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venerdì 27 maggio 2011

Disco del Giorno 27-05-11: The Beginning - In Everything (2010; Uptown Hipsters)

La Svezia, l'abbiamo detto tante volte, è stata, è tutt'ora e presumibilmente continuerà ad essere una terra promessa, quando si parla di pop chitarristico. Certo, gli anni Novanta sono passati da un pezzo e con essi il periodo più sensazionale che la scena visse; periodi d'oro, quando tra Stoccolma, Boras e Linkoping si aggirava una densità di artisti powerpop senza precedenti nella storia del genere. C'erano i Merrymakers, i Beagle. I Wannadies, This Perfect Day, Dorian Gray e chi più ne ha più ne metta. I tempi sono cambiati, la densità di bands powerpop calata, mentre, in modo inversamente proporzionale, la scena puramente indie continua a crescere in modo esponenziale. Nessun dramma, in ogni caso, perchè la nazione-guida del pop scandinavo continua - insieme alla Spagna e, udite udite, all' Italia - a fare da traino a tutto il vagone europeo.

Tra le tante ottime cose che dalla Svezia continuano ad uscire, va annoverato il disco di debutto del noto hammondista scandinavo Anders Ljunggren, il quale, essendo alla prima esperienza solista, ha giustamente deciso di chiamare il proprio nuovo disegno The Beginning. Il buon Anders ci scuserà per il ritardo con cui abbiamo intercettato In Everything, disco uscito durante il 2010 ma si sa, il tempo è tiranno e peccato, tra l'altro, perché l'esordio dei Beginning avrebbe senza dubbio valso una delle prime venti posizioni nella classifica compilata da UTTT sui migliori dischi dell'anno scorso.

In Everything è un grande disco di musica pop a tutto campo, dove si sente che Ljunggren è cresciuto a pane e sixties ma si vede che non ne è pervicacemente legato. Indottrinato dai sixties e cresciuto nei nineties, verrebbe da dire, tanto sono manifeste le influenze delle due decadi di riferimento, ma il bello di un album come questo è la suprema originalità con cui il tutto viene impiattato. Schiacciamo play, dunque, e sentiamo cosa ha da dirci Anders intonando Sometimes It's So Hard. Vedrete che il ragionamento testé proposto inizierà ad avere un senso: cosa pensereste, se vi dicessi che il brano fa immaginare degli straniti Hollies persi per gli Stone Roses all'inizio di Madchester? Idea balzana, ma più o meno ci siamo. Ljunggren, a quanto pare, deve essersi preso una cotta per quel periodo solenne, e lo dimostra declamando Feel For Me, densa di hammondismo Charlatano, per chi ha orecchie per intendere.

Il resto dell'album è più canonico, ma gli undici frammenti che lo compongono hanno il pregio della personalità assoluta. Certo, il background della maggior parte dei brani è prettamente retrò, ma l'approccio modernista dell'autore li fa rimanere sospesi in una sorta di tempo senza tempo. Poi ovvio, se dobbiamo inquadrare le coordinate e cerchiare gli episodi chiave diciamo che a far la voce grossa è She Is Everything, la cui definizione potrebbe essere: pure sunshine pop for now people. Ma non solo, perchè Anders sembra trovarsi molto bene con il linguaggio psych. Ne consegue che due tra i pezzi migliori di In Everything sono Time Of Your Life, moderna nenia popedelica e soprattutto la fenomenale, assolutamente Barrettiana Seize The Rainbow, vera perla del disco. Ad infiocchettare un lavoro davvero meritevole di maggiore attenzione (scarsissime le notizie a riguardo persino in rete) concorre il duo beat pop composto da All In Time (da sballo il riff Taxman-inspired) e da We Will Win In The End, che starebbe a pennello su un album-tributo agli Hollies.

Se il buongiorno si vede dal mattino, come dicono, siamo messi bene. E se il nome che il signor Ljunggren si è scelto ha un significato, è facile dire che questo è solo l'inizio. E che le aspettative per il prosieguo del percorso sono molto, molto elevate. Anders, ti sei cacciato nei guai. Siamo sicuri che ne uscirai con stile.

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martedì 3 maggio 2011

Disco del Giorno 03-05-11: Title Tracks - In Blank (2011; Ernest Jenning)

Si può dire tutto del powerpop tranne che non sia un genere democratico. La recente ondata di artisti che si riempiono la bocca di frasi tipo "sai, la mia band suona powerpop" dimostra come questa particolare sottocultura del pop chitarristico sia magnanima, disposta a farsi suonare da chiunque. Poi certo, scrivere è un'altra cosa e cantare bene un'altra ancora. E buttare giù sceneggiature interessanti che sostengano il pezzo anche dal punto di vista lirico? Vabbè, lasciamo perdere. Il powerpop è un genere democratico perchè tutti possono suonarlo. Tende a diventare tiranno, cattivello, quando si tenta di alzare un pò l'asticella della qualità. Ma rimane sempre un rifugio caldo e sicuro, se perfino l'ex batterista dei Q and Not U, punk/hardcorers di Washington DC, può permettersi di costruirci attorno il proprio nuovo progetto. Johnny Davis, capo indiscusso di tutto l'ambaradan, ha però una serie di vantaggi che in brevissimo tempo ne hanno fatto uno dei migliori interpreti in circolazione. Innanzitutto, Johnny scrive come se fosse il 1979, come se non avesse fatto altro in vita sua. In secondo luogo, il signor Davis possiede un indiscutibile talento quando si tratta di disegnare in chiaro/scuro, che quando si parla di powerpop è tanta roba. Non è facile, e quando testi così turbati riescono a mescolarsi senza sforzo ad alcune tra le melodie più vivaci e frizzanti sentite ultimamente, beh vuol dire che il bersaglio è stato grossomodo centrato.

In Blank è il secondo album dei Title Tracks, ora una vera e propria band dopo che l'esordio - It Was Easy, uscito lo scorso anno e numero 18 nella classifica di UTTT riguardante i migliori dischi del 2010 - era in sostanza un progetto solitario di Davis, e che album. Undici tracce di powerpop colossale, intenso, puntellato da liriche che pescano nel tormento delle relazioni interpersonali ma nondimeno spumeggiante, adesivo come poche altre cose in giro attualmente. L'architettura è quella classica, quella che potevate trovare sui libri di design powerpop tra la fine dei settanta e l'inizio degli ottanta, e se tiriamo in ballo Elvis Costello e il primo Paul Collins, a livello di fonti di ispirazione primarie, non andiamo tanto lontani dall'obbiettivo. Il drumming è potente ed essenziale, perfetto sfondo al tanto scintillante quanto elementare e senza fronzoli approccio alla chitarra di Johnny Davis. Il disco è registrato in mono, la produzione è viscerale. I brani di In Blank, nel complesso, sono strutturati con una sequenza che fa pensare ad una compilation bubblegum dei primi anni ottanta: sebbene il lavoro sia quantomai coeso, le tracce sono pensate e scritte per stare in piedi da sole, ed infatti ogni frammento del disco è un potenziale singolo.

Con un coltello alla gola, richiesto di pescare il meglio, non esiterei a scegliere due tra i migliori brani powerpop sentiti negli ultimi tre anni come Light Sleepers e come la conclusiva Winners City, e peccato che le radio non trasmettano più confetti del genere. Per segnalare, infine, il gusto dell'artista, una nota di merito la spendiamo volentieri per la riuscita cover di I Can't Hide, l'indimenticato brano dei Flamin' Groovies. Una nomination per la top 10 di fine stagione è già stata spedita a casa Davis, con cui, tra l'altro, ho avuto modo di parlare dopo un favoloso (e purtroppo deserto...ah, beata ignoranza) concerto che i Title Tracks hanno tenuto in zona un mesetto fa. Pensate che il ragazzo pare essere ai primi approcci con la materia. Quella sera mi stavo occupando della selezione musicale post-concerto e Johnny mi ha detto "veramente favolosa la roba che stai mettendo, mi scriveresti su un foglio i titoli dei brani?". Gli ho regalato una decina di cd. Se li è meritati.