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mercoledì 6 marzo 2024

Emperor Penguin "Gentlemen Thieves"



Tornano gli Emperor Penguin, ed è ovviamente una bella notizia. "Sunday Carvey" era stata una folgorazione per noi che già li conoscevamo per merito dello strabiliante "Corporation Pop" di cui a suo tempo parlammo su queste pagine, ma colpevolmente mai avevamo davvero approfondito una discografia ora giunta a sette album in quattordici anni di carriera. Quel disco traboccava effervescenza istrionica molto seventies - ma anche un bel po' XTC metà anni ottanta - con tutte le invenzioni e le bricconaggini del caso, mentre "Gentlement Thieves", disco di nuovissimo conio, sposta l'orizzonte temporale un decennio più indietro. Resta comunque difficile confinare gli Emperor Penguin all'interno di un territorio precisamente demarcato, e se il campo base in questione può dirsi più o meno battere bandiera UK beat, il costrutto generale è si, al solito, molto britannico, ma le influenze spuntano dal nulla e si irradiano verso le più imprevedibili destinazioni.

"Gentlemen Thieves" è un'opera dotta che narra storie di ladri e cita WB Yeates, ma non è un concept album. Le canzoni, come tradizione vuole, si reggono benissimo in piedi da sole, con la solita propensione alla dimensione singolo, almeno potenziale. L'ironia in qualche modo vittoriana pervade il contesto lirico e strumentale, con i soliti numi tutelari Costello e XTC ancora ben saldi nel pantheon.

That's The Worst It Could Happen, con i suoi bizzarri eco, riverberi e persino spruzzate di fuzz cela richiami power pop ante-litteram che occhieggiano alla beatlemania, mentre Silver Apples, con i suoi rimandi letterari, e Three More Years, posta in chiusura di percorso, definiscono le diversità di cittadinanza del suono con azzardate ma riuscite divagazioni di synth in un contesto piacevolmente proto-progressivo.

Eterogeneità che non si peritano di rimarcare Town Called Gone e Driving Blind, più corpulente: la prima strutturata su un disegno angolare da cui scaturisce un grande ritornello secondo un'architettura resa di grande successo dai Guided By Voices; la seconda, sempre caratterizzata da un lussuoso chorus, lambisce addirittura i territori di certo glam rock anni '70. Sonnez Les Matines, audace, parte con giro simil-reggae e viene trasportata da bassi compulsivi verso una sorta di eastern dance americana miscelata a certo madchester sound, e la strepitosa Pipistrelle è una gemma che evoca l'idolo Partdrige ornata da un astuto toy piano.

 

I libri classici del retroterra sciovinista britannico vengono ripassati nelle dispense titolate The Persuaders, traboccante dalla stretta intercapedine che separa Rubber Soul da Revolver, e You And Me, che sembra invece un outtake di Sgt. Peppers's con i suoi arrangiamenti a base di corni.

Disco eccezionale, sì, ma non sono ancora stati citati gli episodi migliori: uno di questi emana dalle chitarre tormentose e dalla batteria rotonda di Ladybird, grande power pop per palati fini; gli altri due dalla compartecipazione della solita Lisa Mychols, la quale eminentemente duetta con la voce di un preteso ma credibile Evan Dando intento a coverizzare Costello nel corso di I Would't Point It Like That, d'ispirazione vagamente jangle, e poi evoca la dea Kirsty MacColl nella lievemente psichedelica You Are My Atmosphere.

   

La manifesta idolatria per le prodezze musicali britanniche comprese tra il primo e il secondo Impero non si tramutano mai nella copia carbone di qualcos'altro. Le evidentissime capacità compositivo-scrittorie e il solito coraggio nel prendere la tangente imprevista fanno di "Gentlemen Thieves" un altro grande album degli Emperor Penguin, che ci permettiamo di pronosticare molto in alto in parecchie classifiche di fine anno, quando arriverà il momento.

Kool Kat | Bandcamp

 

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