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lunedì 23 agosto 2010

Disco del Giorno 23-08-10: Seth Swirsky - Watercolor Day (2010; Grimble)

Si, sono stato in vacanza. Del resto, anch'io mi ero un pò stancato di stare qui. No, non sono stato in California, non ne avrei avuto il tempo. E' bastato un soggiorno nella mia adorata Provenza, con la sua cucina d'arte ed i meravigliosi litorali di Cassis e Sanary-sur-Mer, per rimettermi al mondo. La California l'ho portata con me, dritta nell'autoradio, contenuta nelle diciotto pillole di Watercolor Day, il secondo album solista di quel geniaccio chiamato Seth Swirsky, uno che il Golden Satete lo sa raccontare e, cosa più importante, riesce a fare immaginare come pochi altri al mondo.

Sei anni, vola il tempo, sono passati da Instant Pleasure, il disco d'esordio di Swirsky che, ancora e soprattutto oggi, rimane per gli appassionati un punto di riferimento, perlopiù anacronistico, di un periodo si recente ma per molti aspetti lontanissimo, dove le charts "indipendenti" erano governate da Franz Ferdinand e batterie sincopate. Nel frattempo, Seth non se n'è certo rimasto con le mani in mano. E' del 2007, a metà strada, l'ormai celeberrimo She's About to Cross My Mind, album partorito insieme a Mike Ruekberg ed accreditato allo pseudonimo Red Button, capolavoro di classico merseybeat che tre anni orsono sconvolse l'intera comunità pop internazionale. Il bello è che Seth Swirsky lo aspetti e lui arriva, come una certezza ineluttabile, spavaldo di fronte all'obbligo di dover rispettare aspettative sempre più elevate, incapace di tradire l'ascoltatore. Sfiora l'esercizio retorico, mi perdonerete, dire che il disco che stiamo trattando non fa eccezione, e che anzi si candida da subito, e prepotentemente, per un posto sul podio della classifica riguardante i migliori dischi del 2010, se mai ce ne sarà una.

Watercolor Day è un'immersione totale nell'immaginario californiano, nelle sue storie e nei suoi colori. Una retrospettiva sulla celeberrima storiografia soft pop dello stato ed un esercizio di conservazione di un sound ben definito, d'origine controllata, un'esperienza multidimensionale ed un erudito parquet sonico e colorato messo a disposizione di un songwriting tra i migliori in circolazione, ai giorni nostri ed in un dato ambito. La title-track apre l'album alla perfezione, e le tempistiche saltellanti e tipicamente americane del brano ne fanno un oggetto si prezioso, ma abbastanza raro in un contesto che comunque lo supporta alla grande. Scheggie di genio già si intravvedono, se le propulsioni pseudo-country della traccia sfociano senza colpo ferire in un potente staccato prog-pop, dove gli inaspettati fiati sono confettura davvero deliziosa. Dal brano successivo si entra invece con decisione in quello che è il vulnus del disco, ossia la California vista da un balcone alle sei di pomeriggio. Provateci, ascoltando in cuffia Summer in Her Hair. Parlavamo di esperienza multidimensionale, e se avete capite cosa intendo sarà facile calarsi nella parte ascoltandola: si sentono i colori del Big Sur e si vedono chiaramente le note che hanno fatto la gloriosa storia del sunshine pop, con le sue rigogliose armonie vocali, i lussureggianti arrangiamenti e tutto l'armamentario d'ordinanza.

Ad aumentare il coefficiente di pregio dell'album concorre la notevole co-produzione di Rick Gallego, un altro libero docente in materia di pop californiano, e l'eleganza sofisticata degli ultimi Cloud Eleven, soprattutto i Cloud Eleven di Sweet Happy Life, sembra trovare d'accordo Swirsky, che gioca nel medesimo campo mentre esegue le originali melodie di Fading Away. E se Bryan Wilson non può che essere il punto di riferimento assoluto quando si parla di west coast sound, non si può dire che l'autore se la cavi male quando strizza l'occhio all'Inghilterra. Così Matchbook Cover è melodica, ma allo stesso tempo sommessa e un pò angolare come i tardi Beatles di Abbey Road, mentre She's Doing Fine, che per la verità durante lo svolgimento della strofa deve più di qualcosa a Wilson, si destreggia tra aperture melodiche mozzafiato intarsiandole con un refrain-tributo ad All You Need is Love.

Watercolor Day si potrebbe definire un album "lungo", viste le diciotto tracce in programma, ma è talmente godibile che, ogni qual volta lo si ascolta, sembra sempre troppo corto. La costruzione del lavoro è esemplare, e Seth stacca la spina, di tanto in tanto, con piccoli "interludi" geniali come Big Mistake, breve operetta da poco più di un minuto, dove il confine tra scherzo e sottile disimpegno nei cori da bar è sottile, ma ugualmente intrigante. Anche perchè l'umorismo pensante non fa difetto a Seth, che ci riprova con successo organizzando Sand Dollar, deliziosa melodia fanciullesca, quasi giocosa, uno dei momenti più adesivi dell'intero lavoro. E non vorrei annoiare il lettore, ma scrivo tanto perchè c'è tanto da dire. Per esempio, della buona inclinazione acustica dell'autore, che diventa minimale senza perdere un'oncia di grazia ed estasi melodica in Song for Heather e Living Room, e dobbiamo ancora citare i migliori episodi di un disco - si era capito - strepitoso. In Movie Set ci sono Lennon e McCartney, rapiti e ritrovati a tarda sera su una spiaggia della California meridionale, intenti a ricordare, un pò malinconicamente, i tempi andati insieme a Pete Ham ed ai Badfinger di Wish You Were Here. In I'm Just Sayin' c'è tutta la classe di Seth Swirsky, tutto il suo amore per il sunshine pop più contemplativo, tutta la sua capacità di coniugare strofe e ritornelli pensosi con stacchi improvvisamente allegri, piccole marcette intrise di schizzi colorati, dorate passarelle verso stati d'animo nuovi e migliori.

Molti di voi conoscono bene l'autore di questo piccolo capolavoro, sanno cosa aspettarsi e di dubbi difficilmente ne avranno. Tutti gli altri sappiano che siamo alle prese con un serio contendente per il titolo di "autore dell'anno", e che Watercolor Day è il più grande disco del 2010, almeno per il momento, e con grandi possibilità di arrivare in fondo imbattuto.

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