Jim Duncan e soci tornano a trovarci un anno e mezzo dopo il nostro primo incontro, avvenuto in sede di presentazione del primo lavoro di studio dei White Star Liners. Che bello, quel disco, ricordate? Potrebbero diventare star, scrivevamo all'epoca. Ovviamente, nel frattempo, non hanno migliorato il loro status né tantomeno il conto in banca. Che poi la storia è sempre la stessa, non servirebbe spaccarcisi la testa ogni santa volta: da almeno vent'anni a questa parte la qualità della musica è invisa alle compagnie discografiche, per non parlare delle televisioni e, dio non voglia, delle radio. Pace. La diffusione del nuovissimo ep di questo fantastico e misconosciuto combo inglese è affidata alle nostre parole, e non facciamo fatica a parlarne il meglio possibile.
Dunque pare che Jim e James, ossia Duncan e Harvey, in pratica le teste pensanti all'interno del progetto, abbiano terminato la loro opera di elettrificazione della campagna del Sussex, e che nel frattempo l'ambizioso progetto di costruire impossibili macchine volanti sia stato brevettato. Così Jim, caricatasi l'acustica sulle spalle, si è rintanato insieme ad un paio di amici nel suo giardino inglese, sorseggiando bitter tiepido ed impostando il nuovo ep della sua band che, francamente parlando, è una bomba. Sei pezzi di perfezione quieta, dove l'estroso Duncan trapunta di ritocchi geniali quelle che sono, senza velo alcuno, semplici melodie bucoliche. Perfette melodie bucoliche.
Si parte dal tipico duetto lui/lei di The City That Swallowed the Stars, meravigliosa scampagnata retrò nella soleggiata fattoria di Aimee Mann e Michael Penn, per quasi 5 minuti di armonie perfette ad aprire una serie di brani che non hanno niente a che vedere. Cracking Magnets, che arriva subito dopo, è infatti l'unico abbozzo rocker del disco, un brano di pop cadenzato ed infettivo che, passato per sbaglio e di notte su un qualsiasi Brand:New di questo mondo, farebbe faville. Ma è il trittico acustico che segue a lasciare profondi segni nel cuore e nell'anima. Ci sono Sticks Through Spokes e Do the Los Alamos Bug Dance, entrambe puntellate da alti arrangiamenti di archi, a riportare chi ascolta agli amati momenti dello splendore new acoustic di Elbow ed I Am Kloot. E c'è Lazybones, ennesima dimostrazione della supremazia del songwriting rispetto al nome di chi impugna la penna, e poi ditemi che Duncan non è molto meglio di James Walsh mentre tenta di imitare i Nada Surf più pacati. The Mountain Climber Afraid of Heights, invitandoci a riflettere sui più banali paradossi della vita, ed a prova della cura con cui Jim Duncan cura la parte prettamente testuale della sua arte, chiude il cerchio, accompagnandoci all'uscita con un grande estratto di americana remixata secondo i gusti brit.
You Can Do It, We Can Help, a quanto pare, è uscito negli ultimissimi giorni del 2009, ma vale come fosse un 2010, non avendo avuto tempo per considerarlo nelle classifiche di fine anno. Tutto questo per dire, nel caso non fosse chiaro, che i White Star Liners, ad oggi, sono in pole position nella classifica degli extended play di quest'anno.
Nessun commento:
Posta un commento