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lunedì 26 ottobre 2009

Disco del Giorno 26-10-09: various artists - Souvenirs: Little Gems of Pop (2009; Sound Asleep)

Non sono mai riuscito a capire bene perchè gli anni 80 si prestino quasi esclusivamente ad interpretazioni ambigue. E'vero, sotto molti punti di vista gli eighties sono stati un fenomenale serbatoio di monnezza. Ma se si parla strettamente di musica, il discorso cambia. Voglio dire, i gruppi new wave dell'epoca in molti casi hanno mietuto successo e consensi più che giustificati. Il grosso problema è che troppa poca gente era a conoscenza di quanto succedeva negli scantinati di tutta America, sotto i primordiali McDonalds dove si accresceva l'inquietante fenomeno del paninarismo più edulcorato e superficiale. Lì, all'ombra di un mondo artistico che iniziava ad essere infame e votato più che altro ai soldoni del music biz, giovani congreghe senza alcuna speranza di agguantare il benché minimo successo si davano da fare e concretizzavano ciò che gente come Alex Chilton, Eric Carmen e Pete Ham aveva concepito dieci anni prima. Nasceva il powerpop consapevole di esserlo, anche se di "scena" vera e propria non si poteva parlare, vista la frammentazione estrema di cui era oggetto il fenomeno.

Il powerpop è sempre stato un genere di nicchia e, diciamocelo, anche un pò sfigato. In fondo, però, a noi che ne siamo cultori la cosa è sempre piaciuta e quando critichiamo i media di settore che non se lo filano lo facciamo quasi a bassa voce, perchè un pò siamo gelosi della nostra cultura e abbiamo una paura fottuta che qualcuno, intravvedendone le elevate potenzialità radiofoniche, ne abusi e, infine, rovini il nostro giocattolo. Forse è anche a causa (o grazie) a ragionamenti di questo tipo che il pop chitarristico è sempre rimasto nelle cantine e nelle camere da letto, in piccoli club e minuscole fanzines, con poche notabili eccezioni, nonostante tutto. Così è sempre una scoperta. Una gioia immensa. Un pozzo senza fondo. Tutti i giorni, volendo e studiando il giusto, si possono scoprire bands antiche mai sentite, in massima parte autrici di qualche singolo oppure di uno o forse due dischi, spesso stampati in pochissime copie e quasi sempre soggetti a vendite risibili. Il perchè non lo capirò mai, ma tant'è.

Per fortuna, a partire dalla metà degli anni '90, è sorto nella sparuta comunità powerpop il fenomeno delle compilations retrospettive, tutte intenzionate a dare nomi, volti ed ascolto a centinaia e centinaia di gruppi che definire minori sarebbe già un'esagerazione. Di grandi esempi ne abbiamo parecchi: i quattro volumi di Yellow Pills, giusto per citare la serie più "famosa". Oppure Poptopia, Bam Balam Explosion, Powerpearls e via dicendo. Oggi, dal profondo Nord, la sublime label svedese Sound Asleep, da quindici anni attiva nel supporto al migliore rock'n'roll melodico, ha messo assieme una mirabile raccolta di ventuno brani, contenenti alcuni geniali esempi dei vari frammenti che componevano il movimento powerpop nei meravigliosi anni 80. Il nome è azzeccato: Souvenirs, Little Gems Of Pop. Senza esagerare, di gemme qui ce ne sono a palate. Gruppi pop letteralmente enormi come Three Hour Tour, Choo Choo Train (i futuri Velvet Crush), Beatosonics, Jimmy Silva e i Pointed Sticks (presenti con l'inedita All My Clocks Stopped) si affiancano a personaggi meno conosciuti ma di grande talento come Hector, Flying Color, 2 Minutes 50 e a valorosi rappresentanti della scena post-mod dell'epoca come Manual Scan, Wishniaks e Leatherwoods in un festival che è pura essenza indie-powerpop anni 80 di primissimo livello.

Bisogna dire che Jerker Emanuelson (il titolare della Sound Asleep) ha fatto un grandissimo lavoro e che la selezione delle canzoni è sublime. Ad accrescere l'interesse concorre il fatto che parecchi brani siano tratti dai vinili originali conservando il suono caldo, l'emozione forte e la passione propria dell'epoca in cui furono incisi. Non approfittare di un'occasione del genere, quando ad un prezzo equivalente al costo di tre birre medie potete mettervi in casa una raccolta di questo tipo, sfiora il criminoso. Questi gruppi, questi grandi artisti dimenticati dalla storia, sono un piccolo manifesto di una scena fondamentale, un periodo d'oro che nel suo piccolo ha fatto scuola pur continuando a restare nascosto nella dolce penombra che alla fine un pò ci piace. L'interno del libretto contiene tanto di prefazione a cura di Bruce Brodeen della Not Lame, e qualcosa vorrà pur dire. Da ascoltare a volume sostenuto, magari in macchina cantando a squarciagola i ritornelli durante lo stop al semaforo mentre gli estranei, come consuetudine, vi guarderanno allibiti manco foste alieni. Il powerpop, che invenzione meravigliosa.

lunedì 19 ottobre 2009

Disco del Giorno 19-10-09: Strangefinger - Into the Blue (2009; Side B Music)

Sembra ieri, eppure l'estate è ormai finita da un pezzo. Come avrete notato, quest'anno il blog viene aggiornato abbastanza di rado, ma non è colpa mia, giuro! Tra impegni e casini vari mi ritrovo a recensire Into the Blue, disco d'esordio degli Strangefinger, fuori tempo massimo. Vi state chiedendo perchè? Sarà il titolo, oppure la copertina dell'album, probabilmente la brezza oceanica che si respira ascoltando il disco. Sarà quel che sarà, ma a me Into The Blue fa venire in mente l'estate. Occhio però, non vorrei essere frainteso. L'estate che si respira non è quella pregna di giustificati sentimenti frivoli di Surfin'USA. Piuttosto, siamo nel mezzo di una serata sulla west coast, dove la raffinata atmosfera marittima porta alla memoria sublimi convivi in compagnia di Steely Dan, Peter Frampton e dei Jellyfish più sognanti e meno barocchi a cui possiate pensare.

Strangefinger è la band messa assieme da Fred Lemke, passionale autore californiano che per realizzare questo disco ne ha dovute passare di tutti i colori, tra mancanza di fondi e varie vicissitudini personali che ad un certo punto pare lo abbiano spinto a vagabondare senza casa per un breve periodo. Ah, il romanticismo della musica! In realtà Fred in qualche modo il disco lo aveva pure realizzato, con produzione all'osso e mixaggio artigianale. Era il 2005 ed i più attenti tra di voi ricorderanno un album accreditato ad un certo "Fred" ed intitolato Sound Awake. Ebbene, quell'opera rispunta ora nella sua completezza (con un diverso mixaggio, un differente ordine delle tracce e l'aggiunta di alcune canzoni al posto di altre) grazie all'intervento risolutivo della Side B Music di Jerry Boyd, un'etichetta che grazie ad uscite fantastiche come i dischi di Chewy Marble e Chris English sta entrando nel novero delle labels garanzia di qualità. E non è finita, perchè i patimenti di Fred meritavano una giusta ricompensa. Alla regia di Into The Blue è infatti seduto Chris Manning dei Jellyfish, e credo sia superfluo aggiungere altro.

Le aspettative vengono ripagate in pieno da un disco di sostanziale piano pop di rara grazia, passione ed eleganza, brillantemente suonato e dalle superbe armonie vocali dove le tracce, per intelligente scelta "fuse" l'una all'altra, formano un'opera pop tra le più sofisticate dell'anno. Apre Sleep, drammatico pop per pianoforte dove c'è tutto Fred Lemke, in un mondo con troppe domande e risposte troppo fragili. E si prosegue con Tease, che insieme alla godibilissima Sunshine Between forma un'accoppiata jazzy pop di grande valore dimostrativo. La fase Jellyfish è incastonata tra le tracce tre e quattro: Good Night, che a dispetto del titolo è un vivace frammento che sembra estratto dalla colonna sonora di un musical e la spettacolare Piscettarius, che potrebbe essere tranquillamente scambiata per un pacato outtake di Bellybutton. Interessante, molto interessante, anche la naturalezza con cui Lemke riesce a rendere coese, grazie alle emozioni, due brani consecutivi dagli standard opposti come Colored In Snow, una disperata e sensazionale ballata, e Fuck You Stars, unico brano davvero rock del lotto dove Frank si ribella aspramente a madre, padre, lavoro e tutto ciò che gli sta attorno.

Ce ne sarebbe abbastanza per dare ad Into The Blue un bell'otto in pagella, ma non è per niente finita qui. Perchè prima che Moonshine - un minuto e mezzo di profonda riflessione strumentale - chiuda il disco, c'è spazio per altre tre piccole gemme come Sugar ed il suo mid-tempo pieno zeppo di soul, come Two Angels, stupenda ballata dalle tinte Dan/Frampton e come il super-singolo There's An Ocean, che potrebbe anche ricordare i Fastball calati nei seventies più soleggiati.

I più ingordi sappiano che oltre alle tredici tracce dell'album sono incluse anche le versioni radio-edit di Sleep, Piscettarius, System To The Grind, Two Angels e There's An Ocean. Più di così non so che dire, e se ancora non vi ho convinto non c'è altro che io possa fare. Se non raccomandarvi calorosissimamente un album in smoking che rappresenta il top dell'eleganza per questo duemilanove.

mercoledì 7 ottobre 2009

Live! Paul Collins' Beat + Radio Days (Oste, Domodossola, 04-10-09)

Domenica scorsa, il 4 Ottobre, si è verificato quello che per sempre ricorderò come l'evento dell'anno 2009. All'Oste di Domodossola ha suonato Paul Collins. Si, quel Paul Collins. Ovviamente, tutti i lettori di questo blog conosceranno come le proprie tasche uno dei padri del powerpop, personaggio seminale che per molti di noi rappresenta una vera e propria leggenda vivente, e se pensate che stia esagerando non so cosa farci.

Quando lo scorso Aprile Giulio, il proprietario del locale, accennava alla possibilità di "strappare" una data del tour Italiano di Paul, sono semplicemente rimasto basito. Quando poi, passate alcune settimane, detta possibilità si è trasformata in ufficialità, ho cominciato a contare i giorni che ci separavano dall'incredibile evento. Mancavano cinque mesi o forse più. E dire che avevo già avuto la fortuna di vederlo all'opera nell'Ottobre del 2008 al Taun di Fidenza, durante il suo mini-tour Italiano dello scorso anno. Ma stavolta era differente. Paul Collins, uno dei miei eroi, avrebbe suonato nel locale dove sono cresciuto, dove ho visto decine di concerti, dove ho passato centinaia di serate. In quella che si può tranquillamente definire la mia seconda casa. La chiusura del cerchio, ho pensato. Poi il giorno è effettivamente arrivato e, in un anticipo Fantozziano, mi sono messo ad aspettare il momento in cui avrei iniziato a mettere i dischi nel pre-show.

Paul Collins, la sua band ed i Radio Days sono arrivati intorno alle 17.30. A Fidenza, lo scorso anno, non avevo avuto modo di parlare con Paul. Stavolta, invece, vista l'atmosfera tranquilla e "casalinga", ho potuto constatare come sia possibile essere contemporaneamente eroi e persone estremamente gentili e disponibili. Fatto non trascurabile, visti gli atteggiamenti da star di alcuni musicanti odierni privi di storia e dotati di talento infinitamente inferiore. In ogni caso, verso le 18.30 ho potuto iniziare la serata, concedendomi per una volta una selezione prettamente powerpop. Nel frattempo, nel contesto di un aperitivo colossale, il locale ha iniziato a riempirsi e circa tre ore dopo i grandi Radio Days hanno preso possesso della scena.

Essendo stata quella di domenica l'ultima data del tour, mi aspettavo che i ragazzi fossero completamente svuotati di energie. Mi sbagliavo. Stravolti si, ma autori di una grande performance che nulla lasciava intendere in proposito. Anzi, se devo essere onesto, mi sono sembrati persino migliorati rispetto al concerto (sempre all'Oste) dello scorso Marzo. Gli impasti vocali sono ormai rifiniti a puntino e la band suona coesa e compatta. Sempre belli i vecchi pezzi del repertorio "Midnight Cemetery Rendezvous" come Don't Keep Me Waiting e i nuovi brani come I Belong To You, ormai sul punto di essere incisi, promettono estremamente bene. Ovviamente il gusto per la cover ad effetto non è in discussione, così I Wanna Be Your Boyfriend di Avril Lavigne, oops dei Rubinoos, ha scaldato il pubblico a dismisura ed è stata il ponte perfetto da percorrere verso l'evento.

Saranno state le 22.30, forse le 23 o più tardi - ormai avevo perso la percezione di spazio e tempo - quando Paul Collins si è piazzato dietro al microfono. Imbracciata la chitarra, il vecchio Paul ha spazzato via tutti aprendo il concerto con Hangin' On the Telephone, il leggendario primo ed unico singolo dei Nerves divenuto un marchettone sbanca-botteghini grazie alla notissima cover di Blondie. Poi il delirio. In un'atmosfera carica di tensione positiva, dentro ad un locale piccolo, senza palco, stipato all'inverosimile di gente in festa, Paul Collins ed il suo gruppo hanno iniziato ad inanellare gemme senza tempo massimamente tratte dal suo primo ed omonimo album The Beat, uno dei grandi capolavori del powerpop mondiale. Così in rassegna sono passate le varie Walking Out On Love, Work-A-Day World, Let Me Into Your Life, Working Too Hard (già dei Nerves) ed un'incredibile I Don't Fit In durante la quale credo di avere versato anche un paio di lacrime. Per il resto Paul ha selezionato accuratamente fantastici brani tratti da album successivi come The Kids Are The Same (la title track del secondo album dei Beat), Hellen Hellen, Hey Dj (con tanto di dedica al sottoscritto!) ed una versione devastante di She Doesn't Wanna Hang Around With You, tratta dall'ultimo album di studio Ribbons Of Gold.

Come tutti si aspettavano e, diciamocelo, si auguravano, a chiudere il concerto nella bolgia più totale ci hanno pensato USA e l'anthem generazionele Rock'n'Roll Girl, giusto per infliggere il colpo finale alle corde vocali di tutti i presenti. Poi, richiamato sul palco, Paul ha eseguito alla grande When You Find Out ed un'estesa versione di Look But Don't Touch con tanto di ballerine chiamate dal pubblico.

Trovare le parole per le conclusioni è difficile. Molto difficile. Una serata magica, avvolta in un'atmosfera magica, dove ho respirato per due ore buone l'essenza del puro divertimento legato ad un concerto dal vivo. L'assenza di palco e il fatto che il pubblico fosse praticamente mischiato alla band ha fatto il resto. "Wow, no stage, this is what rock'n'roll is supposed to be about!", ha esclamato un entusiasta Paul Collins all'inizio dello show. Yes, Paul, this is rock'n'roll and we love it. We love you. Thanks, sir.