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mercoledì 29 aprile 2020

Disco del Giorno: Mothboxer "Accelerator" (2020 - autoprodotto)


Occorre dire che Dave Ody, il quale più di tre lustri or sono con i suoi Kid Galahad introduceva i concerti di Supergrass, Cosmic Rough Riders ed Electric Soft Parade, non è certo tipo da starsene a lungo seduto in poltrona con le mani in mano. Lanciato il progetto Mothboxer - siamo come talvolta accade in regime semi-solitario - in coda allo scorso decennio, egli ha rilasciato sette-album-sette e due raccolte o pseudo-raccolte, già che c'era. Le idee non mancano e non manca nemmeno l'ispirazione al fedelissimo adepto della parrocchia di Swindon, se capita ciò che intendo. L'anno duemilaventi è quello buono per lanciare "Accelerator", il nuovo lavoro di studio, giusto perché il delizioso "Time Capsule", rilasciato nemmeno dodici mesi fa, era più da considerarsi il risultato dell'ordine fatto in cameretta che un album nuovo di zecca. 


Diciamo anche che il disco in questione appartiene al noto novero delle opere tendenti a entrare in circolo con calma e ripetuti ascolti. I pezzi a rapida assimilazione, sempre presenti in un certo numero nelle precedenti uscite, stavolta sono distillati con più parsimonia, sebbene l'uno-due Can I Go Now?/Funny How It Is, power pop psichedelico dalle melodie destinate a restare nei paraggi per un po' e curiosamente sistemato sul finire dell'album, non lasci lacune in tal senso. L'incisiva e saltellante Under Water, una  sorta di settantesca Taxman più muscolare, assolve anch'essa all'eventuale necessità, qualora servisse una traccia breve da piazzare su un sette pollici, ma per il resto il lavoro guarda piuttosto decisamente alla psichedelia di quella eterea e languida: suonata bene e prodotta meglio, bisogna ammettere.


Anche volendo lasciar stare, ma in effetti perché mai dovremmo, la leggerezza vacanziera di Long Time Coming e l'astinenza eighties di Tell Me What To Say, subito dopo quel poderoso ciclone che è l'inaugurale title track si parte per un viaggio fatto di intricato psych-pop, a tratti persino un po' Floyd periodo estate '68 e per il resto della strada molto Partridge/Moulding di quelli ancora motivati, raffinato il giusto e toccato da quel demonietto melodico che raramente lascia in pace Dave Ody per più di otto mesi consecutivi. Per fortuna, s'intende.

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