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giovedì 30 giugno 2011

Disco del Giorno 30-06-11: various artists - Power Pop-A-Licious (2011; Beat Army)

Mr. Paul Collins è una leggenda, uno dei padri costituenti della scena powerpop, una sorta di mito: sarà banale ripeterlo ma è giusto dare a Paul ciò che è di Paul. Un signore di quasi sessant'anni che, nel 1979, mezza vita fa, dava alle stampe la pietra miliare che tutti conoscete bene, senza la quale probabilmente molti di noi sarebbero cresciuti in maniera un pò diversa. Sono passati trendadue anni, eppure Collins è ancora al timone. Nel mezzo della tournée interminabile che Paul porta avanti ormai da tempo immemore, egli incide nuovi album propri, produce lavori altrui, da l'esempio ai più giovani e recentemente ha deciso di prendersi la responsabilità della conservazione, dell'utilizzo e della diffusione del verbo powerpop. La meritoria attività si svolge sotto un vessillo dal nome perentorio: Beat Army. Dietro a quest'insegna, l'ambiziosa opera di Paul ha l'obbiettivo di connettere, per quanto sia possibile, i vari segmenti che compongono una scena tanto fiorente quanto frastagliata e vessata dall'indifferenza dei media. Lo scopo l'abbiamo detto: tutelare e soprattutto divulgare un genere sempre sull'orlo dell'estinzione.

Power Pop-A-Licious è il nome di un festival tenutosi a New York lo scorso Primo di Maggio, una sorta di Paul Collins and friends ovviamente patrocinato da Beat Army. The King of Power Pop deve aver pensato che un buon modo per diffondere la materia sarebbe stato quello di stampare una compilation omonima comprendente i performers di quella giornata, e l'idea, sostanzialmente, non sembra proprio da buttare. La raccolta, oggetto dell'odierna recensione di UTTT, comprende 16 bands perlopiù minori strette attorno alla traccia dell'unico autore noto. Indovinate di chi si tratta? Ma di Paul Collins, of course, il quale, inaspettatamente, visto il contesto, piazza un brano intitolato You Belong With Me (già presente in veste di b-side sul retro del singolo Who, Dear?) dalle chiari cadenze country/folk. Il resto del menù tende ad esplorare le tante sfaccettature del genere, e gli episodi più riusciti sono quelli ispirati all'etica skinny tie: se Why You Gotta Lie, apertura affidata a Kurt Baker, rappresenta forse la vetta dell'intera compilazione, un plauso lo meritano anche la successiva Sue Doesn't Live Here (dei Mothers Children) e l'accoppiata power-pop-punk da sballo formata da Give It A Rest e da Ruin Me, rispettivamente opere di Dirty Shames e Future Virgins.

Per il resto, ottimo il twee ante litteram dei Bam Bams ed il Costellanesimo ortodosso di Spectacles e BF's, mentre le divagazioni garage di Half Rats ed Electric Mess, insieme al pop'n'roll scassato di Walnut Kids e Baxx Sisi's, a causa di pezzi debolucci non aggiungono né tolgono molto ad una raccolta comunque parecchio godibile. Se poi l'intento è quello di preservare un genere protetto come il powerpop e tramandarlo ai posteri, da Under The Tangerine Tree il vecchio Paul troverà sempre una fedele e sicura sponda.

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giovedì 23 giugno 2011

Disco del Giorno 23-06-11: Supraluxe - The Super Sounds Of Supraluxe (2011; autoprodotto)

The Super Sounds Of Supraluxe, evidentemente una delle migliori pubblicazioni di questo 2011, è la terza opera di studio per il terzetto proveniente da St. Paul, Minnesota. Una band, quella composta da Jim Risser, Bob Burns e Rich Paerson, nota alle cronache sia per il loro notevole "back catalogue", sia per un fatto curioso: il loro omonimo debutto fu indirettamente la causa che portò alla creazione dell'ormai celeberrimo blog Absolute Powerpop (non è il caso che mi dilunghi sul racconto della storia, ma se interessa leggete qui). Con delle credenziali simili era lecito attendersi molto da questa nuova uscita, e fortunatamente i ragazzi, incuranti della pressione, sono riusciti a centrare nuovamente il bersaglio grosso.

Badate, la copertina, fantastica, è ingannevole. L'iconografia beat e gli abbinamenti cromatici vagamente Pet Sounds potrebbero far pensare ad un bel tuffo nei sixties più classici, traendo così d'inganno chi dei Supraluxe non fosse pratico. I contenuti, infatti, sono quelli che tutto sommato ci potevamo (e ci volevamo) aspettare, e si propagano al solito raffinatissimi in un lussuoso alternarsi di supremo rock americano e continue riflessioni perlopiù acustiche. L'album si apre con Every Little Piece, e sono subito grandi emozioni. Il brano, rigorosamente acustico, evoca tanto il maestro Ellitot Smith quanto nuovi troubadours del settore, ed in questo caso mi compiaccio nel citare, a titolo di esempio e anche un pò di pubblicità, il genietto australiano che di nome fa Tamas e di cognome Wells. Il prosieguo è affidato a Setting Sun, uno dei migliori brani del disco, che cambia decisamente l'atmosfera con il suo trascinante midtempo, con il bridge più catchy del 2011 e vari inserti vagamente psych davvero di pregio, mentre Lester Bangs, traccia numero 3, rappresenta il momento più sessantista dell'album, con quello stile soft rocker dalle movenze chiaramente retrò che ricorda recenti autori noti ai lettori di queste pagine come gli Offbeat.

L' album, anticipavamo, è costruito sul costante alternarsi di episodi prettamente acustici e brani american rock di grande livello, così, in un susseguirsi di grandi emozioni, che poi sono il vero filo conduttore del disco, si avvicendano crepuscolari riflessioni acustiche come When You're Down e Summer Bummer, che rievocano i primi, inavvicinabili Kings Of Convenience, e spezzoni di tipico rock a stelle e strisce come New York City's Not Alright, titolo che ci azzecca parecchio con la definizione "rock ovviamente urbano" e soprattutto come la favolosa Nowhere, grande uptempo che scomoda Rhett Miller e anche, almeno un pò, il mitologico Ryan Adams periodo Gold.

L'alternanza è il caposaldo, vero, ma tutto sommato è tempo di riflettere. Perciò, se dobbiamo dirlo, la bilancia di Super Sounds Of Supraluxe pende leggermente verso la cupa introspezione acustica, con risultati eccelsi, peraltro, che ci inducono a citare altri due brani prima di salutarvi. Le canzoni sono quelle conclusive del disco: la prima, Nail Bitter, è un lento cantautorale da lacrime che mi ricorda quando, chiuso in camera ormai tanti anni fa, rimanevo a fissare il soffitto scioccato da Either/Or. La seconda, You Are A Winner, rappresenta un ipotetico tuffo nelle sensazioni che hanno fatto del new acoustic uno dei movimenti più interessanti del nuovo millennio, e la cosa fa pensare che se i Supraluxe fossero nati nel 2001...Chissà.