Passato il periodo dedicato alle classifiche di fine anno, stavolta procrastinate all'infinito ma in fine completate, è tempo di mettersi di buon impegno e far calare la pila di dischi arretrati che giacciono da un paio di mesi sulla mia scrivania. Scusandomi per l'ennesima volta con gli artisti che spesso devono aspettare tempi indefiniti per vedere pubblicate le recensioni sui loro lavori e ringraziandoli per l'infinita pazienza, parliamo di un disco che rappresenta un vero e proprio tuffo nel 1966, e che ha contribuito a mantenere il mio umore buono in queste ultime settimane di tempo infame.
Il disco è quello degli Anything People, si chiama Anythology e, a dispetto del titolo, non è un best of ma semplicemente il loro album di debutto, che finalmente raccoglie i brani scritti da questa band newyorkese tra il 2004 ed il 2010. Un tuffo nel 1966, dicevamo, perchè l'attitudine, le modalità di produzione e il tentativo spasmodico di attenersi al modello di scrittura tipico dell'era Nuggets, fanno di quest'album qualcosa che assomiglia parecchio ad un'uscita postuma di un oscuro gruppo dell'epoca. Attenzione però, non fraintendetemi: Anythology è un grande disco, colmo di pezzi entusiasmanti, che non puzza di vecchio, anzi. Saltellante e sporco al punto giusto, il ciddì d'esordio degli Anything People è una bella boccata d'aria fresca, e lo si capisce al volo. Pronti via, la prima folata che spettina l'ascoltatore la procura You're a Souvenir, che apre le porte al tipico immaginario da scantinato adibito a sala prove. Sudore, sangue, registrazione analogica, ed un brano che fa immaginare i primi Byrds intenti a coverizzare uno sconosciuto pezzo garage figlio della beneamata west coast. Ancora più irrequieta e decisamente nevrotica, ma sempre legata ai tipici standard garage è Left Side, dove i termini di paragone, forse per una certa qual acidità sul fondo del brano, sono invece Chocolate Watchband e Strangeloves, almeno fino a quando non si aprono squarci di melodia tipici dei Troggs meno accondiscendenti.
Gli Anything People, sarà a questo punto evidente, riescono ad orientarsi (bene) quando si mettono a giocare con la tradizione (non è facile). Così, Repeat After Me sembra un traditional dell'epoca revivalista anni Ottanta ancorato alla storica lezione di Blues Magoos e Shadows of Night, e la grande rivisitazione di She Moves Me, originariamente scritta dagli E-Types, è un altro punto a loro favore. Il fatto è che il gruppo, quando decide di abbandonare i canoni garagistici per virare su sentieri più melodici, fa un ulteriore salto di qualità: sentite che meraviglia l'harmony pop di Wait for Your Dreams, che gli Anything People siano nati sulla costa sbagliata? E che sballo Laugh, quando sembra di ascoltare gli Hollies rivisitati da Pollock. Per non parlare di Green Tea Rosemary Branch e See My Mine, dove Michael Lynch, Doug Mayer, Mark Khan e Jay Banerjee saltellano come i Monkees nel '67.
Il disco è completato da quattro bonus tracks, registrate live al Kenny's Castaways di New York durante l'esibizione della band all'International Pop Overthrow del 2008. Non sappiamo con ufficialità se il gruppo sia attualmente attivo. Sappiamo però che i suoi membri non stanno con le mani in mano, questo è certo. Jay Banarjee è stato infatti cosi gentile da spedirmi il suo ep d'esordio che (speriamo) sarà pubblicato ufficialmente a breve. Il dischetto, intitolato semplicemente Three Songs, si scosta dai classici parametri sixties che guidano il sound degli Anything People per avvicinarsi ad un powerpop dai forti connotati jangle che promette molto bene per il futuro. In attesa di saperne di più, godiamoci le melodie killer di brani fantastici come No Way Girl e Kate. Jay fai presto, perchè ne vogliamo ancora!
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