.header-inner:[widht:300px;]

domenica 29 aprile 2012

Mini reviews di fine mese.


Your Gracious Host - 1Up 2Down (2012; Meccanic) Tom Curless fa bingo, ma a vincere il piatto non è certo lui solo. Quarto lavoro di studio a nome Your Gracious Host, e se avete presente gli altri dovreste essere lieti di trovare 1Up 2Down nei vostri retailers preferiti. Il progetto è sempre più un affare solitario del buon Tom, che più si isola, più alza smodatamente il volume dell'amplificatore ed il coefficiente di power nella sua oliatissima macchina pop. Stavolta, passare accanto alle varie Made To SufferHave I Been Lied To e all'ottima To Be Kind significa affrontare un viaggio molto più angolare del solito e sperimentare un suono solido ed urgente, comunque melodico ma solo a tratti. Diciamo Posies, quelli più imperturbabili; diciamo Auer e Stringfellow impegnati a coverizzare il repertorio più rocker di Alex Chilton, e non è difficile da immaginare. How Many Times Think About The Future completano con le loro strambe scelte melodiche, mentre Sacred Eyes chiude, stavolta delicatamente, un disco compatto ed egoista, perché non cerca il colpo ad effetto e, alla fine, avercene di autori così. (CD Baby | MySpace)

The Sick Rose - No Need For Speed (2011; Area Pirata) La leggendaria garage band torinese ha, ormai da qualche anno, virato verso un pop di matrice chitarristica da tenere sotto stretta osservazione. Se i primi segnali sfacciati in tal senso popolavano il precedente Blastin' Out, qui siamo al compimento dell'opera. E pazienza se l'attesa è durata sei anni: il titolo del nuovo disco spiega molte cose. Il sottotitolo "11 fresh pop remedeies to reduce stress in everyday live" risolve i restanti dubbi e la prova dell'ascolto regge alle aspettative. In cabina di regia, nientemeno, siede Dom Mariani, e la cosa dovrebbe bastare; non dovesse, l'icona dell'aussie pop piazza il carico da undici e firma anche due brani, tra cui il grandioso singolo Before You Go. Il resto è all'altezza, tra assalti frontali come Action Reaction e sapienti ballate come Pathetic Girl, in un insieme complessivo che porta la mente ai Plimsouls, ai DM3, ovviamente, e alla primordiale, fervente scena powerpop da scantinato americano raccontata sulle pagine di Bomp! nel 1978. Non so se ci siamo capiti. (Official website | iTunes)

giovedì 5 aprile 2012

Disco del Giorno 05-04-12: Sweet Diss and The Comebacks - Emerald City Love Song (2012; autoprodotto)

E poi, come sempre, rimani sorpreso. Ascolti due-trecento dischi nuovi ogni anno, la maggioranza dei quali appartenenti alla grande famiglia pop, da almeno quindici anni. Com'è possibile che Emerald City Love Song sia il secondo album di Sweet Diss And The Comebacks? E il primo? Com'è potuto passare inosservato sotto al naso dei nostri potentissimi radar? Perché poi ci pensi, e ti dici che se hai mancato una band così, chissà cosa (e quanto) d'altro ti sei perso. In attesa di fare ammenda tentando di recuperare il primogenito, prepariamoci a tessere smisurate lodi nei riguardi di Nate Reinauer e della sua seconda creazione; un disco, pop nel senso più rotondo del termine, che si candida fin d'ora ad occupare una posizione di prestigio nella classifica sui migliori LPs dell'anno corrente.

Seattle ci ha sempre abituati bene, sfornando pop bands seminali in quantità, sin da quando la città degli smeraldi, appunto, era famosa più per le camicie di flanella e l'angst esistenziale che per le Rickenbacker e i sintetizzatori vintage. Sweet Diss perpetra la tradizione dedicando idealmente l'album alla città d'origine, disegnandone quadretti di vita quotidiana ed installando addirittura, sul finire del disco, una suite in sei episodi denominata Seattle's Best. Nate e soci prediligono il color pastello, non lesinano sul coefficiente di zuccheri nelle loro canzoni, esibiscono sublimi e studiatissime performance vocali e, insomma, scrivono alla grande. In una parola? powerpop, come dev'essere inteso un album powerpop ai giorni nostri, in tutti i sensi. Basterà poco per capirsi, diciamo i primi novanta secondi del disco, occupati da Twenty-Something, geniale e dolcissimo bilancio post-adolescenziale impiattato acappella che, come una potentissima calamita, imporrà massima attenzione sulla grande opera pop che sta per iniziare.

La prima traccia vera e propria, Never Stop Wooing You, è altamente rappresentativa dei concetti sovraesposti, con le sue sfrigolanti chitarre, il balletto tra strofe e ritornelli istantaneamente orecchiabili ed un'incredibile capacità di farsi canticchiare subito dopo il primissimo ascolto, alla maniera di altre top-pop-bands statunitensi degli ultimi quindici anni come Rosenbergs e Sparkwood, solo per rendere un'ancorchè approssimativa idea. E se come al solito, essendo al limite un pizzico patetici, dobbiamo protestare come vecchie zie rimembranti i bei tempi in cui canzoni come queste sarebbero state facilmente 45 radiofonici, dobbiamo dire che simili rimostranze sono quantomai calzanti applicate ad un disco come questo ed a stupefacenti brani come Maybe Someday, più veloce e più collegiale, diciamo un giusto mix tra i primi All American Rejects ed i grandi e dimenticati Ultimate Fakebook; come Dear Small Town, rappresentante la cosa più vicina ai Silversun che mi sia capitato di sentire ultimamente; soprattutto come il manifesto Hey Indie Girl, ballata mid tempo un po' Weezer che ospita la frase “You're into folk, and i'm still playing powerpop”, un breve enunciato per un oceano di divergenze concettuali tra due mondi mai come oggi distanti anni luce.

Il resto del disco rimane su altissimi standard con You Make My Day e l'idea di un soleggiato ed acustico west coast sound reinterpretato, però, da bands europee come Ricky e Thrills e poi con Kmk, saltellante storiella cinematica segnata da profondi legami affettivi con Harry Nilsson, Randy Newman e il più recente Mark Bacino. In fondo, come anticipato, spazio al Seattle's Best, sei episodi a comporre una geniale suite un po' pop, un po' musical broadwayano dove spicca Subliminal Girl, forse l'episodio più riuscito di un disco esplosivo, a far immaginare una bizzarra e detonante collaborazione tra Ray Davies in modalità menestrello e Roger Manning dopo i Jellyfish.

Non si fosse capito, siamo in odore di alta top ten in un anno, tra l'altro, che giunto appena al suo primo quarto di vita ha fatto intendere che ci sarà ressa in zona medaglia, alla fine. Ogni fanatico di powerpop dovrebbe già aver capito tutto, perché trattasi di disco che sarà oggetto di discussione per molti anni a venire. Gli altri si accodino, non se ne pentiranno.

NB: Il disco è stato realizzato "fisicamente" solo in Giappone. Nel resto del mondo, per ora, Emerald City Love Song è reperibile in formato digitale su iTunes.