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martedì 13 ottobre 2020

Too Little Time (aggiornamento d'inizio autunno)


Poco, pochissimo tempo tra lavoro e ferie quasi meritate. Scaffali al solito pieni da riordinare, e allora approfittiamone per mettere a posto la cantina con una rapida carrellata di (sublimi) arretrati. Ho lasciato in attesa due tra le mie nuove etichette preferite degli ultimi tempi, la Subjangle di Darrin Lee e la Paisley Shirt di Kevin Linn, che da qualche tempo mi fanno l'enorme onore di appoggiarsi al mio blog per divulgare le rispettive uscite. Dopo aver rilasciato nel solo 2020 i già discussi dischi di Late Pioneers, Super 8 e Night Heron, l'etichetta guida per quanto riguarda l'universo retro-jangle ci delizia con due nuove pubblicazioni di notevole rilievo, quelle di Crystal Furs e Alpine Subs.

Le Crystal Furs sono un queer-indie-trio al femminile proveniente dall'area di Portland giunto al terzo album, il primo per una "vera" casa discografica. Il loro pop d'assalto guitarcentrico è l'intrigante tappeto sonico per coltissimi testi che ragionano sull'ansia di stare al mondo, sull'architettura, sulle complicazioni amorose. Queercore, alt. rock, punk e pop sessantesco sono le basi utili a trattare le complicate resistenze sociali alle diverse scelte sociali, ai diritti LGBT, a chiunque decida di non seguire un percorso di vita ritenuto conforme. Ma conforme a cosa? "Beautiful and True" è un grande album. Sempre da casa Subjangle escono gli Alpine Subs, sestetto da Chicago al secondo disco di studio trapunto di chitarre jangle e da tiepide sensazioni tardo-estive. Le tacche del rilevatore di qualità si colorano di rosso, e "Sweetheaven" minaccia di occupare un posto di riguardo nella classifica di fine anno. Definiti come un sinuoso incrocio tra i Pink Flyd dei medi anni settanta e i primissimi Stone Roses, gli Alpine Subs nuotano tra chitarre cristalline, tenui percussioni sixties e favolose armonie vocali tripartite, con qualche spruzzata di americana a confezionare un vera gemma!

 

Indirizziamo il navigatore satellitare sulla California, area in cui si sta imponendo la Paisley Shirt, un nome, una citazione dall'antolgia Dan Treacey, una garanzia. Specializzata in produzioni lo-fi bedroom pop su cassetta, la label ha da poco licenziato il disco lungo dei Tony Jay, combo da San Francisco che ben rappresenta l'etica e l'estetica dell'etichetta. "A Wave In The Dark" parla di film horror, videogiochi e della vita dell'elusivo e simbolico Tony Jay, "tizio dai lunghi capelli neri, dal pallido viso ornato da spesso eyeliner sugli occhi, sempre con una giacchetta di pelle nera e delle Nike bianche indosso". Melodie soffuse, delicate, beneficate da una produzione gracchiante; talmente leggere che per poco non decollano. Un disco che provoca lacrime facili e i cui proventi verranno in parte devoluti alla TGI, Transgender Gender-variant and Intersex Justice Project Mission. Non bastasse la splendida musica, possiamo destinare qualche dollaro a una nobilissima causa.

 

Mike Ramos dei Tony Jay guida insieme alla sodale Karina Gill il progetto Flowertown, all'esordio con il mini album "Theresa Street" appena dato alle stampe. Anche in questo caso la scala cromatica s'inquadra su colori tenui: i duetti lui/lei tra Ramos e Gill rappresentano ampia parte della cifra stilistica che connota sei canzoni scritte molto bene e in punta di fioretto, tra dream pop e slowcore, se capite ciò che stiamo intendendo. La fedeltà è sempre bassa, of course. Meravigliosamente bassa, in casi come questo.

 

"Timing is everything, come dicono quelli che la sanno lunga". Turnista, musicista, songwriter "gregario" in giro per il mondo a praticare il mestiere da più di venticinque anni, Christopher Peifer ha pubblicato il suo primissimo disco da solista proprio nel bel mezzo della pandemia, ma non si è scoraggiato. Influenzato dai capolavori "che hanno superato con margine il test del tempo come "Taking Liberties" di Elvis Costello", il signor Peifer da New York ha messo insieme una gradevole raccolta di canzoni da due minuti e mezzo di media, da cui grondano influenze perlopiù confesse: parliamo di Bash & Pop, Bob Mould, Nick Lowe, Big Star, Sloan... e forse di un goccetto di tequila. Il superalcolico ne ha sottese alcune, esibite altre, ma insomma dovrebbe essere tutto chiaro. L'album si chiama "Suicide Mission", titolo un pizzico cupo e non necessariamente rivelatore. Ma due ascolti li merita senza dubbi.

 

Si chiuda il pastone, il mio vecchio caporedattore chiamava così pezzi di questa foggia, tornando in California, per esaltare com'è giusto il nuovo disco di Marshall Holland, giunto a sei anni di distanza da quello prima, prelibato, firmato insieme agli Exceteras. Se l'uomo non crea il disco, il disco si crea da solo, e la miccia ancora una volta l'ha innescata la pandemia: "Mi sono trovato in lockdown, triste per me e per la tragica fase che stava attraversando l'umanità, e sono stato travolto da un impulso creativo". Che impulso, signore e signori. "Paper Airplane", pubblicato dalla Mystery Lawn del professor Allen Clapp (Orange Peels), ci accompagna in un viaggio che lambisce i territori soft pop in cui regnavano Left Banke e Association nei tardi anni sessanta, dominati da un suono profondamente melodico qui ringiovanito da spunti power pop e - l'iniziale Our Fate insegna - disegni new wave dalla forte carica espressiva. Alcune superbe iniziative cantautorali e altri schizzi che paiono usciti da un libercolo toytown fanno da contorno a un altro disco utilissimo a rendere meno angosciante il tetro duemilaventi fortunatamente in via di conclusione.

venerdì 18 settembre 2020

Un Venerdì da single #6



Con un ritardo che non si può scusare, ma a cui nondimeno siete abituati, ecco pronta la sesta puntata della rubrica che parla degli amati dischetti.

The Sensible Gray Cells " So Long"

Quando nessuno più se l'aspettava, a sette anni di distanza da "Postcards from Britain", ecco il nuovo fiammante singolo di Ray Burns e soci. Ci mettono il loro tempo, sono fatti così, ma se lo chiamano Captain Sensible, quel Captain Sensible, lo si può anche perdonare. Con lui ancora Paul Gray, già nei Damned e in Eddy & the Hot Rods, tanto per accrescere il chilometrico curriculum della banda. La canzone troverà posto nei migliori dj set se mai ripartiranno e nella colonna sonora del vostro abbeveratoio preferito: punk'n'roll dalle tinte americane da spaccarsi l'osso del collo. Dal divertimento, of course.

Skooshny "Deep Dive"

E dopo quasi vent'anni di silenzio tornano anche i misteriosi e amatissimi Skooshny da LA, con un EP su Market Square che sembra il risultato di un riordino in cantina. Tre demo di stampo ultra lo-fi accompagnano due pezzi capofila che paiono demo appena più levigate, ma dal fruscio emerge ciò che per quarantacinque anni abbiamo imparato a leggere dalla penna di Bruce Wagner, David Vonogrond e Mark Breyer: elegantissima e delicata musica pop per palati fini.

The Toms "Selections From The 1979 Sessions"

Tom Marolda, il polistrumentista dal New Jersey, il produttore, il mito, registrò nel corso dei famosi tre giorni benedetti del 1979 il leggendario debutto omonimo a quadretti bianchi e rossi, pietra miliare del genere e oggetto di culto per tutti i collezionisti di pop music del mondo. Nel settembre dello stesso anno egli incise altre quattordici tracce destinate a rimanere in soffitta per una quarantina d'anni. Oggi quella session è riemersa e la sempre benemerita label spagnola You Are The Cosmos ha pubblicato una selezione di quattro episodi tratti da quell'esperienza, mirabilmente confezionati in questo EP obbligatorio. I Toms concorrono essi stessi alla definizione del genere power pop. Ascoltando Angela Christmas e That Could Change Tomorrow si capisce bene il perché.

The Top Boost "Tell Me That You're Mine"

Ancora You Are The Cosmos ma dal New Jersey ci spostiamo a Vancouver, British Columbia. Terzo singolo per il talentuosissimo duo chiamato Top Boost: la title track è un country pop d'assalto marchiato da melodie irresistibili, mentre la b-side, occupata da Early Morning, è seducente ballata dalle chitarre jangle a dimostrare ancora una volta che i singolini lato a-lato b rimangono l'invenzione più importante compiuta dall'essere umano.

Your Friend Jebb "Change Of The Season"

Singolo di debutto per un super-pop-combo che per ora - ne abbiamo visti diversi in quest'annata senza senso - è una semplice collaborazione online tra Owen Radford, Tyler Green e Arthur Roberts (Posies, nientemeno). I tre sono qui coadiuvati dalla grandissima Lisa Mychols nella traccia che dà il titolo al dischetto, notevole upbeat pop beneficato da ampie armonie vocali, mentre in Sound The Alarmed, sull'altro lato, Terry Draper (Klaatu, of course) è impegnato in una sentita digressione minimalista per chitarra e voce. Nomi grossi, un po' di retta bisogna dargliela.

Mom "Don't Leave My Heart"

Secondo singolo, a tre mesi di distanza dal già celebrato Tonight, per questo grandioso terzetto svedese, in attesa dell'album "Pleasure Island" in uscita la prossima settimana. I Mom rimangono una delle scoperte dell'anno e i due pezzi qui esibiti confermano le aspettative. Il loro infuso di bubblegum, skinny-tie power pop e soprattutto glam-pop anni '70 è una gioia per i fanatici di Nick Gilder, Quick e Milk'n'Cookies, e la capacità di scrivere melodie appiccicose come poche altre fa il resto. I due singolini sono roba grossa, e l'album, se l'andazzo è questo, abiterà i piani alti della classifica di fine anno.

The Mayflowers "Sunflower Girl"

Mancava da un po' il buon Osamu Satoyama, leader di una banda tra le migliori della florida scena power pop giapponese. Qui coadiuvati nella stesura delle liriche da Gary Frenay dei Flashcubes, e in attesa di un nuovo lavoro lungo che non dovrebbe tardare molto, i Mayflowers - che già dovrebbero essere noti ai lettori di queste pagine - deliziano tutti con una nuovissima canzone la cui recensione è perfino superflua, e semplicemente vale a ricordarci perché amiamo così tanto il loro power pop influenzato dai richiami dell'impero britannico.

lunedì 31 agosto 2020

Disco del Giorno: Spygenius "Man On The Sea" (2020 - Big Stir)

 

Già la fine di agosto, purtroppo, estate agli sgoccioli così come il tempo rimasto per andare al mare e allora, per lenire la cupa tristezza che si impadronisce di noi alle porte di qualsiasi autunno che si rispetti, vi presentiamo l'album più ambizioso dell'anno. Il nome Spygenius non dovrebbe essere nuovo per gli appassionati del genere che ci onoriamo di trattare su queste pagine, anche se mi sono accorto che nessuno dei quattro precedenti dischi pubblicati dal quartetto di Canterbury a partire dal 2008 è stato qui promosso. Si tenti allora un parziale rimedio, ma serve la vostra collaborazione, e la massima attenzione, per penetrare in "Man On The Sea", un concept album a sfondo nautico che mal si concilia con la contemporanea tendenza a servirsi della musica in modo istantaneo, cestinandola un secondo dopo se il primo ascolto non è gradito.

"Man On The Sea" è un viaggio scritto nella sua pressoché totale interezza da Peter Watts; un viaggio tra folk-pop, jangle-rock e psichedelia leggera adornato da mille dettagli - si veda in primis la lussuriosa veste grafica - che ne rendono particolarmente apprezzabile l'attento ascolto a mezzo cuffie. La partenza è fissata da Another True Story, energetico incipit di stravagante rock'n'roll dalle tenue tinte più strambe che psichedeliche per un inizio dai ritmi altini; ritmi subito smorzati dalla successiva Albion, gran ballata dal sapore Mccartiano. Peter Watts e soci prendono le due stelle nell'internazionale guida al miglior jangle, e gli esempi di generi sono tanti e tanto raccomandati: If You Go A-Roving, Salaud Days (con tanto di libidinosa ironia nel doppio senso multilingua nel titolo) e In A Garden sono meravigliose canzoni Rickenbacker-pop sospese tra i REM dei primi anni ottanta e la sponda più chitarristicamente orientata del paisley underground.

 

Le variazioni sul tema sono all'ordine del giorno nel lungo tragitto, così Green Eyed Monster è striata di improvvisazioni ed esperimenti proto-progressivi, New Street è imperniata su un florido garage beat e Windy è disegnata su un pregiato tappeto di soffice psichedelia. L'unico pezzo non scritto dall'ispirato Watts è Spite, firmato dal bassista Ruth Rogers, ed è uno dei migliori pezzi del disco con il suo incedere stravagante e le genialoidi invenzioni armoniche. 

 

Nei dischi così lunghi il rischio è solitamente quello di tirare troppo la corda ed eccedere con auto-indulgenze che corrono il forte rischio di tradursi in pericolosi riempitivi. "Man On The Sea", a parte qualche trascurabile episodio, evita di cadere nell'insidiosa trappola, e giunge in porto coeso, raffinato e godibilissimo. A incorniciarne i prelibati concetti concorrono il corroborante e un po' barocco pop tra Move e Jellyfish del singolo Café Emey Hill, il power pop classico e non immune dal marchio di fabbrica jangle di Watch Your Back, tra Admiral Twin e Gigolo Aunts, e la conclusiva e dolcissima Remember Me When I Was Good, a riuscite tinte comedy per uno sottofondo da varietà che non può non essere stato ideato sull'isola.

 

Ricapitolando: "Man On The Sea" è un disco lungo, raffinato, ambizioso. Pretende da voi la massima attenzione e vi ripaga con un filotto di canzoni che promettono di crescervi addosso: manterranno. Peter Watts e soci hanno chiesto troppo a voi e a loro stessi? Se il disco è strutturato così un motivo ci sarà. Il problema, semmai, sarà replicare il mastodontico e riuscito progetto. Questa, intanto, è un opera che a casa vostra farà la sua splendida figura.

Spygenius Official | Big Stir 

martedì 25 agosto 2020

Disco del Giorno: The Reflectors "First Impression" (2020 - Time For Action)

 
Bello, quando le lunghe attese vengono ripagate. Powerpoppers di tutto il mondo unitevi e gioite, perché uno degli album più attesi dell'anno sarà presto sui vostri giradischi. Ci hanno messo un po', attendevano il momento giusto, ricercavano la perfezione filologica assoluta. Ci sono riusciti. Residenti a Los Angeles, James Carman, Nick Faciane e Ryan Miranda avevano scritto, provato e rivisto molti tra i pezzi che ora compongono "First Impression" già ai tempi degli Images, band antenata dei Reflectors autrice ormai nel 2012 di un significativo 7" chiamato "Thought Patterns": ogni cosa a suo tempo.

In coda a un'intervista rilasciata al blog Sweet Sweet Music, a Carman sono stati chiesti i titoli dei cinque proverbiali dischi da isola deserta: la sintomatica risposta sarebbe sufficiente a chiudere questa breve recensione, nonché a indirizzare verso il negozio di dischi chi dev'essere indirizzato. "Another Music in a Different Kitchen", "Guitar Romantic", "20/20", "The Beat" e "Easy Beats In Modern Time": sapete chi siete, e avete già capito tutto.

 

"First Impression" è un bignamino di storia; storia del miglior power-pop-punk, s'intende. Se non vi dicessero che l'anno d'uscita è quello di malagrazia 2020, pensereste di stare al bancone di un bar nel 1979, mentre cercate in ogni modo di non sporcare di stout la vostra skinny tie preferita. Buzzcocks, Undertones, Sorrows e Paul Collins; grandi riff di chitarra e melodie senza tempo in un contesto di perfezione (e ricerca) concettuale dove perfino gli insidiosissimi assoli rendono giustizia a undici grandi canzoni.

 

"Quando scrivo un pezzo parto sempre dall'idea che debba essere una hit," ha dichiarato il grande capo dei Reflectors. Infatti, esattamente come avviene nei migliori dischi pop della vostra collezione, ogni frammento di "First Impression" potrebbe stare su un 45 giri da singolo doppio. Difficile scegliere gli highlights, ma Teenage Hearts, cuori spezzati e fastidio giovanilista d'ordinanza, per motivi perfino scontati è un magnifico omaggio ai nostri nordiralndesi del cuore, mentre Champagne, Storm and Thunder e Break Me Down sono solo i diamanti più luminosi di un album che il lettore medio di UTTT non potrà non mettersi in casa, almeno quando la sua  reperibilità non sarà più così difficoltosa: uscito in tiratura limitata per la tedesca Time For Action in Europa, il disco negli Stati Uniti è stato pubblicato dalla Burger Records e travolto dai controversi e notissimi eventi che hanno interessato l'etichetta. Attualmente la band sta cercando una label interessata a stampare un numero di copie sufficienti a soddisfare l'esigente richiesta, e siamo sicuri che l'attesa non sarà così lunga. Naturalmente, non mancheremo di darvi aggiornamenti non appena ce ne saranno.

 

mercoledì 19 agosto 2020

Disco del Giorno: Ward White "Leonard At The Audit" (2020 - autoprodotto)


Tanto vale ammetterlo subito: Ward White, autore di stanza a Los Angeles appena andato in doppia cifra per quanto riguarda gli album lunghi pubblicati, mi era fino al mese scorso assolutamente ignoto. Peccato, ma fin che ci è dato tempo per rimediare, rimediamo. Non avendo contezza dell'artista, ne ignoravo naturalmente la biografia, e se dopo un rapido ascolto di "Leonard At The Audit" mi avessero chiesto di indovinarne la provenienza geografica, avrei sbagliato di circa ottomila chilometri, quelli che separano LA dal Regno Unito, grossomodo.

Ward White è uno scrittore, un creativo al servizio di poesie acide e paradossali, un marionettista che muove nel suo mondo, più cupo che assurdo, personaggi dai mille risvolti ma invariabilmente colti nell'attimo in cui annaspano alla ricerca dell'ultima scialuppa, mentre si trovano nel posto sbagliato nel momento peggiore. Scagnozzi maldestri, gigolo controluce e molti altri figuranti in un quadro espressionista e lirico.

 

Tutto giusto, se la vita è un viaggio sperimentale affrontato frettolosamente, come diceva qualcuno più famoso di me. Il tappeto sonoro non è facilmente catalogabile, e del resto il catalogo forzoso consegue all'attitudine un po' pigra di chi, come me, di tanto in tanto si arrischia a scrivere di musica. Gli schemi di Ward White, come detto, non aiutano a portare alla mente le spiagge della sua terra d'origine, ma le canzoni variano di molto l'una dall'altra e anche all'interno di loro stesse, inaspettatamente. Così Bubble & Squeak è permeata da un feeling new wave piuttosto oscuro, mentre Ice Capedes, dopo un'introduzione sul progressivo andante, esplode in una meraviglia pop che trae gran parte della sua forza proprio dalla sorpresa che genera.

 

Le ballate crepuscolari dai tratteggi acustici presenti rinfrancano nella convinzione che scrivere ottima musica sia ancora possibile. La traccia che dà il titolo al disco, un riferimento alla scoppola pro-Scientology subita da Cohen negli anni sessanta, è un frammento spaventosamente sublime che ricorda i migliori Divine Comedy, esaltato da un arrangiamento di sintetizzatori vintage delicatissimo. Nell'eclettico tragitto c'è spazio per il pop da classifica di Try Me, classifica in potenza perché i tempi, ma toh, sono quelli sbagliati, segnato dalla classe dei Prefab Sprout solo un po' energizzati nel chorus abrasivo, e per il western-psych di Dreaming Of Dentistry, davvero inatteso.

 

Va detto che addirittura meglio Ward White fa in brani come Not The Half e soprattutto Edmund Fitzgerald is A Wreck, un capolavoro, dove appare Steven Patrick Morrissey immerso in un attraente barile colmo di chitarre jangle. "Leonard At The Audit" è un disco che ha bisogno di tempo, di farsi raccontare, di crescervi addosso. Concedetegli l'attenzione che merita. Materiale di lusso, oggettivamente.

giovedì 13 agosto 2020

Disco del Giorno: The Yum Yums "For Those About To Pop" (2020 - Screaming Apple)



Gli Yummies sono da tempo immemore membri onorari del Gran Consiglio del power pop europeo, ma forse, almeno negli ultimi due lustri, si erano adagiati su un cliché piuttosto comodo: essendo anche un cliché vincente, c'è da capirli. Dopo tre album, qualche singolo e l'indimenticato 10" "Funzone", il quarto lavoro lungo "Play Good Music", immatricolato nel 2013, era parso ai più - e al sottoscritto - un lavoro "laterale". Power-pop-punk suonato e cantato più che bene, ma formule un po' trite e scrittura sonnacchiosa. Chi si aspettava una mesta uscita di scena della band - band comunque nel frattempo in grado di far saltare il banco a ogni buona occasione dal vivo - sarà immensamente felice di ricredersi, perché se "For Those About To Pop" non è il loro miglior disco è solo perché "Sweet As Candy" rimane capolavoro di genere inarrivabile. 

 

Si parlava di formule e la formula nemmeno stavolta cambia: un terzo power pop, un terzo pop-punk, un terzo glam'n'roll: ciò che in questo episodio fa la differenza è l'ispiratissima scrittura, che  trasforma le quattordici tracce dell'album in una collezione di canzoni tra le più importanti e solide del duemilaventi. I pregiati geni di Ramones, Pointed Sticks, Rubinoos, Real Kids e... B-Girls sono tirati a lucido e messi al servizio di una manciata di love songs immediatamente adesive e gioiose persino quando parlano di cuori spezzati. Con vette di assoluta lussuria come The Kind Of Girl e i suoi controcanti wilsoniani, la title track, il neoclassico pop-punk in salsa norvegese di Baby Baby; come Bubblegum Baby, anticipata lo scorso anno sull'ultimo volume della compilation griffata Punk Rock Raduno e come Summertime Pop, omaggio-non-omaggio ai Barracudas dove l'allievo rischia pericolosamente di superare il maestro. 

 

Da Moss, quando il meglio sembrava essere già arrivato, Morten Henriksen e compagnia ci regalano un un lavoretto che avanza la sua prepotente candidatura per l'elezione a disco dell'anno. Correte a farvi un bel regalo.

sabato 8 agosto 2020

Radio Tangerine #3

 

Come da recente tradizione, ecco pronta la playlist con il meglio del meglio offerto dal rock'n'roll melodico indipendente negli ultimi due mesi. Godetevela!