Pray For Me By Name, e.p. d'esordio di Daniel Ahearn, è in qualche modo il frutto di una brutta vicenda capitata all'autore lo scorso anno. Infatti, in circostanze ignote, a Daniel è stato rubato l'intero equipaggiamento elettronico, boom box, tastiere, eccetera. Così, forse per ribellione alla malasorte, forse per necessità, ha deciso di scrivere solo canzoni che grossomodo si potessero accompagnare con un set (quasi) rigorosamente acustico. Che nel dramma si stesse nascondendo un colpo di fortuna?
Daniel Ahearn è stato membro fondatore della band Losangelina Ill Lit, gruppo che amava utilizzare sonorità di matrice folk per poi virarle in chiave elettronica, ma se vi aspettate di ascoltare qualcosa di simile in questo dischetto c'è il rischio che possiate rimanere delusi. Infatti, Pray For Me By Name è sempre ricco di riferimenti alla musica folk, cantautorale e americana, ma in questi episodi il sound è nudo, scarno ed essenziale, e gli esperimenti sono rimandati ad altre occasioni. Richiesto di specificare le proprie influenze, Daniel ha indicato come padri putativi Townes Van Zandt, Kris Kristofferson e John Prine ma, ancora una volta, chi dovesse aspettarsi un'aderenza stilistica al modello classico brevettato dai maestri del country Texano non credo rimarrebbe del tutto soddisfatto. Il disco è indubbiamente debitore del roots sound a stelle e strisce, ma ne pratica il lato più soft, acustico e - perchè no? - pop.
A dire la verità, ancora qualcosa di elettronico è rimasto, e allora qualcuno deve aver prestato a Daniel il rumoroso ma melodico sintetizzatore che guida nell'apertura Down For The Count, un brano folk suonato con la sensibilità pop di un Pete Yorn (per dirne una) e impreziosito da un sublime violino. E sinuosi archi restano prepotentemente al centro della scena nella meravigliosa Nowadays, un pezzo di puro alternative country che farebbe impazzire Ryan Adams, se solo avesse tempo di ascoltarlo. Per me, una delle canzoni dell'anno. In Jesus Saves, intimista e ovviamente confessionale, Daniel è solo con la sua chitarra acustica e un'occasionale e soffusa tastiera (in prestito anche questa?), in un emozionante frammento che esalta la sua limpida e fragile voce.
I cinque brani del disco sono caratterizzati da liriche che trattano temi semplici e micro-disperazioni quotidiane, ma sottotraccia si intuisce il credo nell'amore che vince su tutti i problemi di un mondo da cui si vorrebbe fuggire. E la musica insiste sulle coordinate di un'americana trasognata anche nelle ultime due tracce, San Vicente (grandioso il ritornello armonizzato in compagnia di Angela Correa) e Whitewashing, che aumentano il coefficiente country con un azzeccato pedal steel che le caratterizza e le eleva al livello delle altre tre sublimi canzoni.
Con semplicità, classe e passione di solito si ottengono grandi risultati, e Daniel Ahearn pare abbia centrato il bersaglio grosso. Per ora, l'extended play dell'anno.
(Daniel ha anche realizzato il video di Down For The Count. Io ve lo propongo, guardatelo!)
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