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sabato 10 marzo 2012

I recuperi del sabato.

Due "recuperi" importanti per due dischi mancati dai nostri radar al momento delle rispettive uscite, entrambi raccomandati per inquadrare questo primo abbozzo di weekend primaverile.

Vie - Noises From The Cat Room (2011; Maggie) Vie ci ha messo quattordici anni, sostanzialmente una vita, per assemblare i quattordici frammenti che compongono questa deliziosa cesta di canzoni. Una vita frullata ed analizzata sotto molteplici punti di vista; un numero ed un simbolo, il quattordici, of course, e una lettera, la lettera c, come un'ossessione. Il filo conduttore, dedicato a tre fanciulle, lo tirano Oh Carly, adorabile powerpop da cameretta che apre il disco, e Oh Christine, sontuosa gemma upbeat che svetta di netto sul resto dell'opera. Già che c'era, per completare il trittico, Vie ci piazza Oh Caroline, riuscita cover dei Cheap Trick, ed il gioco è fatto. Abile quando si tratta di gestire una ballata, vedasi la strepitosa My Love, l'autore losangelino è padrone del classico disco che - se lo avessi avuto sottomano qualche mese prima - avrebbe probabilmente trovato un posto nella mia classifica sui migliori dischi del 2011. (CD Baby | iTunes)

Scott Brookman - A Song For Me, A Song For You (2009; autoprodotto) Alcuni album, troppi album, rimangono intrappolati nelle gabbie del tempo tiranno. Un disco del 2009 come questo, così particolare nella sua quieta sfacciataggine, avrebbe meritato sicuramente maggiore attenzione "mediatica". Che ci vuoi fare, il destino della pop music di spessore è rimanere negli scantinati. Pop music si, ma la visione di Scott Brookman è estremamente personale. Mettete in pentola Steely Dan, abbondando pure, e raffinate con pizzichi di Randy Newman, Todd Rundgren di qualità mid-seventies e 10cc a piacere. Irrorate il tutto con argutissimi arrangiamenti Bacharacheschi ricordandovi di consultare, di tanto in tanto, il meritorio ricettario scritto da Carl e Brian Wilson. Soffice, spiazzante ed intelligente musica tutta da scoprire; sostanzialmente pop ma aperta a mille contaminazioni jazzy, songwriting hammondista e persino bossanova. Il tutto, anche se non ce lo si apetterebbe, risulta digeribile in un lampo. Un plauso al coraggio ed un altro al gran risultato che alla fine ne esce. (CD Baby | Bandcamp)

mercoledì 29 febbraio 2012

Disco del Giorno 29-02-2012: Bad Love Experience - Pacifico (2012; Black Candy)

Giorgio Vasari, dovendo applicare le proprie teorie sul manierismo alla carriera dei Bad Love Experience, direbbe senza dubbio che i ragazzi livornesi, avendo già raggiunto il proprio ideale di bello, abbiano smesso di prendere a modello la natura, così finemente raccontata nelle loro precedenti opere, per proiettare le stesse in un universo nuovo e reinterpretandole alla luce di un' invenzione copiosa di tutte le cose, non trascurando la nuova vaghezza dei colori, incamminandosi su un sentiero vario e bizzarro senza per questo dimenticare il proficuo tratto percorso.

Qualche anno è passato, dai giorni piovosi ed urbani del loro disco d'esordio, ma sembra passato molto di più. In realtà, non fosse per quello stile di canto che abbiamo avuto modo di apprezzare e conoscere, stenteremmo a credere che le due parti principali della loro discografia provengano dalla stessa era geologica. Se il concetto di natura che sgorgava da Rainy Days emanava naturalmente dalla recente storia indipendente britannica, la nuova maniera che inzuppa Pacifico esalta ciò che delle precedenti sinfonie stava alla base, stavolta slegando lacci e lacciuoli e lasciando libero sfogo ad una fantasia che nel periodo di scrittura dell'opera dev'essere stata molto più che fervida.

Pacifico, di nome ma non necessariamente di fatto, è un'esperienza perlopiù psichedelica nel senso filosofico del termine, e lo si capisce fin dall'inizio. The Kids Have Lost The War è un tema svolto in quattro parti, il tutto a sottolineare il significato di concetto, inscenato come avrebbero potuto inscenarlo i Pretty Things del '69 se avessero registrato oggi e avessero avuto l'opportunità di studiare su quell'incredibile compendio chiamato Smile i principi base dell'architettura pop sperimentale. In mezzo ai quattro capitoli, sapientemente divisi tra l'inizio e la fine del disco, c'è di tutto. Justin Perkins, dietro alle quinte, riesce a dare grande impulso al complesso corpus di strumenti, voci, arrangiamenti e sublimi chincaglierie che affolla il disco, così il trittico Old Oak Wood-Dream Eater- Cotton Candy spariglia a piacimento ed illibidinisce con il suo storytelling un po' zingaro dominato da blasfeme fisarmoniche. Il tutto ha un senso, e sorprende l'omogeneità con cui Devil In Town, dove pare di percepire Barrett dietro alla scrittura dei Kula Shaker, si amalgami senza sforzo alla brezza west coast, pacifica, un po' sinuosa ed un po' serpeggiante di That Country Road.

C'è spazio per il trip semiesteso di Dawn Ode, simbolicamente scelto come primo singolo del disco e per un improvviso ritorno all'ideale brit rock corrente di Rotten Roots; per il sound etereo ed iperspaziale della mini-suite The Princess and The Stable Boy e per la sodale Samba To Hell, parentesi quietamente stralunata che introduce alle ultime due parti de I ragazzi hanno perso la guerra, e così alla fine del viaggio.

Pacifico, a differenza di quello che il titolo potrebbe fare pensare, non è un disco semplice. Un po' tormentato, parecchio psicoattivo ma nondimeno lucido nella propria follia strutturale, il secondo lavoro lungo dei Bad Love Experience ha i suoi momenti solari, ma ha bisogno di voi e del vostro attento ascolto. Potrebbe sfuggirvi, potreste perderne l'essenza e non lo merita. Scordatevi l'accessibilità del precedente Rainy Days e, ben disposti, tuffatevi senza preconcetti nella nuova maniera del quartetto livornese.

giovedì 23 febbraio 2012

Disco del Giorno 23-02-12: Throwback Suburbia - Shot Glass Souvenir (2012; autoprodotto)

Power pop? Noi ci siamo sempre considerati un gruppo rock, dobbiamo però ammettere che nel corso degli anni ci siamo resi conto che una devota base di powerpop fans ci ha fornito un grandissimo supporto”. E ci credo. Così parlarono i Throwback Suburbia, senza dubbio una delle più eccitanti realtà provenienti dalla costa pacifica negli ultimi anni. Attivi dal 2006 e già padri di un ep (Four Play, 2007) e di un tonitruante album d'esordio (omonimo, 2009), il cinqueteste di Portland torna sulle scene e lo fa in modo dirompente con un disco, intitolato Shot Glass Souvenir, che diciamo non rischia di passare inosservato.

Se a Jimi Evans, Mike Collins e compagnia non interessa essere etichettati con un genere musicale, il motivo sta nella sicurezza estrema nelle proprie capacità, ed il perché non è poi tanto difficile da capire. Il pozzo da cui attingono un talento smodato è senza fine, ed i boys si devono appena preoccupare di comporre, cosa che accidentalmente sembrano saper fare benino. Shot Glass Souvenir è fatto di dodici canzoni, undici originali più la sontuosa cover di Up The Junction, che più di altre cose recensite negli ultimi tempi risultano estremamente telegeniche: se gli zelanti produttori di palinsesti ad MTV avessero un minimo di coscienza, si farebbero un favore mettendo un paio di estratti da questo album in rotazione costante. Per capire a cosa stia alludendo basta dare un ascolto a Give'n'Take, che apre il sipario sferrando un pugno da ko tecnico all'ignaro ascoltatore. Signore e signori, siamo di fronte alla perfezione formale del concetto di pop music: arrangiamenti straripanti e voci – soprattutto la clamorosa, vagamente nasale solista di Evans – gestite con equilibrismo d'acrobati ben al di sopra delle righe.

I Throwback Suburbia ricordano una britpop band alle prese con un corso monografico di powerpop scandinavo: chi da qualche tempo segue questo blog saprà di cosa stia parlando; tutti gli altri sono pregati di andarsi ad ascoltare It's You e Sinking Feeling, brani dove echi di Suede e Supernaturals sono camuffati da un sound smaccatamente chitarristico alla maniera di Merrymakers e Dorian Gray. Caroline tiene a livello la componente più “rocker” del disco e fa da perfetto contraltare a Best Of Intentions, la miglior ballata qui presente che immediatamente segue. E non è tutto, perché lo standard da sogno viene addirittura alzato da Get Her Off My Mind e Down To Love. Durante la prima, mi pare di vederlo, Jason Falkner sembra capeggiare i Crowded House; la seconda, a mio parere il miglior brano in assoluto del disco, con la sua accessibilissima, devastante melodia aiuta a definire i crismi del powerpop del nuovo millennio.

Shot Glass Souvenir è un disco che, se il mondo girasse per il verso giusto, sarebbe mainstream. Un avviso ai naviganti, quindi: i Throwback Suburbia vi sbatteranno in faccia senza remore il loro essere sfacciatamente pop, non c'è trucco non c'è inganno. Chi ha per forza bisogno di stare male, per ascoltare musica, è pregato di volgere il proprio sguardo altrove. Gli altri provino ad accendere la radio, chissà che prima o poi qualcuno si accorga che anche con bands così si possono fare i milioni.

giovedì 9 febbraio 2012

e.p. del Giorno 09-02-12: Bill DeMain - Extended Stay (2012; Lojinx)

Il destino, anche quello più severo, a volte lascia strascichi positivi. Capita, per esempio, che la tua abitazione in pochi mesi prima si allaghi, poi prenda fuoco. Capita anche, a parziale consolazione, che parte del gigantesco credito accumulato con la sorte si tramuti in ispirazione artistica. Bill DeMain in pochi mesi ha perso tutto, ma il vagabondeggiare bohemienne cui è stato costretto lo ha reso un uomo ed un compositore migliore, sicuramente diverso. L'autore oggetto dell'odierna trattazione rappresenta un pezzo importante della scena pop di Nashville, avendo scritto e suonato per la voce di Molly Felder nove album a nome Swan Dive. Da solo non ci aveva mai provato ma, visti i risultati di questo primo dischetto, credo che qualcuno gli suggerirà di perseverare.

Extended Stay è un titolo che, insieme alla copertina, racconta un po' tutto di un periodo traballante, incerto, difficile da sondare. Di voglia di sicurezza ma anche del romanticismo di un pezzo di vita senza punti di riferimento. E stupisce, eccome se stupisce, la tenerezza che alla fine abbraccia l'insieme dei brani, non lasciando nemmeno intuire un retrogusto di voglia di rivalsa.

Looking for a Place to Live, e in che altro modo poteva aprirsi il discorso? Liriche fataliste ma nondimeno positive, nonostante tutto. Ed un sound elementare ma caldo, punteggiato da soffici arrangiamenti di piano elettrico e violoncello, guidato da un classicissmo toe-tapping che farebbe molto Blackbird, se Blackbird fosse stata scritta dall'altra parte dell'Atlantico. Le atmosfere diventano meno pensose durante la frivola St. Joe's 75, adornata da una pregevole collana di hammond, dove i coretti in pieno stile Wilson fanno capolino nella struttura tipicamente seventies del brano. In Your Letter, meraviglia zuccherosa per archi e pianoforte, insieme ad Honeylove ed alla splendida ballata Common Love riempie la parentisi più sfacciatamente sentimentale del disco, mentre la conclusiva Raggedy Man, scritta insieme all'illustre concittadino David Mead, è un cinematico omaggio a quel genere di storytelling sopra le righe e metropolitano che rese celebre Randy Newman.

Il 2011 è stato un grande anno per i cantautori di un certo tipo: voi sapete di chi stiamo parlando e Bill DeMain, in quel salotto, siede alla perfezione. Sperando che nel frattempo Bill abbia trovato il modo di rendere un po' meno avventurosa la propria esistenza, vi raccomandiamo di portarvi a casa quello che sicuramente sarà uno dei migliori – e più personali - extended play del duemiladodici.


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martedì 31 gennaio 2012

Disco del Giorno 31-01-12: The Breakups - Running Jumping Falling Shouting (2012; autoprodotto)

I Breakups si sono formati nel 2007 sulle ceneri, indovinate un pò, di due fallimenti. Ad aver ispirato il nome probabilmente dev'essere stato il primo, quello più importante: un bel giorno, la fidanzata storica di Jake Gideon decide di piantarlo in asso. E come se il breakup numero uno non fosse stato abbastanza violento da travolgere la vita del pover Jake, un altro sberlone del destino era in agguato ad aspettarlo. Il co-fondatore della sua precedente band, infatti, alla fine del loro primo show assoluto, trasferisce armi e bagagli in Virginia, piantando una solenne pietra tombale sulle speranze del protagonista di questa triste storia. Che fare? Dev'essersi chiesto Jake? Sparire nel conforto dell'anonimato o riprovarci?

Massì, riproviamoci, ho in testa un'idea - più o meno il pensiero di Gideon dev'essere stato questo - E sai che faccio? Chiamo la band The Breakups, magari mi aiuta ad esorcizzare il destino beffardo. Detto fatto. Dal 2008, anno d'uscita del loro ottimo extended play d'esordio Eat Your Heart Out, i Breakups sono attivi nell'area di Los Angeles per servirci. E di tempo ne è passato, più di quattro anni, ma il lavoro lungo, quello che avrebbe disegnato in senso attendibile i loro connotati, aveva bisogno di una preparazione adeguata. Adesso che ci siamo, possiamo dire che il training è riuscito, e le dodici songs che compongono Running Jumping Falling Shouting proiettano l'album in orbita, concorrendo a fare del gennaio duemiladodici una delle partenze più sparate in termini di qualità generale dei dischi pubblicati.

Il primo lp dei Breakups è un lavoretto altamente melodico; un impasto prettamente popolare che Gideon sfrutta al meglio per raccontare alla grande piccole storie di vita vissuta, uscendosene con un prodotto assolutamente delizioso. E ce ne accorgiamo subito, sin dalla partenza di I'm Thinking Of A Number Between 1 And 99, brano viscerale ed acustico e melodioso pur nella penombra in cui esercita; una riflessione di profondità abissale che nondimeno riesce ad essere soavemente pop e che sarebbe potuto stare a pennello nell'ultimo, grandissimo disco dei Supraluxe. La successiva Run From Rock'n'Roll ci proietta subito sulla cima Coppi del disco, e i pur rischiosi synth che la introducono aprono la strada ad una legatura di tralci armonici a tre voci tutta da scoprire.

Se fossi un discografico saprei quale singolo estrarre da un disco, perchè bisogna seguire criteri oggettivi. In questo caso, il lato A del 45 lo occuperebbe Better Off Alone, che aumenta i giri ed il voltaggio ed i sintetizzatori, creando i presupposti perfetti per un danzereccio uptempo. E Jake Gideon sa come modulare le emozioni, perciò I Don't Want To Know è una magnifica ballata, dolcemente devastata dall'estasi del dubbio, subito seguita da Shelf Life, che ostenta invece un portamento vistosamente vintage pur virato in toni, modi e suoni contemporanei. Tra le altre tracce in chiara evidenza segnaliamo l'estesa Trust, che a metà episodio propone persino uno stacchetto di caos orchestrale un pò A Day In The Life, lo stile di canto e l'incedere pacato e luminoso in modalità Pernice Brothers di Sentimentalis e infine Amelia, dove approccio modernista e chitarre più alte rispetto alla media del disco fanno da apripista ad uno dei ritornelli più adesivi del disco.

Quasi dimenticavo: quando Running Jumping Falling Shouting sarà nei negozi il calendario segnerà il 14 febbraio. San Valentino. E vi stupite? Quale giorno migliore per celebrare l'album di una band chiamata Breakups? Se festeggiate la ricorrenza, regalatelo alla vostra metà. Ci penserà due volte prima di rompere con voi.

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venerdì 27 gennaio 2012

Disco del Giorno 27-01-12: Hannah Cranna - A Real Nice Parade (2012; autoprodotto)

Stephen Bunovsky e soci, insieme agli anni '90, si sono lasciati alle spalle due apprezzati album di studio ed un progetto. Gli album di studio, ammirati dalla critica e quasi esclusivamente da quella, furono pubblicati nel 1995 e nel 1997 dalla storica e, ahimè, sfortunatamente defunta Big Deal records, seminale etichetta discografica che in quegli anni ebbe un ruolo predominante nel rilancio del powerpop statunitense. Il periodo non era granchè fecondo per determinate sonorità: diciamo che se il tuo classico coetaneo con il testo di Lithium scritto a pennarello sullo zainetto entrava in camera tua e ci trovava il poster di Pete Ham, beh, non ci facevi esattamente la figura di quello cool. Morale della favola? Il progetto, nominato Hannah Cranna, svanì senza esagerate celebrazioni, e Bunovsky, dopo aver riordinato la stanza, traslocò repertorio ed idee nei Naomi Star, successivamente autori di tre grandi album apprezzatissimi dal sottoscritto e da un altro centinaio di invasati.

Quel progetto, inaspettatamente, torna a circolare oggi con un disco, A Real Nice Parade, che è un abbozzo di futuro ed una memoria di passato. L'album, infatti, è composto da cinque nuovissimi brani e da sei riproposizioni di pezzi equamente apparsi su Better Lonely Days (disco del 1995) e sul successivo omonimo (quello del 1997). Chicca delle chicche, il lavoro è completato da un'esibizione live del '97 in cui la band coverizza Money e Flying dei Bafinger accompagnati alla chitarra ed ai cori proprio da Joey Molland, che già durante le registrazioni del secondo album aveva dato una mano alla produzione.

Hannah Cranna più che una band è una visione: quella della scintillante mente di Bunovsky. Dipende da cosa ha sognato la notte prima, oppure con quale piede si è alzato il mattino dopo. Così, di conseguenza, A Real Nice Parade, che già per esser stato concepito in questo modo è un disco estremamente vario, saltella da uno stato d'animo all'altro con un savoir faire tanto sorprendente quanto credibile. C'è Hello, e ci sono i primi Badfinger, quelli che cantavano i pezzi scritti dai Beatles, e c'è Are You Goin Home, Polly?, sacrosanta americana in salsa pop da tenere in considerazione per la playlist di fine anno. Paul McCartney And Wings è una love songs con condimento jangle che nulla o quasi ha a che vedere con i nomi cui il brano è dedicato, mentre Enough è un omaggio, oppure un guanto di sfida, a Wilco, Wallflowers e, perchè no?, Waco Brothers.

Per dire delle tante anime presenti nell'album, e concludendo, godiamoci allo stesso modo la ballata acustica Something Left Behind e il terrificante pop'n'roll settantesco di Get Close, dove par di udire i Knack del compianto Doug Fieger coverizzare delle demo-tapes di Dwight Twilley. E, toccando gli estremi, come valutare l'accoppiata Coming Untrue con il suo super jangle sound e Toeing The Line, pazzasca cavalcata di forte aroma Neil Young? Fate voi. Io mi limito a raccomandare una piccola opera che riavvolge il nastro della storia e ci regala l'opportunità di scoprire una delle troppe realtà travolte dalla storia e dall'indifferenza di un decennio spietato. Poi c'è il marchio di Joey Molland, difficile sbagliarsi.

CD Baby | e-music

venerdì 20 gennaio 2012

Disco del Giorno 20-01-12: Jay Gonzalez - Mess Of Happiness (2012; Middlebrow)

Certo che trovare un potenziale top 10 per il 2012 già a metà gennaio è un discreto colpo di fortuna. Inaspettato, per di più. Apparentemente opera d'autore ignoto, Mess Of Happiness, esordio da solista per Jay Gonzalez, è il disco di un artista di Athens che di lavoro vero fa il tastierista per i celebri Drive By Truckers, piccole leggende neanche troppo sotterranee dell'alt.country targato deep south. Una volta scoperte le generalità del protagonista, non ci si aspetterebbe necessariamente dal suo album ciò che l'album medesimo in realtà offre. Musica rurale americana? nient'affatto, qui siamo di fronte ad un disco pop, un signor disco pop, tra i migliori dischi pop ascoltati negli ultimi mesi.

Mess Of Happiness è una centrifuga di sottogeneri che l'alchimista Gonzalez rifinisce a piacimento, riuscendo infine a dare strabiliante coesione ad una collezione di brani che una volta, nel famoso mondo migliore, sarebbero passati alla radio comportandosi da singoli. Ed è proprio il presunto ed unico vero singolo, Punch Of Love, ad aprire la collezione, esibendo un corpulento powerpop di area Superdrag / Harvey Danger contaminato da una delicata coda lisergica che inizia a far capire che l'autore di scontato mostrerà pochino. La magnifica ballata dedicata a tale Luisa prosegue la dimostrazione evitando come in uno slalom i pericolosi paletti del luogo comune, mentre inattaccabili brani quali Turning Me On, Baby Tusk e Skinny Little Fingers riporteranno i pensieri di molti all'epoca d'oro dell'AM Rock, quando per passare in modulazione bisognava saper scrivere e leggere la musica per davvero e il diabolico Autotune era a circa un'era geologica dall'essere inventato.

Basterebbe quanto detto per indurvi all'acquisto di Mess Of Happiness, immagino, eppure nemmeno abbiamo citato le canzoni migliori del disco, e anche se vi sembrerà incredibile, le cose stanno proprio così. Dalla traccia otto alla traccia dieci, una sequenza da brividi: I Urge You è il lasciapassare che l'autore userà per entrare dalla porta principale nell'olimpo dei grandi cantautori pop degli ultimi anni, usando il cesello per rifinire dinamiche armoniche davvero creative laddove altri, per ottenere la forgia massima, ancora usano il cianuro. E se il geniale posizionamento delle liriche sul tappeto sonoro della clamorosa Short Leash scomoda addirittura i Cotton Mather acustici, la brevissima e schizofrenica Tension è uno spaccato di caos melodico fuori controllo che farebbe sobbalzare Pollard.

Ogni tanto Jay Gonzalez si accomoda sul sofà e si diletta con svagate digressioni acustiche. Il primo esempio in tal senso è scolpito in Phil's 'Fro; il seondo nella conclusiva Dios Te Benediga, titolo che volentieri dedichiamo all'autore per aver idealmente prolungato le nostre vacanze con questo favoloso regalo natalizio ritardato.

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