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giovedì 20 febbraio 2020

Disco del Giorno: Anton Barbeau - Kenny vs Thrust (2020; Big Stir)


Da qualche lustro Anton Barbeau, vecchio menestrello da Sacramento, gode nel mettere in difficoltà archivisti e storici della musica tutti. Gli album da solista, partendo dall'esordio "The Horse's Tongue" creato insieme al sodalizio Joy Boys e immatricolato nel 1992, dovrebbero essere quindici, essendo il condizionale obbligatorio. Se espandiamo il campo a duetti, maxi-collaborazioni e insomma alle uscite in cui il Nostro è stato fondamentale protagonista i conti tendono a farsi complessi alquanto: c'è chi sussurra che le tre decine siano state superate, e pare che il margine di approssimazione non sia lontanissimo dalla realtà.

Il 2020, grazie al patrocinio dell'inarrestabile Big Stir, etichetta californiana che detiene ormai lo scettro di miglior power pop label in circolazione, ci regala l'ennesimo episodio della saga, chiamato "Kenny vs Thrust". Ma chi sono Kenny e Thrust, i protagonisti dell'immaginario duello inscenato dal mago Anton? Molto semplicemente, si tratta delle due band che lo accompagnano sui palcoscenici di mezzo globo: l'una (Kenny) durante i tour negli Stati Uniti; l'altra (Thrust) per quelli sulla nostra sponda dell'Atlantico. Nato e cresciuto in California ma attualmente residente con vista su un canale berlinese, egli ha scelto di non trascurare alcuna delle sue due anime mentre affronta il pubblico tra vecchio e nuovo continente.

"Kenny vs Thrust" è un nuovo lp ma non è un vero e proprio disco nuovo. Sarà eleggibile per le classifiche di fine anno, questo è sicuro, ma in quel senso è meticcio. "Si tratta di un tributo ai due gruppi di amici che mi accompagnano in tour da secoli, per questo ho scelto di chiamare il disco in questo modo", ha dichiarato Mr. Barbeau nelle opportune note che accompagnano il comunicato stampa. "Suoniamo dal vivo molti pezzi in scaletta da tempo immemorabile e alcuni di essi non sono mai stati registrati, mentre altri compaiono disseminati su vecchi dischi in versioni che non mi hanno mai convinto. Era l'occasione buona per mettere tutto insieme e pubblicare, grazie al placet della grande Big Stir, un nuovo album".

Musicalmente, per tornare al fulcro della discussione, siamo al solito concentrato di pop psichedelico di ispirazione Hitchcock-Partridge-Frond con quel tocco cantautorale pazzerello che Anton elargisce senza parsimonia e che da sempre lo rende personale. Se è vero che le influenze sono palpabili, è ancor più vero che un suo pezzo è un pezzo suo e non lo confondereste con quello di nessun altro autore. Quindi, fatte le dovute premesse, l'apertura Wire From the Wall e Beautiful Bacon Dream paiono delle outtakes ridisegnate del repertorio Soft Boys e anche Haunted in Fenland, dall'andazzo comunque un po' dylanesque, richiama l'essenza del nostro Robyn preferito.


Il registro cambia sensibilmente nel corso di Back to Balmain, dove compaiono anche alcuni deliziosi synth a far da tappeto a una struttura armonica-vocale di matrice marcatamente Lennon che l'erede Harrison - Robert, non George - ha riportato ai più meritati fasti nell'opera The Big Picture. I testi classici dei Beatles epoca Sergente Pepper traspaiono pure da Mahjong Dijon, mentre Clean Clothes in a Dirty Bag varia in un rock'n'roll che odora di Stiff. Un passaggio negli highlight del disco lo merita infine Popsong 99, sghemba, dalle variazioni di ritmo imprevedibili e dall'incedere travolgente, qui in versione restaurata rispetto alla prima apparizione del 2006 all'interno dell'album "What if it Works?" registrato insieme all'indimenticata Loud Family di Scott Miller.


Anton Barbeau quasi trant'anni e trent'album dopo continua a impersonare il genietto psichedelico libero da convenzioni sociali, dotato di uno stile che ci ricorda i nostri cari eppure unico, con l'autorità di intervenire sulle questioni sociali più disparate senza risultare stucchevole grazie a un wordplay alla Difford che non si compra e non si insegna. Teniamocelo stretto.

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