Anno di grazia 1999: il liceo, il millennium bug, la trascurabilissima predica urbi et orbi di Karol Wojtyla dedicata all'inizio del nuovo millennio. In coda a quello vecchio, tuttavia, usciva un disco destinato a rimanere nella memoria - oltreché nelle imperiture classifiche - di ogni fanatico di power pop. "Songs For The Whole Family" sarebbe rimasto l'unico album nella carriera di una band di Atlanta chiamata Star Collector, nome opportunamente preso in prestito da una discreta canzone dei Monkees. Che tempi. Il quartetto, democraticamente composto da membri eccellenti nel dividersi onori e oneri di canto e scrittura, incise nel 2000 una versione del classico di Macca My Brave Face, che finì su uno splendido tributo dedicato al Beatle scalzo dal titolo "Coming Up!", prima di sciogliersi a seguito di una brutta faccenda provocata - ma toh? - da una casa discografica al solito rapace.
Il capo della banda si chiamava Joe Giddings, trasferitosi in Georgia dalla natia città di New London, Connecticut. La cruenta fine della sua creatura contribuì a imporgli una scura depressione oltre al conseguente rigetto per ogni forma di scrittura, ma la parentesi buia non si prolungò molto. Ripresi in mano chitarre e GarageBand, Joe ha ricominciato a comporre, mettendo presto insieme una collezione di canzoni private, e con ogni probabilità destinate a restare tali non ci fosse stato il provvidenziale intervento del sommo Bruce Brodden, boss della rimpiantissima Not Lame Records e forse, non è un azzardo affermarlo, del power pop americano tutto in quegli anni. Il suo entusiasmo indusse Joe Giddings a pubblicare un album, dietro al comprensibile pseudonimo di JTG Implosion: l'implosione di un autore che pensava di aver smarrito la strada maestra, ma "All the People Some of The Time", classe duemiladue, suona tuttora come un rigoglioso esempio di scrittura pop devota ai santi Manning e Sturmer.
Seguì un altro trasloco, stavolta a Los Angeles, e saltuarie tracce apparse sulle più varie piattaforme digitali, spesso poco prima di essere rimosse, esse non soddisfacendo l'esigente autore. Poi la quadra, una serie di canzoni convincenti, il progetto di un album sorto nel 2016 e infine realizzatosi, quattro lunghi anni dopo, grazie all'intervento di un altro angelo del powerpop, il mai abbastanza lodato Ray Gianchetti della Kool Kat records da Seawell, New Jersey. "Better From Here" è una fortuna. Uno scrigno pieno di tesori. Undici brani che nascono dall'ineludibile fonte dei Fab Four, per proseguire entro gli argini della miglior pop music degli ultimi cinquant'anni. "I don't wanna sing like the Beatles again, but i'm gonna do it anyway", promette Joe all'inizio del disco. Derivativo e felice di esserlo? Sì, e vi conviene lasciarlo fare.
Se ogni promessa è debito, Joe Giddings è debitore solvibile. Così la robusta title track aizza l'album regalando le migliori premesse possibili, prima che la criptica Always Raining Somewhere dia un primo saggio del vanto della casa, l'innata duttilità nel maneggiare le insidie che la musica popolare sempre propone. Il brano è sublime esemplare alt.country, guidato da chitarre soffici e sempre più jangle mano a mano che il pezzo declina verso la splendida conclusione.
Quando si sanno scrivere storie le canzoni vengono meglio: lo dimostra Amity Horror, quadretto lirico che pare disegnato da Chris Difford sulle basi di un power pop chitarristico ispirato ai migliori Velvet Crush. Altrove - si può indirizzare lo sguardo pressoché ovunque senza timore di rimanere delusi dal panorama - Gone So Far fa risplendere l'argenteria di Tom Petty, foraggiata da armonie giganti e da sequenze genialoidi d'accordi, mentre Alone But As One pare il commendevole risultato di un approfondito studio della filologia Mersey.
Se ciò non fosse sufficiente a consigliarvi l'ascolto, ma tenendo fede al proposito di non abusare della pazienza del lettore, val la pena di segnalare ancora il corposissimo glam pop alla saccarina di If I Don't Have Love, incitata da un sistema di cori debitore della migliore Electric Light Orchestra, e l'ingegnosa ed esilarante Billy Said the F*** Word, che vedremmo in buona compagnia nel giardino di Welcome Interstate Managers. Joe Giddings saluta con la simbolica Final Track, denotando una sospettabilissima sapienza nel maneggiare la delicata seta della sartoria Elliott Smith. Speriamo sia un arrivederci. Possibilmente presto, stavolta.
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