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venerdì 29 agosto 2008

Disco del Giorno 29-08-08: The Temponauts - A Million Year Picnic (2007; Teen Sound)

Lo abbiamo detto e lo abbiamo scritto. Da un pò di tempo a questa parte stiamo assistendo alla nascita di alcune ottime pop-bands Italiane. Quello che non mi aspettavo - perlomeno non in tempi così brevi - era di imbattermi in un gruppo come i Temponauts. Il combo guidato da Stefano "Pibio" Silva non è infatti un ottimo gruppo. E' un gruppo della madonna, passatemi il termine. Il loro album di debutto, chiamato A Million Year Picnic, avrebbe occupato una posizione di assoluto rilievo nella mia classifica dei migliori dischi usciti nel 2007 se solo ne fossi venuto a conoscenza prima, e nel nostro derelitto paese nessuno suona musica pop di ispirazione sixties come loro. Il loro sound è melodico, prodigioso e multicolore, e bastano i primi venti secondi dell'iniziale Toxic & Lazy per accorgersene. Da subito è tutto un esaltante turbinio di Rickenbacker, ritornelli indelebili ed eccezionali coretti uhuhu pa-ppa-ra che poche volte siamo stati abituati ad ascoltare da una band di nostri connazionali. La produzione, poi. Magnifica, grezza al punto giusto, satura, filologicamente ineccepibile. Il tutto concorre a formare un album tranquillamente in grado di competere con produzioni Americane assimilabili, e a metterne sotto un bel pò, senza ombra di dubbio.

A Million Year Picnic, come avrete capito, verte su sonorità spiccatamente jingle-jangle, di matrice "sessantista", con qualche divagazione nel garage pop e nel power pop classico. L'ispirazione tende in egual misura verso il Byrd-watching e verso il pop anglosassone e Scandinavo. Agli amanti del classico Swede-pop-sound dico: non perdeteveli per nulla al mondo. Captain Frustration assimila la pulizia armonica di favolose bands Inglesi contemporanee (mi vengono in mente i Ricky) e pone sotto la luce dei riflettori la splendida voce di Pibio, la cui timbrica ricorda in alcuni frammenti quella di Stuart Murdoch. Atomic Fire Sister è uno dei pezzi dove la fantasia multicromatica del cinque teste piacentino vira verso il powerpop classico, e il poderoso lavoro delle chitarre nonché i cori che non esiterei a definire angelici riportano il cuore e la mente ad uno dei miei gruppi powerpop anni Novanta preferiti , i Lolas di Tim Boykin.

Scegliere quali brani commentare risulta estremamente arduo, tanto la qualità globale è elevata. Men Of Dangerous Maybe profuma lontanamente di psichedelia ed appare come un estratto anfetaminico dei Byrds di 5th Dimension, mentre She's An Animal e That's How Strong My Love Is, due grandissimi episodi di matrice Rickenbacker-pop, hanno lo stesso stile e la medesima capacità attrattiva di favolose bands Svedesi come Tangerines, State Of Samuel e Rhinos, gruppi che io letteralmente adoro. La band di tanto in tanto sposta il tiro verso brani dal sound più grezzo e madido di istinti garage-beat come Not In The Morning e soprattutto la strepitosa Operation:Coroner, ma alla fine si torna sempre li, al grande party jingle-jangle, con sontuosi brani come Fuck You Everyone e la strabiliante Come Back Saturday, dove viene naturale scomodare il Gene Clark da ballata.

Quasi spiace dire che i Temponauts non sembrano nemmeno un gruppo Italiano ma, ahimé, dopo decenni di nefandezze prodotte ed ascoltate nel nostro paese, ormai è diventato un complimento. Probabilmente le cose cambieranno e anzi forse hanno già iniziato a cambiare, visto che un coraggioso manipolo di grandi gruppi sembra intenzionato a fare davvero sul serio. Con il vostro supporto, è possibile accelerare la strada che porta verso una nazione migliore. Non sprecate l'occasione.

lunedì 25 agosto 2008

Disco del Giorno 25-08-08: Gordon Weiss - Sum Of Its Parts (2008; autoprodotto)

"Le canzoni più belle sono state già scritte" e "nessuno inventa più nulla di nuovo" sono due tra le frasi più uilizzate da quella comunità di ascoltatori, altezzosi e fichetti, che provano un fastidio insopportabile udendo qualsiasi cosa che non sia ostentatamente alternativa e sperimentale, anche a costo di innamorarsi di robaccia e di sostenere tesi indifendibili. Orbene, Gordon Weiss da Hartford, Connecticut, è arrivato per dare loro qualche dispiacere. "I know you've heard this all before, ok so you can tell me what else is new" è la strofa che apre il primo brano del suo disco d'esordio. Come dire: so bene di non avere inventato nulla, ma non me ne potrebbe fregare di meno. Non è tutto. Perchè la suddetta canzone si intitola Fountains Of Weezer, che con il suo riff alla Stacy's Mom e le chitarrone college suona esattamente come ci si aspetterebbe. Per sottolineare il concetto, l'album si intitola Sum Of Its Parts. Niente di più appropriato, visto che il disco è davvero una summa di tutti i rivoli della musica pop che in qualche modo hanno influenzato l'autore.

Il disco, prodotto da quell'abilissima chioccia che è Jeff Cannata, è stato sostanzialmente suonato per intero da Gordon, ed è davvero derivativo, ma si tratta di un derivativo scritto ed eseguito con tatto, gusto e tanta tanta freschezza. I dodici episodi di Sum Of Its Parts stanno li a dimostrarlo. Se la traccia di apertura è un omaggio ai poderosi suoni che hanno reso celebri Chris Collingwood, Adam Schlesinger e Rivers Cuomo, Too Much è un energico spaccato di Stonesiana memoria, mentre It's Easy rivela la faccia più morbida di Weiss, per le aggraziate tinteggiature che ricordano in maniera del tutto naturale il soft rock di gruppi come Bread e America.

La traccia numero quattro fa annotare sul taccuino Elvis Costello come altra enorme fonte d'ispirazione per Gordon e, ancora una volta, è il titolo stesso a chiarirlo. Red Shoes Revisited, oltre ad essere di suo una gran bella canzone, è un degno "secondo episodio" di (The Angels Wanna Wear My) Red Shoes, ovviamente.

La scrittura di Gordon Weiss è solida dall'inizio alla fine di un disco che tende ad incedere in modo variegato e sicuro, ma se dovessi segnalare i momenti più significativi, oltre a quelli già descritti, mi soffermerei su Half Of Harry, che evidenzia la passione del Nostro per la british invasion ed esplode in una frenetica coda psichedelica, Hook, Line And Singer, in bilico tra country rock e rockabilly e Match Point, una sentita ballata per archi e pianoforte. Niente male anche la conclusiva Listening, una sorta di pop-soul come potrebbe essere soul il penetrante liricismo dei Crowded House.

Le conclusioni sono scontate, ma non posso evitare di rimarcare, ancora una volta, che troppe volte sono rimasto deluso da chi ha tentato di innovare ad ogni costo facendo il passo più lungo della gamba. E che, come al solito, le canzoni sono di gran lunga la cosa più importante. Quando compro un disco voglio ascoltare prima di tutto delle belle canzoni. Se poi ricordano cose già ascoltate cinque, dieci o trent'anni fa, non mi interessa assolutamente. E a Gordon Weiss importa ancora meno, credo.

mercoledì 20 agosto 2008

Disco del Giorno 20-08-08: Frank Barajas - Better Times (2008; Operation Big Beat Records)

Mi sono reso conto che in quest'ultimo periodo sto postando pochissimo, ma è estate un pò per tutti e i tempi sono diventati veramente blandi, quindi mi scuso con gli artisti che - confidando in questo blog per promuovere i propri lavori - mi hanno già inviato dischi. Prometto che con l'arrivo di Settembre darò una bella accelerata al tutto!

Fatta questa doverosa premessa con appropriate scuse di contorno, non posso esimermi dall'essere esaltato da un nuovo album che ho trovato qualche giorno fa nella mia casella delle lettere. Apro il pacchetto giallo recante il timbro dell'ufficio postale di Ventura, California, e dentro cosa ci trovo? L'attesissimo, nuovissimo, anticipatissimo secondo lavoro da solista di quel fenomeno di Frank Barajas! Nella comunità powerpop, il seguito dell'eccellente The White Room Sessions, pubblicato nel 2003, era dato per imminente sin dalla fine dello scorso anno, ma fino a due settimane fa, ossia fino all'apparizione sulla newsletter settimanale della Kool Kat Musik, non se ne erano più avute notizie. Fortunatamente Frank ha deciso di inviare subito una copia di Better Times alla redazione di Under The Tangerine Tree, e noi siamo onorati di essere uno dei primi (se non il primo!) blog a parlarne. E ne parliamo volentieri, visto che questo suo secondo lavoro da solista conferma e rafforza la splendida opinione che avevamo di lui.

Frank Barajas sembra abbia un solo obbiettivo nella sua carriera di musicista. Scrivere canzoni assolutamente "catchy", che acchiappino l'orecchio dell'ascoltatore al primo ascolto. Come tutti gli appassionati di musica sanno, le canzoni si dividono in due grandi categorie. Quelle che si amano dal primo istante e quelle che invece vanno lasciate decantare per un pò, prima di innamorarsene pazzamente. Un pò come avviene nelle storie d'amore. Frank appartiene al primo raggruppamento. E' un autore che non ha bisogno di essere studiato e riascoltato. Colpisce al primo istante, con brani semplici, diretti, efficaci e molto accattivanti. Suona e scrive pop puro, nel senso più arioso del termine. Better Times, Better Days e Fallen Stars appartengono a quella categoria musicale che gli anglofoni amano definire "adult/alternative", ossia quel format di canzone tipico da chart radiofonica con melodie talmente ostentate che non sarebbe errato (né denigratorio) definire mainstream e dei pompatissimi riffoni di chitarra a farne da base. In questi casi ci vogliono fegato e talento per non precipitare nel pacchiano, e Barajas ha una buona dose di entrambi. Anche se Better Days è notevole soprattutto per altri episodi.

Un esempio potrebbe essere l'azzeccato piano pop di Alone. Ma anche Without Sound, dove pare di sentire i Pernice Brothers impegnati in una cover dei Cheap Trick, non è niente male. O, ancora, potrei suggerire di prestare attenzione alle canzoni dove Frank sembra proprio che si senta a casa, come Town & Country e Apollo 13. Queste ultime, dove le note distintive sone le chitarre alzate a volumi disumani e le feroci e travolgenti melodie vocali, avvicinano il nostro a quel gruppetto di cantautori powerpop, come Johnny Monaco e Ari Shine, che allo stesso modo amano mescolare caos e armonia in dosi eguali.

I miei tre brani preferiti di Better Times sono altri, in ogni modo. Heartbreak Times è uno di questi, con il suo interessante e anticonvenzionale incrocio di classica pop music e assurde melodie caraibiche. L'altro è Roxy Street, una pallottola vaudeville condizionata dagli Everly Brothers intenti a musicare uno spettacolo di Broadway. E, infine, Neon Lights, probabilmente la chicca dell'intero album, è uno spettacolare brano denso di sonorità provenienti dalla tradizione americana, un moderno country'n'roll da ballo sfrenato che sul finale esplode in un'orgia di soul pagano.

Dunque, vediamo. Tracce deboli? Zero. Riempitivi? Neanche l'ombra. Divertimento? A palate! Dischi come questo, probabilmente, non saranno mai inseriti nella classifica di Billboard sui migliori 100 albums del secolo. Però, per passare un'oretta ascoltando ottima musica popolare, Better Times è perfetto. Speriamo che Frank non ci faccia attendere altri quattro anni per il terzo album...

martedì 12 agosto 2008

Disco del Giorno 12-08-08: The Doll Test - Mosque Alarm Clock (2008; Unsmashable Records)

I Model Rockets sono stati una delle mie bands preferite nel corso degli ultimi dieci anni e i nuovi progetti dei loro componenti sono sempre assolutamente all'altezza. Lo scorso Dicembre ci siamo occupati del nuovo gruppo del leader John Ramberg, i Tripwires, il cui esordio è stato uno dei migliori dischi del 2007, mentre oggi parliamo dei Doll Test, ossia la creatura degli altri tre membri dei Rockets. L'ennesimo gruppo eccezionale proveniente da Seattle ritorna ad un anno e mezzo di distanza dall'ep d'esordio Gasoline & Banks, e lo fa in grande stile. La band formata da Scott Five (voce e chitarra), Boyd Remillard (basso), Graham Black (batteria), oltre che da Nick Millward (altra chitarra), suona powerpop mai uguale a se stesso, potente ma non aggressivo, sospinto da grandi trovate melodiche e da canzoni che si collocano sempre abbondantemente al di sopra della soglia di sufficienza.

Rispetto all'ep d'esordio, credo che i Doll Test abbiano compiuto decisi passi in avanti a livello di songwriting, sia per quanto riguarda la parte strettamente musicale, sia per la stesura delle liriche, spesso caratterizzate da visioni poetiche, ironiche ed immaginifiche sull'universo delle relazioni interpersonali (The Bell The Map The Stars, Every Night You Break My Heart), sulla complessità del districarsi da una vita non proprio divertente (I'd Rather Be Asleep), ma soprattutto sulla politica ed in particolare sull'isterismo collettivo degli Stati Uniti post 11 Settembre (The Decider). Il tutto a vantaggio di uno dei più interessanti dischi usciti in questo generosissimo anno di grzia 2008.

I Doll Test attaccano con I'd Rather Be Asleep, una sorta di coinvolgente antipasto powerpop alla Sloan speziato da chitarre crunchy e proseguono con Everything's Fine, dal potente tiro ritmico e dalle melodie di voce (e di un gran farfisa nel finale!) che richiamano ancora gli Sloan, i New Pornographers e i grandissimi concittadini Shake Some Action!, mentre le crude chitarre sferraglianti fanno tornare alla memoria l'etica rock'n'roll di Who e Kinks. Fall Away, docile ballata acustica e discretamente jingle-jangle calma le acque, che vengono subito rimescolate da The Bell The Map The Stars, veloce powerpop "stoppato" e impreziosito da arpeggi di dodici corde Rickenbacker che ricorda un pò i primi Model Rockets. My Future Self è uno dei brani migliori dell'album, e richiama un classico Dylan in pieno trip spoken words posato su una base suonata dall'amico McGuinn. A suo modo, geniale, e il livello si mantiene bello alto anche grazie a Ballad Of Your Blue-Eyed Boy, che con garbo e tanto buon gusto si rifà inequivocabilmente al miglior Lennon post-Beatles.

Chi ha adorato (come il sottoscritto) i Model Rockets di Tell The Kids The Cops Are Here credo che adorerà il merseybeat proposta da The Last Rung, e chi - in generale - non riesce a fare a meno della propria dose quotidiana di musica Britannica si innamorerà di Shoot The Tambourine Man, ingegnoso trait d'union tra i tardi Beatles e il primordiale britpop. Amphetamine è abbastanza allucinata da ricordare un pò Young e un pò Barrett, e The Decider accompagna le liriche di lucida accusa politica ad un appropriato, potente sound debitore dei primi Stones. Mosque Alarm Clock (questo il titolo dell'album) si chiude in grande stile con One Lie Too Many, che parla la stessa lingua che quarant'anni fa rese immortali Who, Small Faces e Pretty Things.

I Doll Test arricchiscono, con un album sublime, la lista di pretendenti ad un posto nella top 10 di fine anno ed hanno ottime probabilità di farcela. Del resto, quando si punta su un Model Rocket, la quota della scommessa è bassa ma la vincita sicura. Mi obbligo personalmente a rimborsare gli eventuali insoddisfatti dall'acquisto del disco.

mercoledì 6 agosto 2008

Disco del Giorno 06-08-08: Doug Derek & The Hoax - Who The Hell Is Doug Derek? (2008; Kool Kat Musik)

Una storia uguale a tante altre. Quella di un manipolo di ragazzini Americani di vent'anni o poco più che decidono di formare una band sul finire dell'estate del 1980. Qualche live, dieci tracce registrate in studio, più altre undici nella cantina del cantante Doug Riccio. Un anno di vita, fine della storia. Nessuno, se non qualche parente o amico stretto, saprà di Doug Derek & The Hoax, quattro fanatici di powerpop emarginati dalla scena punk fichetta e new wave di New Haven, che furono autori di "alcune tra le più oscure e memorabili canzoni mai registrate in uno studio del Connecticut". Ventuno pezzi che, come millioni di altri, erano destinati a perire dimenticati su qualche nastro disperso e nella memoria dei membri della band. Fortunatamente, grazie alla passione del chitarrista e membro fondatore Michael Brochin, quei nastri sono stati riportati alla luce, e l'impagabile Ray Gianchetti, titolare dell'insuperabile Kool Kat Musik, non ha fatto mancare il suo fondamentale appoggio per stampare su cd "l'album che non fu mai tale", a ventisette anni di distanza dall'epoca in cui i brani vennero originariamente incisi.

I dodici pezzi che compongono Who The Hell Is Doug Derek? sono il commovente parto di quattro giovani musicisti folgorati da Raspberries, Beat e Plimsouls che Doug Riccio (voce e basso), Michael Brochin (voce e chitarra), Bob Cedro (chitarra solista) e Rich D'Albis (batteria) incominciarono a registrare nell'autunno 1980. Nel frattempo, cambi di formazione (Bob Cedro, costretto a trasferirsi a Boston, diventa il tema della favolosa Bobby's Gotta Get Back To Boston) e scarso interesse della comunità musicale di New Haven minano l'esistenza stessa della band. Che però prosegue con il nuovo chitarrista Ted "Bullet" Pulit, registra un'altra manciata di tracce in studio e prosegue nella sua saltuaria attività live, dando un piccolo ma importante contributo alla scena pop del New England dell'epoca.

Il disco si apre con la meravigliosa (e già citata) Bobby's Gotta Get Back To Boston, una chicca che bene rende l'idea circa il sound e le influenze della band. Trattasi di powerpop classico, condito da melodie supreme e da una tensione emotiva micidiale, rifinita alla perfezione negli arrangiamenti armonici ma dal sound caldo, grezzo e viscerale. Se i Raspberries non avessero avuto una migliore produzione alla spalle, sarebbero stati il paragone perfetto (non che non lo siano ugualmente, intendiamoci). I Don't Really Like It Here si assesta sulle coordinate più misteriose e introspettive di Doug Riccio (mentre Brochin è sempre stato il powerpopper del gruppo), per una canzone dalle forti tinte new wave ed un'atmosfera di fondo meno diretta e più scura e turbata. L'antemica Airwaves rappresenta il lato "pure pop" del gruppo, sostenuta da melodie semplici e da un sentimento melanconico che nei pezzi degli Hoax sembra essere sempre presente. Il brano, che potrebbe fungere da manifesto per migliaia di bands, racconta del contrasto tra il sogno di diventare un "vero" musicista considerato dal mondo "perchè sento che è l'unica cosa che potrei fare" e la dura realtà di emarginato dall'ambiente, tanto che "sto pensando che potrei uccidermi oggi".

Melodie eccezionali e malinconia senza soluzione di continuità sono il marchio di fabbrica del disco, sia nei pezzi power pop classici (eccellente in questo senso è I Can Remember, ancora una volta dalle forti tinte Raspberries), sia nei brani più rock'n'roll come I Need Your Love (Let Me Take You Into The Night). Non è inoltre da sottovalutare la versatilità della band: Show Your Love è macchiata da sonorità reggae, mentre la grandiosa Flight 102 è una canzone power pop legata ad istinti tardo-punk che nel complesso mi ricorda i Buzzcocks più melodici e Message In Your Eyes è una fantastica canzone d'amore urlata al mondo da un teenager. Il disco si chiude con le primordiali (e più grezze) versioni di Bobby's Gotta Get Back To Boston e I Don't Like It Here, registrate agli albori della band, a completamento di un album eccezionale colpevolmente lasciato a marcire fino ad oggi dal sempre più incomprensibile e nefasto music biz.

Nell'ultimo mese di vita (era il Maggio del 1981), Doug Derek & The Hoax incisero, in una sola giornata, undici nuovi brani nella cantina dei genitori di Doug Riccio. Quelle sessions, note come "The John Tapes", contengono ulteriori gemme di powerpop melodico, romantico e istintivo come Livin' Without You, She's Just A Fanasy, Standing On The Edge Of Time e Light My Flame, brani registrati in presa diretta ed evidentemente molto grezzi che non furono mai incisi in un vero e proprio studio, anche perchè pochi giorni dopo la band si sciolse diventando - come scritto nella biografia ufficiale - "l'ennesimo esempio di gruppo nato nel posto sbagliato al momento sbagliato". In ogni caso, le John Tapes, ora ribattezate Live In The Basement, arriveranno a casa vostra sottoforma di bonus disc se - come consiglio - deciderete di acquistare l'album direttamente dalla Kool Kat .

Le etichette indipendenti sono state create per sopperire alle mancanze ed alla scarsa lungimiranza delle major. E le canzoni di cui vi ho parlato sono appunto state riportate in vita da una indie-label per dare a tutti noi la possibilità di riscoprire una storia minore che non deve essere dimenticata. Non lasciate morire la musica. Comprate Who The Hell Is Doug Derek? e mettetelo a tutto volume nel vostro stereo.