Quando il promoter musicale scozzese Andi Lothian coniò il termine beatlemania nel 1963, con tutta probabilità alludeva ad un fenomeno più che altro di costume. Enorme, uno dei più devastanti della storia, ma pur sempre un fenomeno sociologico e di antropologia culturale, come è stato sempre definito. Mi spiego. Ancorchè contenitore di un periodo fatto di folle adoranti, caos positivo, urla ai concerti, pianti e svenimenti di massa, la beatlemania, così come la si è sempre intesa, non aveva particolari connessioni con la faccia artistica dei Beatles. Ciò che sto cercando di dire è che, probabilmente, lo stesso Lothian non si aspettava che il beat incendiario dei primi Beatles, e mi si perdoni il gioco di parole, avrebbe fatto proseliti a quasi mezzo secolo di distanza da quei primi giorni di giubilo. E invece.
Gli ultimi cinquant'anni di storia della musica sono colmi di grandi nomi associati alla beatlemania postuma, e dal momento che detti esempi rappresentano una buona fetta del pantheon di questo blog trovo sia inutile nominare i più importanti. Basta e avanza dire che oggi, grazie al solito patrocinio del sommo Ray Gianchetti e della sua Kool Kat records, possiamo urlare, strapparci i capelli e svenire nel nostro piccolo ascoltando A Cellar Full of Rats, l'album di debutto dei newyorkesi Beat Rats. Un disco che, grazie ad un percorso filologico ineccepibile, si presenta proprio come ci si aspetterebbe: poderoso beat'n'roll da balera, quando la balera era una cosa seria. Talmente furibondo, assassino e madido di sudore da ricordare davvero quei giorni ad Amburgo nel 1961. Merseybeat, certamente, ma di quello originale, molto più devoto ai fab four quando in realtà erano i fab five, con Stu Sutcliffe al basso e Pete Best seduto dietro ai tamburi. Un'orgia di musica popolare, ma veramente popolare, marchiata a fuoco dall'esperienza r'n'b e drogata da una carica armonica che ne rende consigliato l'ascolto a tutti i lettori di UTTT.
Ci siamo capiti, credo, e per una volta non è nemmeno necessario citare le singole canzoni, perchè ciò che qui conta è il feeling generale, la debordante carica energetica, il sapore di una storia che parte da lontano e che tuttavia ancora e soprattutto oggi vanta radici molto profonde. Chitarre sferraglianti, entusiasmo giovanilista all'ennesima potenza, drumming devastante. Il rock'n'roll di Buddy Guy e Boo Diddley filtrato dall'esperienza dei primi Pretty Things e dal fiume Mersey in un giorno di piena. Non solo. Un'esperienza che quando sfocia nei roventi assalti strumentali riporta in vita anche Link Wray. Uno dei dischi più divertenti ascoltati in tutto il 2009.