negli anni ottanta: la ciurma di Mitch Easter, i Windbreakers e, naturalmente, i REM della prima decade. Tutti ingredienti di prima qualità, ma non basta avere il borsellino pieno e fare la spesa da Peck per servire un piatto gourmet: Taylor e Marcos ci riescono perché conoscono a menadito la materia e sanno scrivere, modestamente, da Dio. L'apertura, azzeccatissima, è affidata a I Don't Mind, sostanzialmente un unico ritornello lungo un minuto e quaranta secondi che svela gli altri sospettatissimi numi tutelari della band, i Teenage Fanclub. Play (On My Mind), il primo singolo estratto dal disco, è una perla byrdsiana di clamorosa precisione filologica ancor più della pur eccelsa How I Really Feel, che troviamo più avanti nel cammino.


Se Can't You See dà una vaga idea di quello che sarebbe potuto diventare John Davis avesse avuto una maggiore propensione acustica, e Waking Up In The Sunshine  è tiepida di Fannies melanconici periodo Songs From Northern Britain, i ragazzi perennemente nervosi, nome in ossimoro con la musica proposta se ce n'è uno, tirano fuori il jolly con Rose Tinted Glass, pop figlio di genitori vestiti di camicie a scacchi che ricorda le migliori cose tirate fuori negli anni (ma toh?) proprio dai Dropkick.


I riff di chitarra, una volta tanto più frizzanti, adornati da appropriatissimi synth in Summer e la conclusiva ballata britpop In Between sono altre due chicche abili a impreziosire un grande album d'incantato jangle pop, perfetto per passare le prossime sere d'estate. "Songs From Another Life" è forse troppo bello per essere così breve, sotto i trenta minuti di durata complessiva: vorrà dire che lo faremo girare molte volte in questi mesi.

sabato 20 marzo 2021

Disco del Giorno: Jeremy Porter and The Tucos "Candy Coated Cannonball" (2021 - GTG Records)



La coda dell'inverno sta facendo pagare carissimo l'imminente arrivo della primavera, e il vento gelido con cui sta spazzando le sue ultime giornate ricorda i saccheggi delle città perpetrati dall'esercito in rotta durante la ritirata. Meglio chiudersi in casa davanti allo stereo dunque, anche perché in rigoroso regime di lockdown non ci sono molte alternative. Tra le poche, ascoltare dischi nuovi è sicuramente tra le opzioni migliori, e l'ultimo lavoro di Jeremy Porter And The Tucos è stato mandato dalla provvidenza per salvare il weekend.

In un'era il cui inizio si perde ormai nella remota memoria segnata dalla perdurante assenza di live, "Candy Coated Cannonball" rappresenta un meritato toccasana. La cartella stampa abbinata al disco, citandone le influenze, parla di classico power pop americano tra Cheap Trick e Plimsouls, di roots rock di retaggio Parsons-Tweedy, di punk figlio degli X e di certo rockabilly. Ci si può trovare d'accordo, più o meno, ma le sensibilità di ognuno non sono sindacabili. Di certo il gruppo sa fare molte cose, prima fra tutte accelerare e decelerare con sapienza, sferragliando con riff affilati e voci insolenti un attimo prima; seducendo con lunghe ballate acustiche un secondo dopo. Proprio come i migliori gruppi che frequentavano i vostri abbeveratoi preferiti ai tempi belli, tornando alla considerazione di poco fa.

Nel vario repertorio esposto sono soprattutto due le anime che spiccano: quella elettrica e aggressivamente melodica debitrice di Robin Zander, Paul Westerberg e Evan Dando e quella pacata e cantautorale, sovente intarsiata di elementi tratti dal vocabolario alt.country che Porter sa maneggiare molto bene. Insieme ai Tucos - al momento Bob Moulton al basso e Gabriel Doman alla batteria - Jeremy apre il fuoco con Put You On Hold, episodio che rende grande onore a Detroit, città d'origine del trio, e al suo proverbiale sound. Definito da una competente farfisa, il brano è fatto d'intenso garage'n'roll e sa di Stooges, appunto, di quelli intenti a cibarsi di una dose di speed più cospicua del normale.

   

 Il passaggio successivo tocca a Dead Ringer, che pare un mid-tempo dei Replacements e fa del sintomatico ritornello un vero e proprio vanto ("She's a dead ringer for a pop singer i fell in love with on a record sleeve - applausi), ma il meglio arriva più avanti: Upward Trend e What Could Be In That Box sono pregne di richiami al libro classico del power pop americano di cui sopra, mentre Downriver Song, October Girls e soprattutto la meravigliosa Zipper Merge dimostrano la naturalissima propensione di Porter nel maneggiare la miglior popicana di casa. Non potendo farne a meno, segnaliamo anche il prezioso e cantilenante intermezzo History Lesson, Part III, un altro capolino di Paul Westerberg in Stunned e l'incisiva chiusura delegata a Girls Named Erica, durante la quale la proverbiale prestanza muscolare dei Cheap Trick si fonde con un sagace songwriting al gusto Lemonheads.

 

Non c'è molto altro che possiamo aggiungere per definire ancor più precisamente il disco del giorno. "Candy Coated Cannonball", a volte correndo, altre passeggiando meditabondo, finisce per essere semplicemente un bel disco di rock americano, abile a pescare dalla tradizione evitando che questa si trasformi in un dogma invalicabile. I poster in cameretta, poi, sono quelli giusti.

Official Website | Bandcamp

domenica 14 marzo 2021

Disco del giorno: artisti vari "The Boy Who Paints Rainbows. A Colorful Tribute To Television Personalities" (2021 - Paisley Shirt)


Ci piacciono le idee strambe e da tempi non sospetti adoriamo i Television Personalities. Ciò premesso, nel quartier generale di UTTT abbiamo da settimane un sorriso a trentadue denti stampato sul volto, dopo aver ascoltato il bizzarro tributo alla banda capitanata dall'inarrivabile Dan Treacy oggetto della discussione odierna. Tutto è al posto giusto in questa lodevole iniziativa, a partire dall'etichetta editrice, quella Paisley Shirt che ormai abbiamo imparato a seguire con discreta costanza  e che proprio da un pezzo dei TVP's trae il meraviglioso nome. "The Boy Who Paints Rainbows" è un tributone (addirittura ventisei pezzi) molto variegato nella proposta dei tributanti, le cui performance sono comunque legate da una comune estetica lo-fi.

 

Figlia di un processo di stampo amatoriale, la raccolta finisce per essere uno degli omaggi migliori a una band che abbiamo potuto ascoltare negli ultimi tempi, e d'altra parte va detto che il materiale su cui lavorare era di discreto livello. Tanti gli highlights che ci sentiamo di segnalare: dalla splendida apertura affidata a Yoan and Miles, autori di un'amorevole versione di Smashing Time, allo strepitoso trattamento Vibrators riservato dai Basic Shapes a Geoffrey Ingram; passando per l'intensa veste beat cucita dai Pastel De Nada a Silly Things Lovers Do e arrivando alla conclusione opportunamente incarnata da Picture Of Dorian Gray, lucidata di pop e celestiali armonizzazioni dai Catherines, che rendono omaggio a una meravigliosa canzone nell'episodio forse a fedeltà meno bassa del lotto.


Come detto, non sono pochi i piacevoli azzardi in elenco. Il caro, vecchio Dan, personaggio libertario se ce n'è uno, apprezzerebbe la sgangheratissima I Hope You Have a Nice Day suonata dai Rip Florance, ma anche la chiassosa interpretazione proposta dall'affidabilissimo R.E. Seraphin (il cui ottimo disco d'esordio "Tiny Shapes" ha occupato un posto di riguardo nella nostra classifica sui migliori album del 2020) in This Time There's No Happy Ending, oltreché la straniante A Day In Heaven offerta dai Satellite Jockey.

   

Sono accorse band da tutto il mondo a innalzare una statua a Mr. Treacy, ma la rappresentativa di gruppi francofoni è particolarmente corposa. Alcuni di essi hanno inteso utilizzare la lingua madre nelle loro prestazioni, con risultati inattesi, ci permettiamo di dire. Dall'azzardata mischia emergono di certo il collettivo sintomaticamente chiamato France Profonde, presente con Je Sais Ou Syd Barret Vit (I Know Where Syd Barrett Lives) e soprattutto tali Osaka Camping, i quali prendono Look Back In Anger (ribattezzata Je Regarde En Arriere) e la restituiscono irriconoscibile, avendole praticato un lifting che la fa somigliare a un inedito di Edith Piaf.


Il sottotitolo della compilation recita "A colorful tribute to Television Personalities" e la descrizione rende bene l'idea. Una sequenza d'interpretazioni variopinte, ispirate anche nell'imprevisto, carica d'amore per un artista vero, geniale, unico nel suo genere. Un tributo che ha senso: non molti ne hanno. Gradevolissimo da ascoltare di per sé, e un ottimo motivo per correre a ripassare l'intera discografia dei Television Personalities, uno dei cinque gruppi più sottovalutati di tutti i tempi.

mercoledì 10 marzo 2021

Disco del Giorno: The Airport 77s "Rotation" (2021 - autoprodotto)


Preso il nome in prestito dal noto disastro aereo cinematografico diretto da Jerry Jameson, gli Airport 77s regalano agli aficionados il primo ottimo disco del 2021 per la categoria power pop storico. Power pop e new wave, direbbe il filologo classico, nell'infusione tra due generi dai contorni ancora sfumati nel 1980, epoca a cui inesorabilmente si riferisce "Rotation", il primo lavoro del gruppo. Un disco breve - appena otto tracce - e fatto di brevi canzoni dal tiro micidiale e immediato, musicalmente ispirate ai sospettatissimi Motors, 20/20 e Jags ma infine personali, soprattutto per merito dello stile canoro, teatrale anzichenò, esibito da Andy Sullivan, nelle cui corde vocali si incrociano gli eclettismi di Cal Everett, John Burton e, perché no, Joe Pajamas.


L'incipit del disco, sempre un momento delicato, è affidato a Christine's Comin' Over, pop chitarristico calato mani e piedi tra il 31 dicembre '79 e il capodanno del 1980: le chitarre sibilano su una sezione ritmica pressante, e il timbro vocale, in pari misura melodico e aggressivo, svela il figlio prediletto tra quelli che abitano il pantheon, le cui fattezze non possono non essere quelle di Paul Collins. L'autoproclamato, peraltro a buona ragione, "Re del power pop" sarebbe fiero di vedere recepita la propria lezione durante la splendidamente titolata (When You're Kissing On Me Do You Yhink Of) James McAvoy, uno dei punti salienti dell'opera, dedicata a chi almeno una volta nella vita (e a chi non è mai capitato?) ha avuto la netta percezione di non essere necessariamente l'obiettivo finale della ragazza che gli dedica qualche attenzione.


Proseguendo, il riff di Shannon Speaks è vistosamente debitore della ritmica strummeriana, mentre Wild Love sequestra i Cheap Trick epoca Dream Police e riserva loro un gradito trattamento glam intensamente chitarristico. Il mito Paul Collins aleggia come un santo protettore sulle spalle del trio, e in effetti All The Way e Make It Happen gridano a gran voce il proprio amore per "The Kids Are The Same". A guarnire il tutto una riuscita cover di Girl Of My Dreams, inno di genere consegnato alla storia da Bram Tchaikovsky, per segnare ancora una volta i confini di un album che sa ciò che vuole e come ottenerlo. I cultori della materia possono gettarsi su "Rotation" senza timore di farsi male.

venerdì 5 marzo 2021

Disco del Giorno: Emperor Penguin "Corporation Pop" (2021 - Kool Kat)


Ci mettiamo tutto l'impegno possibile per intercettare le migliori uscite dell'universo pop indipendente, ma nonostante i piacevoli sforzi profusi, ogni tanto stecchiamo anche qui a UTTT. Gli Emperor Penguin, un grandissimo gruppo londinese, finora era sfuggito ai nostri radar, e ce ne doliamo moltissimo. Spiace anche, vista l'iperbolica qualità del materiale, che "Corporation Pop" non sarà eleggibile per le classifiche di fine anno, perché semplicemente non si tratta di un disco vero e proprio. Ma andiamo con ordine. Rilasciato nel gennaio dello scorso anno il terzo lavoro di studio "Soak Up The Gravy", peraltro riconosciutissimo dalla critica di settore, gli Emperor Penguin, forse tediati dalle costrizioni dell'epoca pandemica, nel resto del 2020 hanno pubblicato un singolo e ben tre EP in formato digitale: "Talk To Me" (traccia singola uscita a gennaio, poco dopo la pubblicazione dell'ultimo album), "Taken For A Ride" (giugno), "Palaces And Slums" (agosto) e "Barbed Wire And Brass" (ottobre). Un accesso creativo debordante, quantomeno meritevole di giacere su un supporto fisico.

Manco a dirlo, l'operazione è stata condotta in porto da Ray Gianchetti, il quale ha provveduto a serigrafare il noto marchio della Kool Kat Records sulle copie di "Corporation Pop", lussuosa raccolta che include il materiale diffuso dalla band nel corso del 2020 oltre a una manciata di prelibate tracce inedite. Avvalentisi della collaborazione di personaggi di un certo spessore quali Orbin Max e Lisa Mychols (la regina del power pop californiano, se ce n'è una), gli Emperor Penguin nelle diciassette tracce di questa splendida compilation sciorinano una clamorosa prova del loro talento. Sono in quattro - Nigel Winfield, JT, Richard Wilson e Neil Christie - e tutti e quattro contribuiscono alla stesura, fatto che conferisce all'elenco una varietà eccezionale, sia dal punto di vista scrittorio, sia da quello canoro. Un insieme di brani pop scritti e armonizzati meravigliosamente, che dimostrano di aver assimilato nei termini corretti la lezione di Revolver e Rubber Soul, senza dimenticare di guardare all'estro distinto della Eletric Light Orchestra e a quello strambo di Partridge e Moulding. Ma c'è tanto altro. E soprattutto, non ci si aspettino copie carbone di chicchessia.

 

Talk To Me, aprendo il disco, riporta alla mente la stessa domanda di sempre: e questa perché non l'abbiamo mai sentita in radio? Perché la radio non l'ascoltate, risponderete voi. Però caspita, pervasa da un feeling sonico da modulazione di frequenza da tardi anni ottanta, con quelle esplosioni melodiche, con un ritornello così edificante, così energetico, meriterebbe. Pazienza: la grande musica seppellisce con agio i cattivi pensieri. Per segnalare che i cambi di flora e fauna nel giardino di "Corporation Pop" sono più variegati di quelli del Sonsbeek Park di Arnhem, la successiva False Prophet interseca segmenti cantautorali a peculiari fraseggi barocchi, mentre la scrittura d'autore che  dipinge Hell In A Handcart flirta con certe intuizioni degli XTC in chiave acustica. E se Maserati, Blink e Tuesday's World tornano - ognuno avendo fatto le proprie diverse esperienze - all'ovile dei Beatles '66-'68, The Way The Cookie Crumbles impone un imprevisto ribaltamento di fronte: il brano, forse il più incredibile dell'intera raccolta, parte con un inaspettato andazzo ska per esplodere in un memorabile ritornello dai cori poderosi che porta alla mente addirittura gli Squeeze di Is That Love?


Da segnalare, perlomeno, anche la raffinatezza bacharachesca di Belgravia Affair, lo stravagante art rock esaltato da ispiratissime linee di synth che fomentano 12 Angry Men, oltre al superbo acustico un po' Macca, un (bel) po' Emitt Rhodes chiamato Lock Of Hair. Mi sono accorto di aver citato quasi tutto l'elenco, e allora mi dispiace lasciar fuori Stay Out Of The Sun, bomba power pop dove gli XTC, stavolta quelli presi in movimento, in qualche modo incontrano alcune star della scena nordeuropea che spopolavano negli anni novanta come Wannadies ed Eggstone.

 

Tra gli inediti, già che ci siamo, si nascondono due tra i migliori spezzoni del disco: uno è Utopia, lentone di tanto in tanto accarezzato da propizio organo che detona in un possente chorus orchestrale da lacrime copiose; l'altro è Planet Of Love, dirompente fucilata pop per sala da ballo a cui Lisa Mychols regala una prestazione al microfono di quelle che conosciamo bene. "Corporation Pop" è una ricchissima  collezione che evidenzia con generosità l'enorme talento degli Emperor Penguin. Una raccolta tremendamente affascinante di per sé, oltreché un'irresistibile spinta ad andare a recuperare presto anche tutti i lavori precedenti della band.

martedì 2 marzo 2021

Radio Tangerine #5


Come per fortuna sempre più spesso accade, ecco a voi il nuovo volume di Radio Tangerine, la playlist che raccoglie il meglio del rock'n'roll melodico indipendente uscito nelle ultime settimane!