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giovedì 24 settembre 2009

Disco del Giorno 24-09-09: Marc Carroll - Dust Of Rumour (2009; High Noon)

Dopo aver salutato con estremo piacere il ritorno sulla scena di David Brookings, ecco che un'altra faccia molto nota torna a farsi viva dopo quattro anni di giustificata assenza. Stiamo parlando di Marc Carroll, stimato cantautore Dublinese giunto al quarto album di studio dopo i superbi Ten Of Swords (2001), All Wrongs Reversed (2003) e World On A Wire (2005). Negli ultimi quattro anni Marc ha dovuto ri-organizzare nuovamente la propria vita e così, dopo la lunga parentesi da residente a Londra ha esercitato l'opzione Americana, trasferendo armi e bagagli a Los Angeles. "Una città assolutamente particolare, che mi ispira moltissimo", ha di recente dichiarato Carroll, che ha concepito e partorito Dust Of Rumour interamente nel tepore della California meridionale. Non che le sonorità di questo nuovo album risultino particolarmente influenzate dal clima, che a Los Angeles tende ad essere decisamente più mite rispetto alla costa Irlandese, e se David Brookings vedeva il bicchiere mezzo pieno, bisogna dire che Carroll, invece, lo vede mezzo vuoto.

C'è infatti un feeling agrodolce che si estende sul disco, nonostante il mantra quasi propiziatorio di Love Will Rule Our Hearts che lo apre. Le liriche sono pregne di turbamento o, meglio, di riflessioni profonde, che si propagano senza sosta soprattutto nei brani più lenti ed intimisti. Always, per esempio, è un folk in qualche modo reminescente della tradizione celtica, scuro ed ossessivo così come Against My Will, sofferto e desolato lento punteggiato da malinconici archi. Non che Carroll si limiti a questo, sia chiaro. Perchè le qualità che lo hanno reso un grande jangleman sono ancora presenti in forze. Così non sorprendono grandi brani di ispirazione Byrds come Now Or Never, dove torna alla memoria il Bobby Sutliff più introspettivo oppure come You Just Might Be What I've Been Waiting For, altra perla jangle questa volta piena di speranza e di ingegnose soluzioni vocali tipiche di certi Teenage Fanclub.

What's Let Of My Mind, splendidamente adagiata su un tappeto sonoro in bilico tra west coast sound ed Americana, si guadagna la palma di brano con il miglior ritornello del disco, ricordandoci perchè Carroll sia un autore approvato anche da alcune leggende viventi come Dylan (rimasto talmente impressionato dalla cover di Gates Of Eden che Carroll registrò anni fa da inserire un link per il download sul proprio sito ufficiale) e Brian Wilson (toccato nel profondo da un indimenticabile brano chiamato Mr. Wilson che Marc, quando ancora suonava negli Hormones, gli dedicò). Non sono queste, penserete voi, le cose decisive per valutare un artista. Forse avete ragione, ma raccomandazioni tanto altolocate dovrebbero essere sufficienti a consiglirvi l'ascolto non solo di Dust Of Rumour, ma di tutta la discografia di Marc Carroll, giusto?

domenica 13 settembre 2009

Disco del Giorno 13-09-09: David Brookings - Glass Half Full (2009; autoprodotto)

David Brookings lo seguo da anni, precisamente dai tempi di The End Of An Error, secondo dei cinque album messi al mondo in otto anni dal prolifico autore di Memphis, Tennessee. Perchè mi sta simpatico, molto simpatico. Come non voler bene al faccione sorridente e paffuto che ci guarda dalla copertina di Glass Half Full? Impossibile. Ed è impossibile, forse addirittura disumano, non rendere l'onore delle armi ad un lavoro che fin dal titolo è un manifesto dell'ottimismo, del nonostante tutto, della joie de vivre.

Rispetto al predecessore Obsessed, immatricolato nel 2007, Glass Half Full è diverso soprattutto nelle liriche, che poi sono la fotografia dell'evoluzione di un uomo. Così è normalissimo, persino ovvio, passare dalla fine di un errore e dalle aspre - ancorché melodiche - liriche di "Go Away" (era il 2003) al periodo transitorio del bellissimo Chorus Verse The Bridge (2005). E se nel periodo Obsessed ci cantava "I'm Not Afraid" ora si capisce il perchè. David è un uomo completo, con tanto di moglie e figlioletto, come si intuisce ascoltando il mid-tempo della docile I Wish I Could Be With You, quasi un Ryan Adams periodo Gold in versione poppy, dove David, candido, narra della necessità di ingaggiare una babysitter. Così, l'eterno ragazzo che soleva lavorare come guida turistica ai celeberrimi Sun studios di Memphis (dove il disco è stato prodotto insieme a James Lott) è approdato a quello che probabilmente è il suo disco migliore per ora.

Ovvio, nessuno si aspetti rivoluzioni di alcun tipo. Perchè David è fatto così, docile, premuroso e dotato di spiccata sensibilità pop. Con una predisposizione a rendere luccicanti cose semplificate fino all'osso che lo rende unico. Un maestro della rima baciata, libero docente nel corso di canzoni sentimentali comparate. Del resto, non si può chiedere a uno così di diventare un duro, non avrebbe nessun senso. E probabilmente, in tal caso, non avremmo l'opportunità di cogliere germogli popolari come quelli che Brookings è in grado di seminare, garantendo per giunta un raccolto di pregio ogni due anni, tassativamente.

David anche questa volta è stato di parola, e di gustosi omaggi Half Glass Full è colmo. Don't Wake Me Up, per esempio, è tipico Brookings. (Power) pop dalla buona lena, dal cantato scanzonato e sognante al medesimo tempo, dalle chitarre leggere leggere per un feeling generale estremamente melodico ed "umano". This Time It's For Real è uno degli episodi migliori della discografia del cantautore di Memphis. Che rilancia, senza sforzo, buttando nel mazzo la sostenuta e valorosissima We Never Ever Spoke Again, un altro fantastico mid tempo come Love Goes Down The Drain ed un paio di lenti imperdibili come Flashlight Love e la consapevole Getting Older che, conoscendo David, sarà un ottimo tramite verso il prossimo disco di studio, atteso per l'autunno del 2011. Perchè ad alcune certezze è bello affezionarsi, ed è bello sapere che, comunque vada, personaggi come David Brookings difficilmente tradiranno quello che ci si aspetta da loro. Dedicategli un pezzettino del vostro cuore.

martedì 1 settembre 2009

e.p. del Giorno 01-09-09: The Offbeat - To The Rescue (2009; autoprodotto)

Il ritorno degli Offbeat, dopo il grande ed omonimo album di debutto recensito da UTTT lo scorso anno, porterà senz'altro una fresca ventata di gioia a tutti coloro che, come noi, si cibano quotidianamente di sixties pop di categoria. Diciamo a chi non lo sapesse, e ricordiamo a chi non ricordasse, che gli Offbeat sono un terzetto britannico composto da Tony Cox, ossia l'autore dell'ottimo lp intitolato Unpublished e recensito su queste pagine qualche mese fa, Darren Finlan e Nigel "prezzemolo" Clark, già frontman dei Dodgy e voce solista prestata proprio al compare Cox per il suo album di debutto.

Tutti i lettori più legati all'album d'esordio della band ricorderanno quel lavoro come un incrocio perfetto, riuscito ai limiti del miracoloso, tra il merseybeat più sentito ed emozionale dei club underground di Liverpool nel 1965 ed il miglior sunshine pop in voga nello stesso periodo. To The Rescue, che così a prima vista sarà uno degli extended play dell'anno, segue le stesse coordinate e iscrive di diritto gli Offbeat nel firmamento dei migliori gruppi modern-sixties del panorama internazionale, se è vero com'è vero che due indizi fanno quasi una prova.

E' She Can Make The Sunshine ad aprire il dischetto, e lo fa in maniera superba attingendo dal repertorio mid-Beatles, con un occhio di riguardo volto agli egregi arrangiamenti vocali che ne fanno un gradevolissimo brano da sing along. Someday Somehow, con il suo stomping beat, riporta a certe eccitanti sensazioni pre-garage, mentre il jangle-powerpop di Something About The Girl spinge facilmente il brano tra le cose più orecchiabili uscite quest'anno. Blue Sky, colma di supremo mersey/sunshine sound, è il brano più simile a quelli presenti tra i solchi del disco d'esordio e ha tutte le caretteristiche del "marchio di fabbrica", mentre il pop della conclusiva You & Me è arricchito da apprezzabilissimi aromi psych.

Non ci resta che ribadire quanto abbiamo detto ai tempi del loro album d'esordio: se dei Beatles e del sixties vocal pop avete fatto un credo, l'acquisto di To The Rescue è obbligatorio. Aggiungo che mi sembra di intravedere notevoli passi avanti a livello sia vocale che compositivo, quindi tirate voi le somme.