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mercoledì 30 maggio 2012

Disco del Giorno 30-05-2012: Squires Of The Subterrain - Sandbox (2012; Rocket Racket)


Già presentato al pubblico di Under The Tangerine Tree qualche anno fa, ai tempi dell'uscita di Feel The Sun, riecco tra noi Christopher Earl. Padre dell'ennesimo album in una discografia interminabile sotto le insegne Squires Of The Subterrain, il buon Chris, dopo aver speso una carriera a giocherellare con i Beatles, decide in questo nuovissimo Sandbox di inseguire il sogno dell'unico gruppo che sia mai stato capace di gareggiare con i Fab Four. Il nome dell'album dovrebbe darvi rassicuranti risposte e farvi intendere che, se dei Beach Boys avete amato tutto, l'ultimo Squires Of The Subterrain rappresenta qualcosa che non potrete in alcun modo non mettervi in casa.

L'ironia di cui il buon Chris ha riempito i testi di una vita è una delle poche liaisons con il suo passato di autore pazzerello, mentre il resto è un safari tra le sonorità che, dall'inizio alla fine, riempirono la carriera di uno dei nostri gruppi-faro. Idling The Sun e Surfin' Indiana, in apertura, sono un sentito omaggio alla fase inaugurale, quella più frivola e danzereccia, dell'epopea beachboysiana, ma chi si aspettasse un percorso strutturato sui canoni ortodossi di Barbara Ann e Fun Fun Fun sbaglierebbe di grosso. Il fulcro dell'album, nonché la sua parte più interessante, infatti, si diletta ad amoreggiare con il Pet Sound pieno, trasognato ed illuminante che, senza  timore di equivoci, permea le varie (I Still) Mow Your Lawn, Fun House e Lisa's Tower, mentre altrove, con tonalità neanche troppo differenti, sono colorate Endless Winter, vagamente cinematica e davvero brillante nella sua sgargiante produzione, e soprattutto The Cheatin' Gibson Girl, sofficissimo midtempo felicemente narcotizzato da suadenti raggi ultravioletti che della storia nulla stravolgono e tutto il meglio prendono.

Ogni tanto, durante il tragitto, si divaga anche: la vaga psichedelia di Woodrow Wilson in questo senso è un esempio; gli allucinati arrangiamenti vocali imposti a Rising Water un altro. Pur tuttavia, la conclusiva For Five Minutes There ci riporta sul tema principale, ancorando la fine all'inizio e facendo capire che, non fosse ancora chiaro, gli amanti di tutto ciò che riguarda l'enciclopedia Wilson-Love dovrebbero smettere di leggere ed acquistare una copia di Sandbox subito.

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martedì 22 maggio 2012

Disco del Giorno 22-05-12: The Lemon Clocks - Now Is The Time (2012; Jam)


Dove c'è Jeremy Morris, per gli amici semplicemente Jeremy, tendenzialmente c'è un disco che vale la pena di ascoltare. Si, ma quanti ne ha registrati? Tra lavori solisti e progetti paralleli, discografia molto più che chilometrica per uno dei leader indiscussi della scena powerpop mondiale; proprietario della seminale Jam Recordings e, dice chi lo conosce bene, uomo extraordinaire. Stavolta i nomi dei compagni d'avventura sono più o meno noti, e dietro allo psdeudonimo Lemon Clocks si celano Todd Borsch (esperienze per lui in Gilligans e Ringles) e Stefan Johansson (già azionista di maggioranza nella Proper Electronic Company), per un viaggio lungo tredici tracce dedicate anima e corpo alla memoria del quadriennio 65 / 69, senza che sia necessariamente un genere solo a prendere il sopravvento.

Now Is The Time è, in effetti, un tributo più al periodo che ad un univoco stile musicale. Certo, le Rickenbacker dominano e, per ovvia conseguenza, le nenie jangle la fanno da padrone. Younger Than Yesterday attitude, verrebbe da dire, ed in effetti il tema principale è quello, basti ascoltare le varie The Bright Side e Catch You When You Fall per intendersi, e non solo. Preso il concetto un pò alla larga, e neanche troppo, scopriamo di studiare sullo stesso manuale quando parte Garden Of Eden, azzeccato primo capitolo che coniuga il jingle jangle d'ordinanza con più decise armonie vocali di stampo evidentemente Hollies, mentre la ritmatissima e saltellante Gum On My Shoe è una gradita parentesi che sarebbe stata alla grande su Kinda Kinks ma, ripetiamo, di parentesi si tratta. Perché il meglio Jeremy lo regala nei lenti e vagamente malinconici momenti folky pop della title track, guidata da voci perse in una sorta di tempo senza tempo, e di The Man Who Lost The Time, probabile miglior canzone del disco.

Se la seconda metà dei sixties è il vangelo, non potevano mancare estensioni temporali nascoste qua e là. Occasionalmente, certo, ma con estrema sapienza nel maneggiare la materia. Dunque, se ci si poteva aspettare una surriscaldata ed intensa chiusura con Lemon Clock Land, più inaspettata giunge, giusto in traccia due, l'allucinata suite Rainbow Bridge che, almeno a livello di concetto, pare una novella Interstellar Overdrive reinterpretata con l'etica ed il piglio dei Traffic di John Barleycorn Must Die. Il tutto, nel caso ancora non fosse chiaro, concorre a fare di Now Is The Time uno degli album must di quest'anno, se la musica pervicacemente retrò è ciò di cui avete bisogno per rendere migliori le vostre giornate. 

sabato 12 maggio 2012

Disco del Giorno 12-05-2012: David Myhr - Soundshine (2012; Lojinx)


Uno di quei momenti importanti per davvero, da segnare sul calendario di casa per ricordarsi di festeggiare la ricorrenza negli anni a venire. Per calendario si intende il calendario powerpop; la data da ricordare è il giorno d'uscita di Soundshine, prima opera da solista firmata David Myhr. David chi? Una leggenda vivente, anima e mente dei Merrymakers, negli anni '90. Specificazioni non ne dovrebbero servire, se state leggendo questo blog, ma a scanso di equivoci, ed esprimendo un parere del tutto personale ma credo condivisibilissimo ed in effetti condiviso da moltitudini di poppers, la banda svedese di cui sopra, oltre ad aver raggiunto un successo internazionale di discreta portata verso la fine degli anni '90, incidendo l'epocale album Bubblegun rimarrà per sempre nella capitolo dedicato alle autorità, quando gli storici del futuro commenteranno i migliori gruppi del secolo scorso.

Ce ne ha messo di tempo, David. Dal 1998, ultime esalazioni dei Merrymakers, quattordici anni di gestazione, passati a raccogliere successi per interposta persona; producendo, arrangiando e scrivendo per procura e, di tanto in tanto, sedendosi alla scrivania per ricordarsi di avere un'ambizione privata. La pazienza, si sa, è virtù d'eccellenza, è ciò di cui oggi possiamo godere ascoltando Soundshine ci basterà per chissà quanto tempo. Che sia tra i migliori dischi dell'anno, lo si capisce subito. Con l'apertura, affidata alla portentosa ballata Never Mine, un turbinio beatlesiano trapunto di coretti dolcemente petsoundeschi da far girare la testa. E, per completare immediatamente il violento uno-due-tre da kappaò tecnico, mr Myhr ci aggancia Looking For A Life e Got You Were He Wanted, i due singoli estratti dal disco. La prima, nelle vesti di perla assoluta dell'album, è una deflagrante bordata sospesa tra il jangle puro e certe sonorità c86 d'annata; la seconda, adornata da sfiziosissimi coretti femminili nel ritornello, è più bizzarramente ancorata a certe  reminiscenze ELO che non di rado popolavano i frammenti più esibizionisti nelle canzoni dei Merrymakers.

Basterebbe, e avanzerebbe, quanto detto per fare di Soundshine un disco imperdibile, tutto il resto serve per renderlo indispensabile. Se la chiusura, affidata a Ride Along, fa l'ideale paio beatlesiano con l'apertura Never Mine, Cut To The Chase e Wanderlust aumenteno il tasso adrenalinico ed il coefficiente emozionale con il loro spedito uptempo di base ottantista. David è un genietto, perciò riesce meravigliosamente bene anche in versione smoking-voce-archi nella temeraria e meravigliosa The One e, di conseguenza, non fa certo fatica ad infilare altre due gemme assolute come I Love The Feeling, delizioso sunshine pop da esempio accademico, e come Get It Right, canzone che fa naturalmente pensare all'autore steso sul divano intento ad ascoltare per ore ed ore Woodface dei Crowded House.

Sarebbe semplice chiedere a David di non farci aspettare altri quindici anni. Troppo semplice e, almeno stavolta, anche sbagliato. Perchè in Soundshine ci sono talmente tante cose da nutrircisi per anni e il primo album di David non merita di essere fagocitato velocemente dalla storia. Lo abbiamo scritto ed ora lo sottolineiamo: ascoltate e riascoltate, perché difficilmente ritroverete lavori di questo calibro durante l'anno, e chissà per quanto tempo a venire.

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