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giovedì 24 dicembre 2009

Disco del Giorno 24-12-09: Fate Lions - Good Enough for You (2009; autoprodotto)

E' buffo, molto buffo. E' quasi Natale e sono attorniato da prati e montagne innevate, mentre fuori dalla finestra basse e cupissime nuvole scaricano una leggera ed insistente pioggerella filtrata dalle luminarie e dai jingle-bells della festa. Ma io penso al Texas. Nella sua accezione più classica. Sole. Caldo. Distese sconfinate di nulla. Oppure improvvise metropoli, che mai dimenticano la propria collocazione geografica all'interno di un territorio strano, ampio, di frontiera. Dove anche i suoni più evoluti e progressisti sempre devono fare i conti con una tradizione antica, forte, che segue il trascorrere degli anni come un'ombra e tuttavia non opprime, capace com'è di adattarsi al presente e, ne siamo sicuri, al futuro. Ed è vero, di gruppi che si cibano di tradizione ne escono ancora a frotte, ancora oggi, da tutti gli angoli degli States e soprattutto qui, nella culla della musica americana per come noi oggi la intendiamo. Ma ci sono sodalizi che nonostante tutto fuoriescono dalla massa con dischi assolutamente degni di nota. Uno di questi è Good Enough For You, album primogenito dei Fate Lions.

Ecco, adesso vi aspetterete che i Fate Lions siano un gruppo country. E invece no. Perchè i suoni delle radici fanno parte del bagaglio culturale della band, ma non ne dominano il suono. Sono radici nascoste eppure, irrimediabilmente, influenzano un album che poi in sostanza è indie rock. La produzione è opera di Salim Nourallah e ogni tanto, in effetti, sembra di sentire l'eco di alcuni suoi dischi, anche se bisogna dire che i Fate Lions sono fautori di un sound decisamente più dinamico. Inoltre, anche se non sempre è obbligatorio esagerare con i riferimenti materiali, mi sento di citare un album recente che, se qualcuno lo ricordasse, potrebbe essere di buon esempio: era il 2006 e in molti - io per primo - etichettavamo This Car Is Big, il primo disco dei Molenes, come uno dei migliori lavori di americana pura degli ultimi anni. Qualora non aveste idea di che cosa stia parlando, sappiate comunque che i riferimenti che facevano grande quel disco sono qui presenti in forze.

Per essere chiari, brani come Seen It All, Shining Places, la meravigliosa ed evocativa The Queen Himself, ma soprattutto come All You Do Is Crazy e Hard Swallow sono colpi clamorosamente riusciti di indie rock filtrato da contaminazioni rurali, dove le centrifughe liriche e musicali che fanno tanto Wilco e Son Volt sono accompagnate dal carattere forte dei mitici Say Zu Zu. Ma, lo dicevamo prima, la forza di questo disco consiste nella complessa storia che ognuna delle tracce presenti porta dietro di se. Una storia lunga oltre quarant'anni di musica a stelle e strisce. Un percorso capace di unire le concezioni soniche dei progenitori ed associarle con estrema naturalezza alla rivoluzione indie anni '80 e primi '90. Così un brano come Astronaut ricorda i REM degli esordi e The Girls Are Alright è imperniata su girotondi simil-jangle molto Teenage Fanclub, mentre la sublime Calendar Girls porta subito alla mente i migliori Lemonheads, senza scherzi. Good Enough for You? Si, direi proprio di si.

venerdì 18 dicembre 2009

Disco del Giorno 19-12-09: The Corner Laughers - Ultraviolet Garden (2009; Popover Corps)

"Irriverente, solare e sfacciata pop music per il passato, il presente ed il futuro". Questo si legge, sul sito di CD Baby, nella pagina di presentazione di Ultraviolet Garden, il secondo album di studio dei Corner Laughers. Se vi ricordate, non è la prima volta che parliamo del quartetto di Frisco su UTTT. Quasi due anni fa, oramai, scrivevamo ottime cose riguardo a Tomb Of Leopards, che dei Corner Laughers era l'album di debutto. Ora, se non rimembrate, potreste prendervi una pausa e ricominciare da quegli scritti così, a mò di ripasso. In ogni caso sappiate, e statene certi, che Ultraviolet Garden rappresenta un triplo salto mortale in avanti, rispetto allo spassoso debutto del 2006. Le caratteristiche base sono poi le stesse: sensazionale twee pop di chiara matrice eighties, riposizionato nel nuovo millennio ed aggregato a sensazioni pop-girl anni '90. Il risultato è più o meno quello che ci si aspetterebbe ascoltando Lisa Marr spalleggiata dagli Heavenly. Tanta roba. Stavolta, però, c'è qualcosa in più. Karla Kane e Angela Silletto, le ragazze terribili alla guida della band, danno sfogo a tutta la loro passione per la musica delle radici americane, e così Ultraviolet Garden risulta essere uno dei migliori dischi alt.country/pop che mi sia capitato di sentire ultimamente.

La meravigliosa voce di Karla esplode da Shrine of the Martyred Saint, traccia numero uno del disco, che fa subito capire il senso della definizione utilizzata per aprire questa recensione: "musica pop per il passato, il presente, il futuro". Ed un'altra questione di primaria importanza si palesa immediatamente. I testi navigano in quello spazio tra il fine umorismo e i raffinati riferimenti culturali che spostavano gli equilibri già ai tempi del disco di debutto. Questa volta le ragazze spaziano tra catacombe romane e preoccupazione per la fauna californiana in via d'estinzione. Tra dissertazioni sui villaggi Mayan e ragazzi che sono perfetti idioti. Il pop delle Laughers poi, è sempre uno sballo. E se lo scatenato twee di brani come Thunderbird, Yellow Jackets e soprattutto della gigantesca The Commonest Manifesto fa saltare sulla sedia, stavolta gli episodi più illuminanti sono quelli intrisi di ukulele e profumati di praterie per una popicana al femminile tra le migliori del decennio. Per esserne sicuri, vi basterà dare un sommario ascolto alla sontuosa Half a Mile e soprattutto a Dark Horse, un manifesto di esistenzialismo contemporaneo da cameretta ("I Saved your last e-mail, i couldn't bring myself to delete it") che entra istantaneamente, e di diritto, tra i brani migliori dell'anno.

In regia siede Allan Clapp degli Orange Peels (anche per loro un nuovo, discreto disco appena uscito), fatto che sta a certificare la garanzia del prodotto: pop d'autore, anzi, d'autrice di primissima qualità. Intenso, profondo ma solare e felice allo stesso tempo, come i Corner Laughers sanno fare alla perfezione. Poi dai, è quasi Natale, e Ultraviolet Garden è il perfetto sottofondo per l'atmosfera di festa. Disco da top 10, senza indugi.

giovedì 3 dicembre 2009

Disco del Giorno 03-12-09: Bill Donati - Never Like This (2007; Manlia Music)

"Le canzoni dei Beatles sono magiche, trascendono il tempo in cui furono scritte. Vederli dal vivo ha rappresentato per me una sorta di epifania". Cosi parlò Bill Donati, il protagonista del nostro "disco del giorno", rispondendo ad una domanda dell'intervista fattagli da Fab Four Radio, una stazione radiofonica online che ogni fan dei Beatles dovrebbe conoscere. A quanto si apprende leggendo il comunicato inviatomi dall'emittente, "Fab 4 Radio trasmette principalmente le canzoni dei Beatles. Per il resto siamo abbastanza selettivi, e solo le migliori canzoni nuove sono ammesse". Donati, cuore e sangue italiano trapiantati dapprima a Memphis ed oggi a Las Vegas, ha visto giusto qualche mesa fa una propria traccia, intitolata Studio 2, essere scelta come canzone del giorno nella programmazione della radio dei suoi sogni. Sono soddisfazioni enormi. Del resto se le merita, Bill, perchè è uno di quei personaggi che dei Beatles e della musica pop ha fatto la propria ragione di esistere. E vediamo perchè.

Bill Donati nei primissimi anni settanta lavorava agli Ardent Studios di Memphis, una vera e propria istituzione della musica americana e non solo. Tra le mura degli studios hanno registrato veri e propri mostri sacri come Led Zeppelin e Cat Power. Come REM e ZZ Top. Ma non vorrei portare fuori strada chi fosse digiuno di informazioi a riguardo. Perchè se gli Ardent studios rappresentarono un eclettico centro di registrazione ambito un pò da tutti, la Ardent label nacque con lo specifico intento di tradurre in musica la prosa inebriante che giungeva sottoforma di invasione dalla lontana Inghilterra. Una sorta di chioccia che si impegnò a proteggere e divulgare (attraverso la potente e sodale Stax records) i pruriti popolari e neopsichedelici che continuavano a divampare nel sud degli Stati Uniti d'America. E sebbene molti valorosi artisti contribuirono a formare la gioiosa comunità Ardent, bisogna dire che il nome che marchiò a fuoco l'intera combriccola fu uno soltanto: quello dei Big Star. Mamma Ardent cullò i primi esperimenti di Alex Chilton e Chris Bell, prima di patrocinare il loro disco d'esordio sotto l'insegna dello Stellone. Ci videro lungo, e Number 1 Record fu uno dei piu' importanti lavori in assoluto, in quel periodo ed oltre.

"Lavoravo agli studios mentre i Big Star registravano il loro primo disco e ho avuto la fortuna di conoscere Chris Bell. Beh, quelle sono esperienze che ti segnano" mi ha scritto Bill Donati nell'e-mail spedita ad UTTT la scorsa estate. Come dargli torto. Detto da uno che della scena musiale di Memphis negli anni '70 è stato parte integrante fa un certo effetto. Un appassionato di "pop e melodia" che negli anni gloriosi della Ardent ha collaborato, nelle vesti di batterista, con artisti quali Lawson & Four More, Wallabies e Terry Manning. E che nel 2007, quasi quarant'anni dopo, ha dato il proprio benestare alla Marlia music per pubblicare in una raccolta intitolata Never Like This dieci pezzi composti e registrati dallo stesso Donati ai tempi della Ardent.

Come ci si potrebbe aspettare, i brani grondano passione sincera e cognizione estrema. Un omaggio alla teoria Beatlesiana ed al credo britannico fatto con gusto e rispetto, applicazione e tanto talento. Si potrebbe contestare a Bill la tempistica, visto che un disco del genere negli anni in cui fu composto avrebbe ottenuto maggior successo di quello che potrebbe conquistare oggi, ma tant'è. Noi che del pop, quando è buono, non facciamo mai una questione anagrafica, ci commuoviamo facilmente davanti alle istanze beatlemaniacali della title track e di Catherine, oppure al cospetto della deliziosa fillastrocca popolaresca e pianistica I'm Not Saying. Rispettiamo profondamente il semplice e dignitoso sentimentalismo di Come What May e l'omaggio di If You've Nothing To Lose al sunshine pop piu' erudito. Addirittura ringraziamo esultanti quando arriva l'ora di un piccolo gioiello devoto al Magical Mystery Tour come A Love Gone Mad.

"Posseggo ancora tutti i dischi dei Beatles. Il miglior gruppo della storia, a mio parere". Questa frase, scritta in un italiano un pò incerto ma comunque superiore al livello medio di molti nostri connazionali, chiudeva la lettera che Bill Donati mi ha inviato. E' persino troppo semplice essere d'accordo con lui e constatare che, ogni giorno che passa, è fantastico sentirsi parte della nostra piccola comunità pop. Ed è doveroso rendere omaggio a minuscoli artisti come Bill senza i quali, forse, un sito come questo non esiterebbe nemmeno. POP ON!

(NB: A quanto risulta, Bill Donati non ha un proprio sito internet, né tantomeno una pagina MySpace. Never Like This è comunque reperibile attraverso i migliori retailers powerpop come Not Lame, Kool Kat e Cd Baby).