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mercoledì 1 ottobre 2008

Kool news!

Sembra che il famigerato servizio postale stia ricominciando ad adempiere i propri doveri, anche se non propriamente a pieno regime. Poco male, ormai me ne sono fatto una ragione, anche perchè gli ultimi arrivi, ancorchè saltuari, sono di livello eccelso. Quest'oggi, per esempio, registriamo buone nuove da Seawell, New Jersey, quartier generale della Kool Kat records di Ray Gianchetti, la miglior etichetta power pop sul pianeta terra. Quanti dischi incredibili ci ha regalato Ray nel solo 2008? Una dozzina buona. E a questa dozzina dobbiamo aggiungere le ultime due nuovissime uscite, vale a dire Another Season Passes degli Strand e Goodnight To Everyone dei Jellybricks.

Lo abbiamo ripetuto alla nausea e sappiamo tutti a memoria che il power pop, almeno quello delle origini, visse i suoi periodi di massimo splendore nei primissimi anni Ottanta. Soprattutto negli States, ma non solo li, centinaia di gruppi provavano nei rispettivi scantinati a miscelare gli ingredianti di un genere che nel suo piccolo ha fatto la storia della musica. Quei ragazzi lo facevano perlopiù inconsapevolmente. Nessuno (o quasi nessuno) sapeva di suonare powerpop all'epoca. Era una cosa che veniva naturale, e che portava parecchi svantaggi a chi lo praticava. In un music-bizz quantomai focalizzato su generi musicali precisi, definiti ed inquadrabili in compartimenti precisi, quell'insieme di artisti, perlopiù sotterranei, che non nascondevano di essere influenzati contemporaneamente dal punk, dalla new wave e da tanto beatlopop, si trovavano regolarmente in quarta fila. Non avevano un look caratteristico, e questo era un problema. Però tra loro iniziarono a diffondersi a macchia d'olio le cravatte strette. Le skinny ties. Ora, skinny-tie powerpop è diventato un simbolo, una caratteristica, un modo per indicare in modo semplice e comprensibile uno stile musicale. Dicesi skinny-tie-powerpop quel tipo di powerpop che si rifà precisamente alle sonorità dell'epoca. Ai padri del genere. Ai Beat e ai 20/20. Non so se ci siamo capiti.

Gli Strand di quella scena (del sottobosco della scena) facevano parte, anche se dalle foto interne al disco non risultano indossare cravatte. Nascono ad Alexandria, in Virginia, nel 1982. Registrano un solo album, Seconds Waiting, nel 1984. Non lo ascolta nessuno, salvo diventare poi oggetto di culto, molto ricercato dai collezionisti, e chissà perchè la buona musica debba sempre invecchiare in botte prima di essere apprezzata. La band, formata da James Garner (voce e basso), Bill Lasley (voce e chitarra), John Hubbell (batteria e voce) e da Tommy Kemler (tastiere) scompare, ma non va in pensione. Tra la metà degli anni '80 e il 2007 i componenti scrivono ancora, e dieci nuovi brani vengono alla luce all'interno di un nuovo, fiammante album chiamato Another Season Passes. Un disco tutto giocato sull'asse Plimsouls-Beat, con gli Who sempre davanti ad indicare la strada. Una serie di brani pazzeschi, come l'iniziale Rising Tide o la grandiosa Not a Stranger, che ruba intro e melodia a Steppin' Stone, per sciogliersi poi in un ritornello che demolisce in un colpo solo gran parte della paccottaglia neo-garage in circolazione. Le canzoni, tutte, com'era caratteristico nell'83 suonano incredibilmente vive e genuine. Le chitarre ruggiscono, le melodie imperversano e la band è lì, davanti a voi, senza trucchi e senza la maschera di una produzione eccessiva. Certe cose mi commuovono sempre. Why'd You Call si sente che deve qualcosa al sixties-punk, ma ha la capacità di trasformarsi in un brano dal ritornello degno dei migliori Records.

Non vorrei spararla grossa ma credo che gli Strand, quest'anno, finiranno nella top 10. L'album non molla la presa un secondo, e tra classiche sonorità skinny-tie (appunto) e melodie da impazzire scorrono senza soluzione di continuità le varie Along For The Ride (fans dei Cryers fatevi sotto) e The Center, un uno-due da impazzire. C'è spazio per un lento spaccacuore (Begin Again) e per rivoli di Clashismo (Scared Streets 1 e 2). E come non innamorarsi dei synths che introducono la favolosa e new-waveggiante On Her Own?

La mini-bigrafia interna al disco termina così: "chiudete gli occhi, ascoltate e provate ad immaginare quando, tra l'84 ed il 2007, le singole canzoni sono state scritte. Giungerete alla conclusione che si tratta di musica senza tempo". Sottoscrivo in toto. Che emozioni, che grande disco.

I Jellybricks arrivano da Harrisburg, Pennsylvania e con questo Goodnight To Everyone toccano quota quattro album di studio, così come quattro anni sono passati dall'ultmo Power This, pubblicato nel 2004. La band, nota per la sua frenetica attività live, ha condiviso i palchi di mezza America con gruppi del calibro di Fountains Of Wayne e Barenaked Ladies. Mi piacerebbe vederli dal vivo, i Jellybricks. Se su cd riescono ad essere così tremendamente potenti, on stage devono essere quantomeno devastanti. Larry Kennedy, Garrick Chow, Bryce Connor e Tom Kristich suonano si powerpop, ma spesso si tratta di powerpop tanto melodico quanto "estremo", nel senso di anfetaminico e muscolare. No, non sono una hard-rock band. Le melodie sono potenti come le chitarre, e da esse sgorgano con una naturalezza che è propria solo di chi sa maneggiare alla grande il genere. Del resto sono stati prodotti da Saul Zonana, mica il primo scemo.

Pronti via, si parte con Eyes Wide, che è lì lì per sconfinare nei territori del pop-punk. La velocità non è quella, ma siamo ai confini. Immaginatevi un mix tra il pop dopato dei Wannadies, i Churchills (qualcuno se li ricorda?) e i Mega City Four ed avrete una vaga idea di quello che vi attende. La title-track rallenta un pò ma nel ritornllo torna esplosiva mantenendo il tasso armonico ai livelli consigliati. Stavolta mi vengono in mente altri Svedesi, i Merrymakers, oltre agli Smash Palace e ai sottovalutati Crash Into June. Il "tono muscolare" svetta ai massimi consentiti durante Broken Record e Up To You, quando il volume delle chitarre è alzato a 12, ma i brani migliori sono quelli vagamente jangle, in particolare More To Lose, dove gli arpeggi rickenbacker-pop hanno la meglio sui distorsori.

Per il resto, al terzo ascolto ci si rende conto che i Jellybricks amano seguire la stella polare di Matthew Sweet. E se, come me, siete dei fanatici del genio che partorì Girlfriend, non potete farvi scappare gemme come Nobody Else, che si sente che è prodotta ed influenzata da Zonana, Put It Down e la delicata conclusione Heartache Begins, perfetta per augurare buonanotte, e buon mal di cuore, a tutti.

1 commento:

The Jellybricks ha detto...

The Jellybricks wish to say thank you for the nice words about our record, and also to say that we have a new video for the first single from Goodnight To Everyone, RUIN US - which you can watch here:
http://www.youtube.com/watch?v=22wDfbEF2HA&fmt=18

Enjoy!
Larry/The Jellybricks