Quando il nome di una band dice sostanzialmente tutto; quando tutto il resto
è inchiostro più o meno sprecato. Perché basta così, basta quel tributo
stampato su una copertina graficamente inattaccabile per esprimere un trailer
d'intenzioni che difficilmente Andrew Holloy, Craig Vishek, Kent Bendall e
Graham Watson, i Budokan insomma, avrebbero potuto rendere più convincente.
Niente da nascondere, ed immagino che i lettori di questo blog abbiano
ampiamente inteso. Se Rick Nielsen e Robin Zender con la sua faccia d'angelo
erano i vostri idoli mentre i compagni di classe davano di matto per i Dead Or
Alive; se il vostro poster di riferimento in cameretta, accanto a quello di
Larry Bird e Magic Johnson, era il formato 70 x 30 con impressa la copertina di
In Color; se Surrender era un pò anche il vostro inno nazionale da ascoltare
con la mano sul cuore ed il dito al cielo...Ci dovremmo essere capiti.
I Budokan sono pregevolissimi autori di un tempestoso, caotico, saturo ed
entusiasmante bubblegum-rock suonato oltre il massimo ed interpretato come se
non ci fosse un domani. Nel frullatore, in generose dosi, ci finiscono, oltre
ai reali dell'Illinois, anche Replacements, Thin Lizzy, gli Undertones ed una
certa quantità di post punk americano di quello a cavalcioni tra i settanta e
gli ottanta. Queen's English, Saint Joan e All I Know Is
Rock'n'Roll ostentano l'ossessione stonesiana riconcepita concettualmente
ed affogata in una vasca da bagno colma di melassa gommosa e melodica, mentre è
durante brani quali Gone Back Home e soprattutto Kelly Green che in tutta la
loro essenza si palesano le muse ispiratrici primarie dei quattro di Vancouver.
I Redd Kross inselvatichiti della spaventosa Bastards Of Feel, il marciume
depravato della blueseggiante Don’t You Think It’s Sad ed il rock’n’roll
irresponsabile di The Right On Girl sono i (tanti) altri highlights di un disco
spudorato, prepotente e sconciamente melodico. Da perderci la testa, in
definitiva.
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