Tre singoli a 45 giri sparsi tra il 2008 ed il 2009. Poi tour italiani, europei, americani, due, di cui uno appena conclusosi dopo una ventina di date spese sulla costa occidentale. Il bagagliaio pieno di esperienza l'avevano, si trattava di infilare nell'autoradio un disco lungo, puntualmente arrivato. On a Bittersweet Ride rappresenta l'esordio sul formato 33 per il combo bergamasco/vicentino e, scusate la banalità, che esordio. Di suonar rock'n'roll son capaci tutti, soprattutto se di rock'n'roll minimale si tratta; poi, riuscire a divertire l'ascoltatore è una meta che in pochissimi raggiungono, e quei pochissimi dovrebbero essere evidenziati come meritano. Figuriamoci se si parla di Miss Chain & the Broken Heels poi, tra i pochissimi degni interpreti di un sottogenere musicale (il pop'n'roll), che in Italia non ha mai raccolto proseliti. Gruppi come questi, nella penisola, sono specie protette proprio perchè assolutamente demodè, fatto che ce li rende, se possibile, ancora più cari e che, sfortunatamente per loro, sarà garanzia di anonimato duraturo negli ambienti che contano del giardino di casa.
Il disco, una bomba, è licenziato dalla Screaming Apple, grandissima etichetta teutonica che da più di quindici anni delizia chi, come noi, si è sempre trovato a proprio agio in quell'intersezione sonora dove il garage ed il rock'n'roll di base incontrano il powerpop d'annata. E di pop'n'roll all'ennesima potenza stiamo parlando, un pop'n'roll piantato con la testa e con la mente in un passato invecchiato alla grande, senza rughe, vivace come un bambino al parco giochi, frizzante come una mattinata sull'oceano. Miss Chain ed i suoi tacchi rotti non suonano garage, non suonano powerpop, non suonano rock'n'roll puro: il loro è un impasto che sconvolge tutto ciò e lo ripropone in salsa - i ragazzi non me ne vorranno - praticamente beat. Si, l'ho detto e lo confermo: per quanto mi riguarda (e a ragion veduta, avendoli osservati anche qualche volta dal vivo), Miss Chain & the Broken Heels sono un gruppo beat, e questo è meraviglioso.
Per la precisione, Astrid (voce e chitarra), Disaster Silva (chitarra solista), Franz (basso) e suo fratello Brown (batteria), sono un gruppo di beat puramente anni sessanta che strizza più di un occhio alle pop bans femminili della golden age, aggiungendo una spruzzata di powerpop (powerpop ante-littream, per la precisione) che conferisce ai brani un pizzico (solo un pizzico) di modernità e potenza ritmica in più. Per rendere l'idea, qualora non fosse chiaro, fantastici ed eccitanti brani quali Roallercoster, Mary Ann, Flamingo (la mia personale favorita) e Common Shell rappresentano plasticamente quello che sarebbe potuto succedere se Shivvers e Go Go's fossero state sorprese a coverizzare i best-of di Shangri-La's, Chiffons e Crystals. Per staccare, in un paio di occasioni (soprattutto durante Old Man e Save Me) viene a galla la passione per certa americana-pop di cui alcuni membri del gruppo sembrano essere grandi fans, ed il tutto non fa che giovare alla riuscita di un disco veramente godibile, nell'accezione migliore del termine.
La scena italiana, quella vera, lontana dall'immondizia edulcorata del Mi-Ami e di Rock-it sta lentamente ma inesorabilmente rinascendo, e gruppi come Miss Chain & the Broken Heels ne sono una straordinaria dimostrazione. Tutto sommato, non credo serva aggiungere molto altro per convincervi a mettere le mani su uno dei dischi più divertenti, sbarazzini ed entusiasmanti di questo 2010.