.header-inner:[widht:300px;]

giovedì 18 gennaio 2024

2023, quello che ci siamo persi in diretta: All Day Sucker "Feel Better"

 


Così corriamo il rischio di dare ragione ai molti che storcono il naso di fronte alle inevitabili classifiche di fine anno. Inutili, dannose, chi siete voi per stabilire voti, gerarchie, premi. Sono bignamini, compendi, redatti da appassionati tra loro differenti, rispondiamo noi, ognuno utile a colmare le lacune del prossimo suo. Suggerimenti, niente di più e niente di meno. Incomplete, le charts di fine anno, lo sono per loro stessa natura. Impossibile intercettare tutto lo scibile, anche se ci si limita a un campo d'interesse molto ristretto. Qualche disco l'abbiamo perso anche noi, umilmente ci cospargiamo il capo di cenere. Più di qualcuno, in verità. I migliori dunque meritano qualche battuta sulle pagine di UTTT, per festeggiare il ritorno alle cronache di questo blog in modo anomalo: non uno scritto sui migliori dischi dell'anno appena andato in archivio; non una panoramica sulle prospettive del 2024. Lo spazio se lo prendono i dimenticati d'una certa importanza, che rischiavano seriamente - non che d'ora in avanti possano ambire al disco d'oro - di passare inosservati.

"Feel Better", il nuovo disco degli All Day Sucker uscito a metà novembre, avrebbe avuto la possibilità di issarsi fino alla top 30, per quanto importa, e cioè poco più di zero. Jordan Summers (produzione e tastiere) e Marty Coyle (voce) bazzicano la scena pop di Los Angeles da tempo immemorabile, e insieme sono stati e sono protagonisti dei progetti FF5 e F.O.C.K.R.s. Il nuovo album, prodotto addirittura da Dave Way (dietro la consolle anche per Foo Fighters, Beck e Pink, per dire il personaggio) esce a otto anni di distanza dal predecessore "Denim Days", e rappresenta un passo - se avanti o indietro lo deciderà la storia - molto importante per il duo, soprattutto dal punto di vista esistenziale. Se non altro, si cresce: qui si narra delle complicazioni della seconda fase della vita adulta e quindi di divorzi, di perdite affettive, di figli e figlie da accudire, meglio che si può. Come non è difficile immaginare, del resto, l'involucro sonoro di cotanta responsabilità collegata all'esistenza non è cupo, anzi. O meglio, gli episodi amari, specie sul calare del disco (The Hell You Don't Know e Hardly Any Wonder) ci sarebbero pure, ma "Feel Better" rimane nella memoria per via di un pop complesso e sofisticato, a tratti perfino eccentrico, più luminoso che no.

E così Silent Island, la traccia d'apertura, rischia di scoprirsi retrospettivamente uno dei migliori brani dell'anno trascorso; un pezzo power pop micidiale, con melodie indovinatissime che si fregiano di arrangiamenti spudorati e di un drumming parecchio corpulento. I'm not Tired trasuda speranza, evidentemente, attraverso uno storytelling reminiscente di Chris Difford e Jeff Lynne che tornerà sovente con l'andare nelle tracce e che ritroviamo con piacere nella strepitosa Wilt, dove l'uptempo più Squeezy flirta con la pregevolissima trama di synth per sostenere la struttura di un grandissimo ritornello. Il brano, che ci perdonerete se definiremo neo-barocco, ricorda due sodalizi ingiustamente minori ben noti su queste pagine come Skeleton Staff ed Emperor Penguin. Bitter, il primo singolo estratto dall'album, viaggia in tempo medio con un pianoforte e uno stile di canto che fanno molto Macca fine settanta, e Last Night At Gladstones è un'altra meraviglia pop gemmata da genialoidi controcanti in falsetto che racchiude lo spirito del disco: "Non ho l'energia per portare avanti il lavoro", canta Coyle, "ma se tra noi è la fine immagino che il mondo andrà comunque avanti".

Il resto dell'album è trapunto di ballate, ora figlie della lezione sunshine, del resto siamo in California, altre feconde di un immaginario seventies, sia per produzione, alquanto radiofonica - una volta si parlava di adult oriented rock, anche se non ho mai capito cosa ben volesse dire - sia per alcune spericolatissime trovate musicali (il basso di Sidewalk Hearts, roba da febbre funky per un venerdì sera del 1975, riesce comunque a non intaccare la coerenza di un cristallino soft pop dal retrogusto vintage coltivato in involucro moderno).

Si cresce, ci sono complicazioni, ma alla fine ci si assesta. "Feel better", dicono i nostri. Ci sono stati momenti peggiori. Una storia di Los Angeles. Una, anzi due, come tante. Poi tutto dipende da come le si racconta, le storie. "Questo disco è un omaggio alla nostra personalissima chiesa", ha chiosato Coyle in coda a un'intervista, "un inno al tempio della nostra musica. Abbiamo cercato di scrivere canzoni che ci sopravviveranno". Con qualche orecchio attento in più, non dovrebbe essere un obiettivo impossibile.


Nessun commento: