Filippo "Pilli" Colombo era la voce, e non solo, dei mai troppo compianti Suinage, band brianzola che tanta importanza ebbe nel rilancio della scena powerpop nostrana. Il cantante e chitarrista canturino, ora residente nel capoluogo lombardo, non ha perso tempo e, così come l'ex compare Flavio Torzillo, il cui nuovo progetto è già stato "recensito" qualche mese fa su queste pagine, è ricomparso sulle scene con l'extended play d'esordio della sua nuova band, i Labradors.
Ora, dobbiamo dire che Pilli è un songwriter nientemale, sissignori. Non ci fosse bastato, per comprenderlo, l'ascolto di Shaking Hands, ecco a noi una nuova, formidabile chance per ravvederci. The Roger Corman è infatti un ep perfetto, nel puro senso del termine. Venti minuti, grossomodo, scanditi da sei pezzi generalmente devastanti, non sto scherzando. Alzi la mano chi, tra di voi, non è un fan sfegatato del cantautorato powerpop alla Joe Jackson/Adam Marsland. Di braccia al cielo ne vodo pochine, e ci mancherebbe altro. Come non essere, del resto, almeno un pò, affezionati all'accattivante potenza di simili melodie soniche, scagliate addosso all'ascoltatore con piglio aggressivo il giusto, all'interno di canzoni che fanno saltare sulla sedia. Diciamo che se qualcuno avesse mai scritto un teorema sulla forma e la figurazione di quell'intersezione di genere formata da Jackson, Costello e, chiaramente, Evan Dando, l'ep d'esordio dei Labradors sarebbe potuto essere un ottimo esempio accademico.
I frammenti che compongono The Roger Corman ep sono tutti davvero meritevoli di continui ascolti, ma se dovessimo per forza citare gli episodi migliori dovremmo spezzare una lancia per l'introduttiva Just To Begin, per Devendra Banhart (che, per intenderci, nulla ha a che fare con l'eccentrico cantautore texano a livello di stile) e soprattutto per quel piccolo capolavoro chiamato Hawaii, un moderno rock'n'roll di spirito stradaiolo che, non chiedetemi il perché, mi fa pensare ad un'ipotetica e frizzantissima session in cui i Magic Numbers sono impegnati a rivisitare I Should Coco. Per la restante metà del dischetto, tutto estremamente godibile, valgano le considerazioni generali già esposte: il pantheon da cui la band trae ispirazione vi è ormai noto e, se aggiungete un songwriting di livello molto alto unito ad una sezione ritmica di grande potenza ed inventiva il gioco è fatto. Un'altra graditissima sorpresa per questa nuova età dell'oro del pop Italico.
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